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L'ordine del sole nero
  • Текст добавлен: 21 октября 2016, 20:09

Текст книги "L'ordine del sole nero"


Автор книги: James Rollins


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Триллеры


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Qualcosa aveva decisamente spaventato Lisa. Percepiva il terrore della donna, era come una vibrazione emessa dal suo corpo teso.

«Che cosa…»

D’un tratto ci fu un barlume di luce nella parete di ghiaccio, come se nel cielo fossero esplosi dei fuochi d’artificio. Non c’era nessun rumore. Il fulgore scintillante risalì la cascata e scomparve. Il ghiaccio ritornò buio.

«Le luci spettrali…» sussurrò Lisa, voltandosi verso di lui.

Painter ritornò con la mente a tre notti prima, quando era cominciato tutto quanto. La malattia al villaggio, la follia al monastero.Ricordò la valutazione fatta da Lisa: la prossimità alle strane luci era direttamente correlata alla gravità dei sintomi.

E stavolta loro due erano proprio nei pasticci.

Più vicini che mai.

Ben presto la cascata ghiacciata assunse di nuovo una luminescenza brillante e mortale. Le luci spettrali erano tornate.

5. QUALCOSA DI MARCIO

Copenhagen, Danimarca,

ore 18.12

Possibile che nulla cominci in orario, in Europa?

Gray guardò l’orologio. L’inizio dell’asta era fissato per le cinque.

I treni e gli autobus erano talmente efficienti che potevi regolarci l’ora, ma l’effettivo inizio degli eventi programmati era alquanto aleatorio. Era ormai opinione condivisa che l’asta sarebbe iniziata attorno alle sei e mezzo, a causa di qualche ritardo negli arrivi, perché un temporale sul mare del Nord stava rallentando il traffico aereo verso Copenhagen.

Al piano di sotto continuavano ad arrivare gli offerenti.

Mentre il sole tramontava, Gray si era appostato su un balcone al secondo piano dello Scandic Hotel Webers. Era sul lato opposto della strada, di fronte alla sede della casa d’aste Ergenschein, un moderno edificio a quattro piani che somigliava più a una galleria d’arte, col suo stile minimalista danese, tutto vetro e legno chiaro. L’asta si sarebbe tenuta nel seminterrato dell’edificio.

Presto, si sperava.

Gray sbadigliò e si stiracchiò.

Qualche ora prima era passato al suo albergo precedente, vicino Nyhavn. Aveva recuperato rapidamente le sue attrezzature di sorveglianza e aveva lasciato la camera. Usando un nuovo nome e una nuova carta di credito MasterCard, aveva prenotato una stanza nel nuovo hotel, che offriva una veduta panoramica della piazza centrale di Copenhagen. Dal balcone sentiva in lontananza la musica e gli schiamazzi di uno dei più antichi lunapark del mondo: i giardini di Tivoli.

Aveva davanti un laptop aperto, con accanto un hot dog mangiato per metà, che aveva acquistato da un venditore ambulante. A dispetto delle voci che giravano, la vita di un agente non era tutta casinò di Monte Carlo e ristoranti di lusso. Comunque l’hot dog era eccellente, anche se era costato quasi cinque dollari americani.

L’immagine sul monitor del laptop sfarfallò quando la microcamera a sensori scattò in rapida successione. Gray aveva già immortalato due dozzine di partecipanti: banchieri impettiti, parvenu arricchiti con la puzza sotto il naso, un trio di signori dal fisico taurino in abiti splendenti, con scritto «mafioso» sulla fronte, una donna grassottella in tenuta professionale e un quartetto di signorotti vestiti di bianco, con berretti da marinai identici. Naturalmente questi ultimi parlavano americano. A voce alta.

Gray scosse la testa.

Non potevano mancare ancora in molti.

Una lunga limousine nera si fermò davanti alla casa d’aste e ne scesero due sagome. Uomo e donna, entrambi alti e snelli, indossavano abiti Armani appaiati. Lui portava una cravatta color azzurro-verde, lei una camicetta di seta in tinta. Erano entrambi giovani, sui venticinque anni, ma dal contegno sembravano molto più anziani. Forse erano i capelli chiarissimi, di un platino smagliante, corti, come incollati sulla testa in un’acconciatura quasi identica: sembravano una coppia di star del cinema muto degli anni ruggenti. Tenevano un atteggiamento che conferiva loro una grazia senza età. Non sorridevano, ma non erano nemmeno freddi. Come si notava anche nelle foto, avevano uno sguardo cordiale e divertito.

Il portiere aprì loro la porta. Entrambi fecero un cenno di ringraziamento, ancora una volta non eccessivamente caloroso, ma mostrando riconoscenza per il gesto dell’uomo. Poi scomparvero all’interno dell’edificio. Il portiere entrò dietro di loro, voltando un cartello. Evidentemente quei due erano gli ultimi, forse anche la causa principale del ritardo dell’asta.

Chi erano?

Gray mise da parte la curiosità. Aveva ordini chiari da Logan Gregory.

Passò in rassegna le fotografie, per assicurarsi di avere immagini nitide di tutti i partecipanti. Soddisfatto, fece una copia del file su una chiave USB e se la mise in tasca. A quel punto non gli restava altro da fare che attendere la fine dell’asta. Logan aveva fatto in modo di ottenere un elenco dei pezzi in vendita e dei nomi degli acquirenti. Sicuramente alcuni si sarebbero rivelati alias, ma le informazioni sarebbero state condivise con la task force antiterrorismo degli USA, l’Europol e l’Interpol. Forse Gray non avrebbe mai saputo che cosa fosse in gioco veramente.

Per esempio, perché era stato aggredito? Perché Grette Neal era stata uccisa?

Si sforzò di rilasciare il pugno chiuso. C’era voluto tutto il pomeriggio, ma, in uno stato d’animo più tranquillo, Gray aveva accettato i limiti impostigli da Logan. Non aveva idea di che cosa stesse veramente succedendo e agire alla cieca, in modo affrettato, avrebbe potuto causare soltanto altre vittime.

Tuttavia aveva passato la maggior parte del pomeriggio camminando avanti e indietro nella sua camera d’albergo, rivedendo nella mente infinite volte gli eventi degli ultimi giorni.

Se solo avesse fatto più attenzione e preso maggiori precauzioni…

Il cellulare gli vibrò in tasca. Mentre lo estraeva, guardò il numero sul display. Grazie a Dio.Aprì il telefonino, si alzò e si avvicinò alla balaustra del balcone. «Sara, sono felice che tu abbia richiamato.»

«Ho ricevuto il tuo messaggio. Tutto bene?»

La sua voce esprimeva sia la preoccupazione personale sia l’interesse professionale a un resoconto più dettagliato. Gray le aveva mandato soltanto un breve SMS, avvisandola che avrebbero dovuto cancellare il loro rendez-vous. Non era entrato nei dettagli. Sebbene avessero una relazione, c’erano di mezzo i nullaosta di sicurezza.

«Sto bene. Ma Monk sta per raggiungermi. Sarà qui poco dopo mezzanotte.»

«Io sono appena arrivata a Francoforte. Avevo una coincidenza per Copenhagen. Ho sentito il messaggio dopo che siamo atterrati.»

«Mi spiace, davvero…»

«Perciò devo tornare indietro?»

Lui temeva di coinvolgerla in qualsiasi modo. «Sarebbe meglio. Dovremo rimandare. Forse, se le cose si calmano da queste parti, potrò fare un salto a Roma per venirti a trovare, prima di ritornare in America.»

«Mi piacerebbe.»

Gray percepì la delusione nella sua voce. «Rimedierò», Sperava veramente di poter mantenere la promessa.

Sara sospirò. Non c’era irritazione, soltanto comprensione. Nessuno dei due era ingenuo riguardo alla loro relazione a distanza. Due continenti, due carriere… Ma erano disposti a lavorarci, per vedere come sarebbe andata a finire. «Speravo che avessimo occasione di parlare.»

Gray sapeva che cosa intendeva, riusciva a leggere tra le righe. Ne avevano passate parecchie assieme, avevano visto i lati migliori e i lati peggiori l’uno dell’altra, eppure, nonostante la difficoltà di una relazione a distanza, nessuno dei due aveva voluto gettare la spugna. Anzi entrambi sapevano che era il momento di discutere del passo successivo.

Accorciare quella distanza.

Probabilmente era uno dei motivi per cui erano stati separati così a lungo dopo l’ultimo incontro: una specie di tacito accordo sul fatto che avevano bisogno di pensare. Era il momento di mettere le carte in tavola, decidere se andare avanti oppure no.

Ma lui ce l’aveva, una risposta? Amava Sara. Era pronto a trascorrere la vita con lei. Avevano parlato anche di avere figli. Eppure qualcosa lo turbava. Quasi gli procurava sollievo che l’appuntamento fosse rinviato. Non era una cosa banale, una semplice paura. Ma cos’era, allora?

Forse era meglio che parlassero davvero.

«Verrò a Roma, te lo prometto.»

«Ti prendo in parola. Terrò in caldo i vermicelli alla panna di zio Vittorio.» Gray sentì la tensione allentarsi nella sua voce. «Mi manchi. Noi…»

La frase fu interrotta dal suono stridente di un clacson.

Gray guardò giù in strada. Una persona stava attraversando di fretta due corsie, incurante del traffico: era una donna con una giacca di cachemire, un abito lungo fino alle caviglie e i capelli raccolti in uno chignon. Quasi non l’aveva riconosciuta, finché non la vide inveire contro l’automobilista che aveva suonato il clacson.

Fiona.

Che diavolo ci faceva lì?

«Gray?» disse Sara all’altro capo del telefono.

«Scusami, devo andare.» Riagganciò, mettendo in tasca il cellulare.

Giù in strada, Fiona corse verso la casa d’aste ed entrò. Gray si precipitò al computer. La microcamera riprese l’immagine della ragazza attraverso il vetro dell’ingresso. Stava discutendo col portiere. Infine, l’uomo in uniforme guardò un foglio che lei gli aveva cacciato in mano e, accigliato, le fece cenno di procedere.

Fiona gli passò davanti come un treno e scomparve. La microcamera si oscurò.

Gray guardò alternativamente lo schermo e la strada.

Logan non sarebbe stato contento. Nessuna azione avventata. D’altra parte, che cosa avrebbe fatto Painter Crowe, al suo posto?

Gray tornò in camera e si tolse i vestiti informali. L’abito elegante era disteso sul letto, pronto per ogni evenienza.

Painter sicuramente non sarebbe stato seduto tranquillo senza fare nulla.

Himalaya,

ore 22.22

«Dobbiamo restare calmi», disse Painter. «Resta seduta.»

Davanti a loro, le luci spettrali continuavano ad apparire e scomparire, fredde e silenziose, accendendo la cascata ghiacciata di una lucentezza sconvolgente. Nell’oscurità che seguiva, la grotta sembrava più fredda e più nera.

Lisa si avvicinò a lui. Gli prese la mano e la strinse forte. «Non c’è da meravigliarsi che non si siano dati pena di seguirci», sussurrò, ansimando per la paura. «Perché darci la caccia nella tormenta, quando non devono fare altro che accendere quelle dannate luci e irradiarci? A quelle non possiamo sfuggire.»

Painter si rese conto che aveva ragione. Una volta impazziti sarebbero stati indifesi. In un simile stato di follia il territorio insidioso e il gelo li avrebbero uccisi con la stessa infallibilità dei proiettili di un cecchino.

Ma lui si rifiutava di abbandonare la speranza.

Ci volevano diverse ore perché subentrasse la follia. Non le avrebbe sprecate. Se fossero riusciti a trovare aiuto in tempo, forse ci sarebbe stato un modo per neutralizzare gli effetti.

«Ce la faremo», replicò goffamente.

Non fece che irritarla di più. «Come?» chiese lei, guardandolo, mentre le luci esplodevano di nuovo, rivestendo la caverna della lucentezza di un diamante. Negli occhi di Lisa c’era meno terrore di quanto lui avesse immaginato. Aveva paura, giustamente, ma il suo sguardo conservava un certo splendore, anch’esso diamantino. «Non fare il paternalista con me.» Lisa sfilò la mano dalla sua. «È l’unica cosa che ti chiedo.»

Painter annuì. «Se per ucciderci contano sulle radiazioni, o qualsiasi cosa siano, forse non stanno sorvegliando molto bene le montagne. Ora che la tormenta è finita, possiamo…»

Una raffica di colpi spezzò il silenzio. Painter e Lisa si guardarono negli occhi. Sembrava vicina. A confermarlo, una gragnola di proiettili incrinò la cascata di ghiaccio. Painter e Lisa strisciarono all’indietro, verso il fondo della piccola grotta, gettando la coperta. Non avevano scampo.

Nel frattempo, Painter aveva notato anche qualcos’altro.

La luce non era svanita come prima. La cascata di ghiaccio era rimasta illuminata di quello splendore mortale. La luce era fissa e li inchiodava sul posto.

Una voce tuonò da un megafono: «Painter Crowe! Sappiamo che tu e quella donna vi nascondete lì!» Oltre al tono perentorio, aveva un timbro femminile e un accento straniero. «Venite fuori con le mani in alto!»

Painter strinse una spalla a Lisa, infondendole tutta la rassicurazione possibile. «Resta qui.»

Indicò i vestiti a terra, facendo cenno a Lisa di indossarli. S’infilò gli stivali, poi raggiunse la fessura nel ghiaccio e sporse la testa.

Come era consueto a quelle altitudini, la tormenta si era dispersa con la stessa rapidità con cui era arrivata. Il cielo nero era punteggiato di stelle. La Via Lattea sovrastava la vallata gelida, scolpita nella neve e nel ghiaccio e chiazzata da veli di nebbia ghiacciata.

Più vicino, un riflettore penetrava l’oscurità, con un fascio di luce puntato sulla cascata di ghiaccio. A cinquanta metri di distanza, su un costone più basso, una figura indistinta nell’ombra sedeva cavalcioni su una motoslitta, controllando il riflettore. Era soltanto una normale lampada, forse allo xeno, a giudicare dall’intensità e dalla colorazione bluastra.

Non era una misteriosa luce spettrale.

Painter provò un grande sollievo. Era quella la luce che avevano visto per tutto quel tempo, mentre i veicoli si avvicinavano? Ne contò cinque. Contò anche una ventina di sagome sparpagliate lì attorno, abbigliate con parka bianchi. Erano tutte armate di fucile.

Non avendo altra scelta, ed essendo anche estremamente curioso, Painter alzò le mani e uscì dalla grotta. L’uomo più vicino, un bestione, mosse qualche passo verso di lui, col fucile puntato. Un piccolo raggio di luce trovò il petto di Painter: era un mirino laser.

Disarmato, Painter non poteva fare altro che tener duro. Valutò le sue chance di sottrarre il fucile a quell’uomo.

Molto scarse.

Lo guardò negli occhi.

Uno era di un blu glaciale, l’altro bianco come la neve.

Era l’assassino del monastero.

Ricordò la forza assurda di quell’uomo. In effetti, le sue possibilità erano molto scarse. E poi, considerato il numero di uomini presenti, che cosa avrebbe fatto anche se ci fosse riuscito?

Da dietro le spalle dell’uomo emerse un’altra persona. Una donna. Forse era la stessa che aveva usato il megafono un attimo prima. Allungò una mano e, con un solo dito, abbassò il fucile dell’assassino. Painter si chiese se esistesse un uomo con una forza sufficiente per fare altrettanto.

Mentre la donna avanzava verso di lui sotto la luce del riflettore, Painter la studiò. Doveva avere fra i trentacinque e i quarant’anni. Capelli neri a caschetto, occhi verdi. Indossava un pesante parka bianco col cappuccio imbottito di pelliccia. I vestiti lasciavano intuire ben poco delle sue forme, ma sembrava slanciata e si muoveva in modo aggraziato e dinamico.

«Dottoressa Anna Sporrenberg», disse, tendendo la mano.

Painter fissò il guanto della donna. Se l’avesse trascinata verso di sé, stringendole un braccio attorno al collo, cercando di usarla come ostaggio…

Incrociando lo sguardo dell’assassino dietro di lei, Painter cambiò subito idea. Le strinse la mano. Dato che non gli avevano ancora sparato, poteva quantomeno essere gentile. Sarebbe stato al gioco quanto serviva per restare in vita. Doveva considerare anche Lisa.

«Direttore Crowe», riprese la donna. «Sembra che nelle ultime ore nei canali dell’intelligence internazionale non si sia parlato che di lei.»

Painter rimase impassibile. Non vedeva motivi per negare la sua identità. Forse poteva anche sfruttare la cosa a proprio vantaggio. «Dunque è consapevole di quanto quegli stessi canali si daranno da fare per trovarmi.»

« Natürlich», assentì lei. «Ma non conterei sul loro successo. Nel frattempo, devo chiedere a lei e alla giovane donna di seguirmi.»

Painter fece un passo indietro, come per proteggere Lisa. «La dottoressa Cummings non ha nulla a che fare con tutto questo. È soltanto un medico che tentava di soccorrere alcuni ammalati. Non sa nulla.»

«Verificheremo ben presto se ciò corrisponde a verità.»

E così glielo aveva detto chiaro e tondo. Erano ancora vivi, per il momento, soltanto per le loro presunte informazioni. Informazioni che sarebbero state estorte a forza di sangue e sofferenze. Painter rifletté se fosse meglio prendere l’iniziativa subito e farla finita. Una morte rapida invece che un’agonia. Era a conoscenza di troppi segreti per rischiare di essere torturato.

Ma non era solo. Pensò a Lisa che scaldava le mani tra le sue. Finché c’era vita c’era speranza.

Furono raggiunti da altre guardie. Lisa fu costretta a uscire dalla grotta coi fucili puntati addosso. Furono condotti entrambi alle motoslitte.

Lui vide la paura trasparire dagli occhi di Lisa. Era deciso a proteggerla al meglio delle sue possibilità.

Anna Sporrenberg li raggiunse mentre venivano legati. «Prima di partire, voglio parlarvi chiaro. Non possiamo lasciarvi andare. Penso che lo comprendiate. Non vi darò questa falsa speranza. Ma posso promettervi una fine rapida e indolore.»

«Come i monaci», ribatté bruscamente Lisa. «Abbiamo assistito alla vostra misericordia.»

Painter cercò di incrociare lo sguardo di Lisa. Non era il momento di inimicarsi i loro aguzzini. Ovviamente quei bastardi non avevano remore a uccidere su due piedi. Dovevano fare la parte dei prigionieri che collaborano.

Troppo tardi.

Anna parve vedere Lisa davvero per la prima volta, voltandosi verso di lei. La voce della donna lasciò trapelare una punta di collera: «È stata davvero misericordia, dottoressa Cummings». Lanciò uno sguardo fugace all’assassino, che era rimasto di guardia. «Lei non sa nulla della malattia che ha colpito il monastero, degli orrori che attendevano i monaci. Noi sì. Non sono morti per omicidio, ma per eutanasia.»

«E chi vi ha dato quel diritto?» ribatté la donna.

Painter le si avvicinò. «Lisa, forse…»

«No, signor Crowe.» Anna fece un passo verso Lisa. «Con che diritto, mi chiede? Quello dell’esperienza, dottoressa Cummings. L’esperienza. Mi creda quando le dico che quelle uccisioni sono state una gentilezza, non una crudeltà.»

«E che mi dice degli uomini che mi hanno accompagnato lassù in elicottero? Anche quella è stata una gentilezza?»

Anna sospirò, stanca di quello scambio di battute. «Sono state necessarie scelte difficili. Il nostro lavoro qui è troppo importante.»

«E noi?» insistette Lisa, mentre la donna le volgeva le spalle. «Un’iniezione indolore se cooperiamo. E se invece non abbiamo voglia di cooperare?»

Anna si diresse verso la motoslitta di testa. «Non ci saranno strumenti di tortura, se è questo che intende. Soltanto farmaci. Noi non siamo barbari, dottoressa Cummings.»

«No, siete soltanto nazisti!» le urlò dietro Lisa. «Abbiamo visto la svastica!»

«Non sia sciocca. Non siamo nazisti.» Anna rivolse loro uno sguardo tranquillo mentre scavalcava con una gamba il sedile della motoslitta. «Non più.»

Copenhagen, Danimarca,

ore 18.38

Gray attraversò di corsa la strada.

Com’era saltato in mente a Fiona di fare irruzione lì dentro, dopo quello che era successo?

L’ansia per la sicurezza della ragazza era notevole, ma doveva anche ammettere che quell’intrusione gli offriva la scusa giusta per presenziare all’asta di persona. Chiunque avesse attaccato il negozio, assassinato Grette Neal e cercato di uccidere anche lui aveva lasciato una traccia che conduceva lì.

Gray raggiunse il marciapiede e rallentò. I raggi obliqui del sole al tramonto trasformavano la porta a vetri della casa d’aste in uno specchio argentato. Diede un’occhiata al suo abbigliamento, avendo indossato quei capi d’alta sartoria in un battibaleno. L’abito, un Armani gessato blu marina, gli stava bene, ma la camicia bianca inamidata aveva il collo un po’ stretto. Si aggiustò la cravatta giallina. Non era certo sotto tono, ma doveva fare la parte dell’acquirente incaricato da un ricco finanziere americano.

Aprì la porta. La lobby era in puro design scandinavo, ovvero totalmente anonima: legno chiaro, pareti di vetro e poco altro. L’unico arredamento era una scarna sedia scultorea, collocata accanto a un tavolino grande quanto un francobollo, su cui era posato un vaso con un’unica orchidea. Lo stelo esile come un giunco sosteneva un anemico fiore marrone e rosa.

Il portiere spense la sigaretta nel vaso e fece un passo verso Gray, con un’espressione arcigna.

Gray infilò una mano in tasca e tirò fuori il suo invito. Per averlo c’era voluto un deposito di un quarto di milione di dollari nel fondo della casa d’aste, come garanzia che l’acquirente avesse le carte in regola per accedere a un evento così esclusivo.

Il portiere controllò l’invito, annuì e si diresse a grandi passi verso un cordone di velluto che bloccava una grande rampa di scale verso il piano inferiore. Sganciò il cordone e fece cenno a Gray di passare.

In fondo alle scale, una coppia di porte a vento conduceva verso il parterre principale. Due guardie fiancheggiavano l’ingresso. Una aveva un metal detector portatile. Gray si lasciò perquisire, con le braccia distese. Notò le videocamere collocate su entrambi i lati della soglia. La sicurezza era rigorosa. Finito il controllo, l’altra guardia premette un bottone e la porta si aprì.

Ne fuoriuscì un mormorio in diverse lingue. Riconobbe l’italiano, l’olandese, il francese, l’arabo e l’inglese. Sembrava che il mondo intero fosse confluito a quell’asta.

Quando entrò, qualche sguardo si volse verso di lui, ma l’attenzione rimase concentrata soprattutto sulle teche di vetro disposte lungo le pareti. I funzionari della casa d’aste, tutti con abiti neri identici, erano in piedi dietro il bancone, come i commessi di una gioielleria. Indossavano guanti bianchi e aiutavano i clienti a esaminare gli oggetti in vendita.

Un quartetto d’archi suonava con discrezione in un angolo. Per la sala circolavano alcuni camerieri, che offrivano flute di champagne agli ospiti.

Gray si presentò a un bancone vicino e ricevette una paletta numerata. Si addentrò nella sala. Alcuni clienti si erano già seduti. Individuò la coppia di ritardatari che aveva tenuto in sospeso l’asta, i giovani pallidi che sembravano star del cinema muto. Erano seduti in prima fila. La donna aveva una paletta posata in grembo. L’uomo le si accostò all’orecchio, bisbigliandole qualcosa. Era un gesto stranamente intimo, forse accentuato dal collo arcuato della donna, lungo e flessuoso, piegato come se attendesse un bacio.

La donna vide Gray che risaliva il corridoio centrale. Il suo sguardo passò su di lui senza soffermarsi.

Nessun segno di riconoscimento.

Gray continuò a cercare, raggiungendo il palco e il podio in fondo alla sala, per poi ritornare indietro, descrivendo un ampio cerchio. Non vide nessuna minaccia esplicita alla sua presenza. E neanche una traccia di Fiona.

Dov’era?

Si diresse lentamente verso una delle teche e cominciò a percorrere l’altro lato della sala, ascoltando frammenti delle conversazioni attorno a lui. Passò davanti a un addetto che stava sollevando e appoggiando delicatamente un ingombrante volume rilegato in pelle su un espositore, mostrandolo a un signore corpulento. L’interessato si chinò a esaminarlo, con un paio di occhialini poggiati sulla punta del naso.

Gray prese nota mentalmente di quel libro.

Un trattato sulle farfalle con tavole disegnate a mano, del 1884 circa.

Proseguì lungo il corridoio. Giunto nuovamente nei pressi della porta, si trovò di fronte la donna poco elegante che aveva filmato qualche tempo prima. Gli stava porgendo una piccola busta bianca. Gray l’accettò, prima ancora di chiedersi che cosa potesse essere. La donna sembrava non essere interessata a null’altro e se ne andò.

Gray sentì un leggero profumo proveniente dalla busta.

Strano.

Con l’unghia del pollice l’aprì e ne estrasse un cartoncino, di quelli costosi, a giudicare dalla filigrana. Recava un breve messaggio in bella calligrafia.


Persino la Gilda non si azzarda ad avvicinarsi troppo a questa fiamma. Guardati le spalle. Baci.

Non era firmato, ma in fondo c’era un simbolo in inchiostro rosso cremisi: un piccolo drago raggomitolato. Gray si portò l’altra mano al collo, dove indossava un drago d’argento identico, il regalo di una concorrente.

Seichan.

Era un’agente della Gilda, un losco gruppo di cellule terroristiche che, in passato, aveva incrociato il cammino della Sigma. Gray si voltò e scrutò la sala. La donna che gli aveva consegnato il biglietto era scomparsa.

Guardò di nuovo il messaggio.

Un avvertimento.

Ma almeno la Gilda aveva deciso di restarne fuori. Sempre che ci si potesse fidare di Seichan…

In ogni caso, Gray era disposto a prenderla in parola.

Un certo scompiglio in fondo alla sala attirò la sua attenzione. Da una porta sul retro entrò un uomo alto, con uno smoking smagliante. Era lo stimato signor Ergenschein in persona, che avrebbe fatto da banditore. Si ravviò i capelli neri e oleosi, evidentemente tinti, col palmo della mano. Tra i lineamenti cadaverici, aveva stampato in volto un sorriso che sembrava ritagliato da una foto.

La ragione del suo evidente disagio lo seguiva a breve distanza. O, meglio, era accompagnata da una guardia, che le teneva stretto il braccio.

Fiona.

Era rossa in viso, le labbra esangui e contratte in un’espressione spaventosa. Furente.

Gray puntò verso di loro.

Ergenschein aveva in mano un oggetto avvolto in un involucro di pelle di camoscio. Si fermò presso la teca principale, vicino al palco. Un assistente aprì la teca, che era vuota. Ergenschein tolse delicatamente l’oggetto dall’involto e lo posò all’interno.

Notando che Gray si avvicinava, il banditore si sfregò le mani e si diresse verso di lui per salutarlo, congiungendo i palmi come se stesse pregando. Dietro di lui, la teca fu chiusa a chiave da un assistente.

Gray prese nota dell’oggetto riposto nella teca.

La Bibbia di Darwin.

Fiona sgranò gli occhi quando vide Gray.

Lui la ignorò e affrontò Ergenschein. «C’è qualche problema?»

«Certo che no, signore. Stanno accompagnando fuori la signorina. Non è invitata a quest’asta.»

Gray tirò fuori il suo invito. «Credo di avere diritto a portare con me un ospite.» Porse la mano a Fiona. «Sono lieto di constatare che è già arrivata. Sono stato trattenuto in una conferenza telefonica col mio compratore. Avevo avvicinato la giovane signora Neal oggi, per concordare una vendita privata. Di un oggetto in particolare.» Gray indicò la Bibbia di Darwin con un cenno del capo.

Ergenschein divenne tutto sospiri e finto rammarico. «Una tragedia, quell’incendio. Ma temo che Grette Neal avesse firmato per la vendita all’incanto di questo lotto. Senza una revoca da parte dell’avvocato esecutore del suo testamento, temo che il lotto debba essere messo all’asta. È la legge.»

Fiona strattonò il braccio della guardia, lo sguardo furente.

Ergenschein sembrava ignorarla. «Temo che dovrà fare anche lei la sua offerta, signore. Le faccio le mie scuse, ma ho le mani legate.»

«In tal caso, certamente non le dispiacerà che la signora Neal rimanga al mio fianco. Per aiutarmi se decidessi di ispezionare il lotto.»

«Come desidera.» Il sorriso di Ergenschein si trasformò in un momentaneo cipiglio. Fece un cenno vago per licenziare la guardia. «Ma dovrà rimanere con lei in ogni momento. E, in quanto sua ospite, è sotto la sua responsabilità.»

Fiona fu rilasciata. Mentre Gray l’accompagnava verso il fondo della sala, notò che la guardia li seguiva lungo la parete. Sembrava che si fossero guadagnati una guardia del corpo personale.

Gray condusse Fiona all’ultima fila. Si udì il suono di una campana, a indicare che l’asta sarebbe iniziata di lì a un minuto. Gli ospiti cominciarono a prendere posto, soprattutto nelle prime file. Gray e Fiona avevano l’ultima fila tutta per loro.

«Che ci fai qui?» sussurrò lui.

«Mi riprendo la mia Bibbia», rispose lei, con pronunciato sdegno. «O almeno ci provo.» Si accasciò sulla sedia, con le braccia conserte sulla borsetta di pelle.

All’altro capo della sala, Ergenschein salì sul podio e fece qualche premessa formale. La seduta si sarebbe svolta in inglese, la lingua più conosciuta dalla clientela internazionale dell’asta. Ergenschein si soffermò sulle regole della licitazione, sulla commissione e sui diritti della casa d’aste e persino su come tenere un contegno decoroso. E poi c’era la regola più importante: non era permesso offrire più di dieci volte la somma depositata in garanzia.

Gray ignorò gran parte di quelle istruzioni, continuando a parlare con Fiona e guadagnandosi qualche sguardo irritato dalle file antistanti. «Sei tornata per la Bibbia? Perché?»

La ragazza non fece altro che stringere ancora di più le braccia al petto.

«Fiona…»

«Perché era di Mutti!» sbottò la ragazza, con le lacrime agli occhi. «L’hanno ammazzata per averla. Non lascerò che se la prendano.»

«Chi?»

Fiona sventolò una mano. «Gli stronzi che l’hanno assassinata. Prenderò quella Bibbia e la brucerò.»

Gray sospirò e si appoggiò allo schienale. Fiona voleva vendetta, in qualunque forma possibile. Voleva far loro del male. Gray non poteva biasimarla, ma agire in modo avventato le sarebbe servito solo a farsi uccidere.

«La Bibbia è nostra, e io la rivoglio», aggiunse Fiona, la voce rotta dall’emozione. Scosse la testa e si asciugò il naso.

Gray le mise un braccio attorno al collo. Lei trasalì, ma non si ritrasse.

Intanto l’asta era cominciata. Le palette si alzavano e si abbassavano, gli articoli entravano e uscivano. I migliori sarebbero stati venduti alla fine. Gray seguiva con attenzione le operazioni e, in particolare, prese nota di chi acquistava le voci della lista annotata sul suo taccuino, i tre oggetti di particolare interesse: i trattati di genetica di Mendel, i libri di fisica di Planck e il diario di De Vries sulle mutazioni.

Furono aggiudicati tutti alla coppia di star del cinema muto, la cui identità rimaneva ignota.

Gray aveva sentito i mormorii degli altri partecipanti. Nessuno sapeva chi fossero, quei due. Conoscevano soltanto il numero della loro paletta, che si alzava di continuo. La 002.

Gray si chinò verso Fiona. «Riconosci quei compratori? Li hai mai visti?»

Fiona drizzò la schiena, li fissò per un minuto intero, poi si accasciò di nuovo. «No.»

«Qualcun altro?»

Scrollò le spalle.

«Fiona, sei sicura?»

«Sì», ribatté brusca. «Sono sicurissima!»

Finalmente l’asta arrivò all’ultimo lotto. La Bibbia di Darwin fu estratta dalla sua teca e trasportata come una reliquia su un cavalletto collocato sotto uno speciale riflettore alogeno. Era un volume poco appariscente: cuoio nero squamato, logoro e macchiato, senza neanche una segnatura. Poteva sembrare un libro giornale qualsiasi.


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