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L'ordine del sole nero
  • Текст добавлен: 21 октября 2016, 20:09

Текст книги "L'ordine del sole nero"


Автор книги: James Rollins


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Триллеры


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«Il contrario?»

«La malattìa che ha colpito le nostre cellule…» Anna distolse lo sguardo. «Non è soltanto una degenerazione, è involuzione.»

Painter la fissò, esterrefatto.

La voce della donna divenne un roco sussurro. «I nostri corpi stanno regredendo al brodo primordiale dal quale siamo provenuti.»

Sudafrica,

ore 05.05

Fu svegliato dalle scimmie.

Scimmie?

Quella stranezza fu sufficiente a liberarlo dalla sonnolenza. Gray si sollevò e, mentre cercava di dare un senso a ciò che lo circondava, i ricordi cominciarono ad affiorare.

Era vivo. In una cella.

Ricordò il gas, il museo di Wewelsburg, il suo bluff. Aveva bruciato la Bibbia di Darwin, sostenendo che conteneva un segreto di cui soltanto lui era a conoscenza. Sperava che la prudenza avrebbe avuto la meglio sulla vendetta. Evidentemente era andata così. Era vivo. Ma dov’erano Monk, Fiona e Ryan?

Gray scandagliò la cella: una branda, un gabinetto, un box doccia aperto, niente finestre. La porta, composta di sbarre di ferro, dava su un corridoio illuminato da lampade al neon.

Qualcuno lo aveva spogliato completamente, ma c’era una pigna ordinata di vestiti su una sedia avvitata ai piedi del letto.

Scostò la coperta e si alzò. Aveva una vaga sensazione di nausea e si sentiva i polmoni pesanti, raschiati. Erano i postumi dell’avvelenamento. Si accorse anche di un dolore profondo alla coscia. Aveva un livido grande quanto un pugno sul fianco. Tastandolo, sentì le croste di alcune punture di ago. Aveva anche un cerotto sul dorso della mano. Gli avevano applicato una flebo? Evidentemente qualcuno lo aveva curato, salvandogli la vita.

In lontananza sentì ancora una serie di grida e richiami: scimmie.

Non erano suoni provenienti da una gabbia. Sembrava il risveglio del mondo naturale.

Ma quale mondo? L’aria era più asciutta, più calda, e aveva un odore muschiato, selvatico. Si trovava in un clima molto più temperato. Forse da qualche parte in Africa. Per quanto tempo era rimasto incosciente? Non gli avevano lasciato un orologio per vedere l’ora, e tantomeno poteva sapere che giorno era. Aveva l’impressione che non fossero trascorse più di ventiquattr’ore, ma, a giudicare dalla peluria ispida che gli stava crescendo sul mento, non era stato nemmeno soltanto un breve sonnellino.

Si diresse verso la porta e fece per prendere i vestiti. I suoi movimenti attirarono l’attenzione di qualcuno.

Dalla parte opposta del corridoio, Monk si avvicinò alle sbarre della sua cella.

Gray provò un moto di sollievo, vedendo che il suo compagno era vivo. «Grazie a Dio…»

«Stai bene?»

«Un po’ intontito, ma sta passando.»

Monk era già vestito. Indossava una tuta bianca, identica a quella che avevano lasciato per lui. Gray se la infilò.

Il suo amico alzò il braccio sinistro, mostrando il moncherino e i biocontatti di titanio che normalmente collegavano il braccio alla protesi. «I bastardi si sono presi anche la mia dannatissima mano.»

Ma la scomparsa della protesi di Monk era l’ultima delle loro preoccupazioni. Anzi poteva essere persino un vantaggio.

«Fiona e Ryan?»

«Non ne ho idea. Potrebbero essere qui, in un’altra cella, oppure in un posto completamente diverso.»

Oppure morti, aggiunse Gray, tra sé.

«E ora che si fa, capo?» chiese Monk.

«Non abbiamo molta scelta. Aspettiamo che i nostri carcerieri facciano la prima mossa. Vogliono le informazioni di cui siamo in possesso. Vedremo che cosa riusciremo a ottenere in cambio.»

Monk annuì. Sapeva che Gray aveva bluffato, al castello, e che dovevano continuare il gioco. Era probabile che le celle fossero sorvegliate.

Il sospetto fu confermato dal rumore metallico di una porta che si apriva, in fondo al corridoio.

Il suono dei passi che si avvicinavano faceva pensare a un folto gruppo di persone.

Ben presto videro che si trattava di guardie con uniformi mimetiche verdi e nere, guidate dall’uomo alto dai capelli biondo platino e dalla carnagione chiara: il compratore dell’asta. Azzimato come al solito, portava pantaloni neri di twill e una camicia di lino ben stirata, anch’essa nera, mocassini bianchi di pelle e un cardigan di cachemire bianco. Sembrava abbigliato per una festa in giardino.

Le dieci guardie che lo accompagnavano si divisero in due gruppi, ciascuno diretto a una delle celle. Gray e Monk furono scortati fuori, a piedi nudi, le braccia legate dietro la schiena con lacci di plastica. Il capo si parò davanti a loro, puntando gli occhi di ghiaccio su Gray.

«Buongiorno», disse con affettazione, come se fosse attento alle telecamere nei corridoi, consapevole di essere osservato. «Mio nonno desidera incontrarvi.»

Nonostante la cortesia con cui furono pronunciate, quelle parole erano scolpite in una rabbia estrema e celavano una promessa di sofferenza. L’uomo si era visto negare la sua preda e ora aspettava l’occasione propizia. Ma qual era la vera fonte della sua ira? La morte del fratello oppure il fatto che Gray fosse stato più furbo di lui, a Wewelsburg? In un modo o nell’altro, dietro i modi affettati e la cortesia si celava una furia selvaggia.

«Da questa parte.» Si voltò e fece strada lungo il corridoio, seguito dalla scorta, da Gray e da Monk. Mentre procedevano, Gray scrutava le celle: erano vuote, non c’era traccia di Fiona e Ryan. Erano ancora vivi?

Il corridoio terminava con tre gradini, che conducevano a una porta d’acciaio. Era aperta e sorvegliata.

Uscendo, Gray si ritrovò in una sorta di paese delle meraviglie, una giungla oscura e verdeggiante, con rampicanti spinose e orchidee in fiore. La fitta vegetazione nascondeva il cielo, ma Gray intuiva che non era ancora l’alba. Più avanti, lampioni neri in stile vittoriano incorniciavano i sentieri che s’inoltravano nella giungla selvaggia. I cinguettìi e i richiami degli uccelli si mescolavano al ronzio degli insetti. Una scimmia, nascosta in cima al tetto di foglie, annunciò il loro passaggio con un richiamo staccato, simile a una serie di colpi di tosse. L’allarme svegliò un uccello dalle piume rosso fuoco, che prese il volo tra i rami più bassi.

«Africa», mormorò Monk. «Subsahariana, come minimo. Forse equatoriale.»

Gray presumeva che fosse la mattina del giorno seguente. Aveva perso dalle diciotto alle venti ore. Perciò potevano essere in qualsiasi parte dell’Africa. Ma dove, esattamente?

Le guardie li scortarono lungo un sentiero di ghiaia. Gray sentiva i passi morbidi e misurati di qualcosa di grosso che si faceva strada nella boscaglia, a qualche metro da loro. Sebbene fosse così vicino, però, non se ne intravedeva nemmeno la forma. Se fossero riusciti a fuggire, la fitta vegetazione avrebbe rappresentato un ottimo nascondiglio.

Ma non ci fu nemmeno un’opportunità. Il sentiero terminava a soltanto cinquanta metri di distanza.

Ancora qualche passo e la foresta scomparve attorno a loro, lasciando il posto a un prato ben curato e illuminato, un giardino con laghetti, ruscelli e cascate. L’acqua scorreva, gocciolava, gorgogliava, danzava. Un’antilope dalle lunghe corna alzò la testa al loro passaggio, si bloccò per un istante, poi si mise in fuga, scomparendo a grandi balzi nella foresta.

Sopra le loro teste, il cielo era punteggiato di stelle, ma verso est un bagliore rosa pallido accennava l’arrivo del mattino, forse a un’ora di distanza.

Ma un’altra vista attirò lo sguardo di Gray e assorbì interamente la sua attenzione. Al di là del giardino si ergeva un palazzo di sei piani. Costruito in pietra e legname, gli ricordava la Ahwahnee Lodge di Yosemite, ma era molto più imponente, wagneriano, una sorta di Versailles della giungla. Doveva avere una superficie di quarantamila metri quadrati e abbondava di timpani, balconi e balaustrate. Sulla sinistra c’era una serra di vetro, illuminata dall’interno, che nell’oscurità brillava come un sole nascente.

L’opulenza di quel luogo era sbalorditiva.

Si diressero verso il maniero percorrendo un sentiero di pietra che attraversava il giardino, oltrepassando alcuni stagni e ruscelli. Un serpente lungo due metri strisciava su uno dei ponti di pietra: quando sollevò la testa, aprì a ventaglio la sua corona.

Un cobra reale.

Il serpente fece la guardia al ponte, finché l’uomo biondo platino non staccò una lunga canna dal letto del ruscello e lo scacciò via, come se fosse un gatto indisciplinato. Il serpente sibilò, mostrando i denti, ma poi batté in ritirata, scendendo dal ponte con movimenti sinuosi e scivolando nelle acque buie.

Proseguirono, per nulla turbati. Gray allungò lentamente il collo, mentre si avvicinavano al palazzo, notando un’altra stravaganza dell’edificio. Dai piani superiori si dipartivano ponti sospesi di legno, che conducevano alle cime degli alberi. Insomma, gli ospiti avevano un accesso diretto al tetto della giungla. Anch’essi muniti di lampade, quei sentieri sospesi creavano intere costellazioni nell’oscurità della giungla. Gray girò su se stesso mentre camminava. Le luci brillavano tutt’attorno.

«Attenzione», mormorò Monk, accennando col capo un punto a sinistra.

Su uno dei ponti sospesi, la figura di una guardia con un fucile si stagliò contro la luce dei lampioni. Gray lanciò uno sguardo a Monk. Dovevano essercene delle altre. Poteva esserci un intero esercito nascosto tra le fronde. Una fuga sembrava sempre meno probabile.

Infine raggiunsero una scalinata che conduceva a una grande veranda, costruita con legno di albero-zebra lucidato. Lì li attendeva una donna, la gemella del loro accompagnatore, abbigliata con pari eleganza. L’uomo si fece avanti e la baciò su entrambe le guance.

Le parlò in olandese. Gray non parlava correntemente quella lingua, ma la conosceva abbastanza per capire il senso delle loro parole.

«Sono pronti gli altri, Ischke?» chiese l’uomo.

«Aspettiamo soltanto le istruzioni di grootvader», rispose lei, indicando la serra illuminata, all’altra estremità della veranda. «Poi la caccia può cominciare.»

Gray si sforzò di dare un senso a quelle parole, ma non aveva neanche un indizio.

Con un pesante sospiro, l’uomo si voltò verso di loro, aggiustandosi una ciocca di capelli. «Mio nonno vi riceverà nella serra.» S’incamminò in quella direzione, attraverso la veranda. «Gli parlerete a modo e con rispetto, altrimenti mi occuperò personalmente di farvi pentire di ogni vostra irriverenza.»

«Isaak…» lo interpellò la donna.

Lui si fermò e si voltò. « Ja, Ischke?»

Lei gli parlò nuovamente in olandese. « De jongen en het meisje?Dobbiamo portarli fuori adesso?»

Per risposta ebbe un cenno d’assenso, seguito da un ordine in olandese.

Mentre Gray traduceva tra sé l’ultima frase, dovettero trascinarlo a forza per smuoverlo. Lanciò uno sguardo alla donna, che stava scomparendo dentro la casa, alle sue spalle.

De jongen en het meisje.Il ragazzo e la ragazza. Doveva trattarsi di Ryan e Fiona. Erano ancora vivi. Gray trovò confortante quella rivelazione, ma le ultime parole di Isaak lo avevano fatto raggelare.

Insanguinateli, prima.

In volo sull’Africa,

ore 05.18

Painter era seduto con una penna in mano. L’unico rumore nell’aeroplano era il russare di Gunther. L’uomo sembrava non curarsi dei pericoli cui stavano andando incontro. D’altra parte, Gunther non aveva il loro limite di tempo: sebbene tutti e tre stessero viaggiando verso l’ involuzione, Anna e Painter erano nella corsia di sorpasso.

Non riuscendo a chiudere occhio, Painter ne aveva approfittato per esaminare la storia del clan dei Waalenberg, raccogliendo tutte le informazioni possibili su quella famiglia.

Conoscere il nemico.

I primi Waalenberg che si erano stabiliti in Africa vi erano giunti via Algeri nel 1617. Con orgoglio, la famiglia faceva risalire la propria storia ai crudeli pirati della Barberia, lungo la costa nordafricana. Il primo Waalenberg era secondo capo timoniere del famoso pirata Sleyman Reis De Veenboer, che comandava un’intera flotta olandese di navi corsare al largo di Algeri.

Arricchitisi col commercio di schiavi, i Waalenberg si erano poi trasferiti a sud, stabilendosi nella grande colonia al capo di Buona Speranza. Ma non smisero di praticare la pirateria: la trasferirono semplicemente sulla terraferma. Si assicurarono il controllo della popolazione d’immigrati olandesi, così, quando fu scoperto l’oro in quegli insediamenti, erano stati i Waalenberg a trarne i maggiori vantaggi. E l’oro non era poco. Il Witwatersrand, una bassa catena montuosa nei pressi di Johannesburg, rappresentava il quaranta percento della produzione mondiale d’oro. Sebbene non fosse famoso quanto le famose miniere di diamanti dei De Beers, l’oro del «Rand» era uno dei tesori più preziosi del mondo.

Era stato su quella ricchezza che la famiglia aveva fondato una dinastia capace di superare indenne la prima e la seconda guerra boera, e tutte le macchinazioni politiche che avevano portato alla nascita della repubblica sudafricana. La famiglia Waalenberg era una delle più ricche del pianeta, anche se negli ultimi decenni si era appartata sempre di più, soprattutto sotto la guida dell’ultimo patriarca, Baldric Waaleneberg. Mentre le loro apparizioni in pubblico diminuivano, erano cominciate a diffondersi voci di atrocità, perversioni, tossicodipendenza, matrimoni tra consanguinei. Tuttavia i Waalenberg avevano continuato ad arricchirsi, con interessi nel campo dei diamanti, del petrolio, della petrolchimica e della farmaceutica. Erano diventati una multinazionale.

Era possibile che ci fossero loro dietro gli eventi del Granitschloß?

Avevano sicuramente il potere e le risorse necessari. E il tatuaggio che Painter aveva notato sull’assassina bionda assomigliava alla «Croce» dello stemma dei Waalenberg. E poi c’erano i gemelli, Isaak e Ischke. Qual era lo scopo del loro viaggio in Europa?

Molte domande senza risposta.

Painter girò una pagina e picchiettò la penna sullo stemma di famiglia. C’era qualcosa in quel simbolo…

Logan non aveva fornito informazioni soltanto sulla storia dei Waalenberg, ma anche sul simbolo. Risaliva ai celti, altra tribù nordica. Il simbolo, un emblema del sole, ornava spesso gli scudi celtici e si era perciò conquistato l’appellativo di nodo dello scudo.

Painter fermò la mano.

Nodo dello scudo.

Gli sovvennero le parole pronunciate da Klaus in punto di morte, la maledizione che aveva lanciato contro tutti loro: Morirete tutti! Strangolati, quando il nodo sarà stretto!

Painter aveva creduto che Klaus si riferisse a un cappio metaforico. E se invece avesse fatto riferimento a quel simbolo?

Quando il nodo sarà stretto.

Guardando lo stemma dei Waalenberg, Painter si mise a scarabocchiare sul retro di un fax. Ridisegnò il simbolo come se qualcuno avesse stretto il nodo, avvicinando le asole, come quando si allacciano le scarpe.

«Che fai?» chiese Lisa, materializzandosi alle sue spalle.

Preso di soprassalto, Painter strisciò la penna sul foglio, che quasi si strappò. «Buon Dio, ragazza, la smetteresti di piombarmi addosso di soppiatto in questo modo, per favore?»

Sbadigliando, Lisa si appollaiò sul bracciolo del sedile di Painter e gli diede una pacca sulla spalla. «Che indole delicata.» Lasciò la mano dov’era, chinandosi verso di lui. «Sul serio, che cosa stai disegnando?»

Painter non poté fare a meno di notare che il seno della donna gli sfiorava la guancia. Si schiarì la voce e ritornò al suo schizzo. «Stavo soltanto giocando un po’ col simbolo che abbiamo trovato sulla mano dell’assassina. Un altro dei miei agenti l’ha visto su un paio di Sonnenkönigein Europa. Due gemelli, nipoti di Baldric Waalenberg. Dev’essere importante, forse è un indizio che abbiamo trascurato.»

«O forse al vecchio bastardo piace marchiare a fuoco la sua progenie, come si fa col bestiame. A quanto pare, per lui è solo un altro tipo di allevamento e selezione.»

Painter annuì. «Mi sono ricordato di ciò che ha detto Klaus: ha parlato di un nodo che si stringe, come un segreto mai svelato.»

Finì il disegno, poi mise il nodo originale e quello stretto l’uno accanto all’altro.


Studiò i disegni e si rese conto delle implicazioni.

Lisa evidentemente notò l’alterazione del suo respiro. «Che c’è?»

Lui indicò il secondo disegno con la penna. «Non mi stupisce il fatto che Klaus fosse passato dalla loro parte. E forse questo spiega anche perché i Waalenberg si sono isolati così tanto negli ultimi anni.»

«Non capisco.»

«Non abbiamo a che fare con un nuovo nemico. È sempre lo stesso.»

Painter ripassò il centro del nodo, rivelandone il cuore segreto.


Lisa trasalì. «Una svastica.»

Painter guardò il gigante assopito e sua sorella. Sospirò. «Altri nazisti.»

Sudafrica,

ore 06.04

La serra doveva essere antica quanto la casa. Aveva vetrate piombate deformate dal sole africano, con una cornice di ferro nera che ricordava una ragnatela. All’interno, la condensa offuscava la vista dell’impenetrabile giungla oscura che circondava la struttura.

Non appena entrato, Gray fu colpito dall’umidità, che probabilmente era prossima al cento percento. La tuta di cotone leggero gli si appiccicò addosso. D’altra parte la serra non era pensata per il suo comfort: dava riparo a una profusione sfrenata di piante di tutti i tipi. L’aria profumava di centinaia di fiori. Al centro, una piccola fontana di pietra e bambù gorgheggiava pacifica. Era un bel giardino, ma Gray si chiedeva chi, vivendo in Africa, potesse avere bisogno di una serra.

Ben presto si ritrovò di fronte la risposta.

In piedi su un livello rialzato, c’era un signore dai capelli bianchi, con un paio di forbici in una mano e una pinzetta in un’altra. Con l’abilità di un chirurgo, si chinò su un bonsai, un piccolo prugno in fiore, e recise un rametto. Poi si raddrizzò con un sospiro di soddisfazione.

L’albero sembrava molto vecchio, ed era legato col filo di rame. Era carico di fiori, tutti perfettamente simmetrici, in equilibrio e armonia.

«Ha duecentoventidue anni», disse il vecchio, ammirando il proprio operato. Aveva un accento molto forte, sembrava il nonno di Heidi, gli mancava solo il panciotto. «Era già vecchia quando l’imperatore Hirohito in persona me la donò, nel 1941.»

Posò i suoi attrezzi e si girò. Indossava un grembiule bianco sopra un abito blu marina, con una cravatta rossa. Tese una mano al nipote. «Isaak, tevreden…»

Il giovane si precipitò ad aiutare il vecchio a scendere, guadagnandosi una pacca sulla spalla. Il vecchio si tolse il grembiule, recuperò un bastone nero e vi si appoggiò. Gray notò lo stemma prominente sulla corona d’argento del bastone. Una W in filigrana sormontava il familiare simbolo a forma di quadrifoglio, la stessa icona che i gemelli, Ischke e Isaak, avevano tatuata sul polso.

«Sono Baldric Waalenberg», si presentò il patriarca, guardando Gray e Monk. «Se mi farete la cortesia di unirvi a me nel salone, avremo molto di cui parlare.»

Si girò e si diresse ticchettando verso il fondo della serra. Portava appeso al collo un paio d’occhiali con una catena d’argento e un monocolo da gioielliere applicato su una lente.

Mentre avanzavano sul pavimento d’ardesia, Gray notò che la flora della serra era organizzata per sezioni: alberi e arbusti bonsai, un giardino di felci e, infine, una zona dedicata alle orchidee.

Il vecchio si accorse dell’interessamento di Gray. «Coltivo Phalenopsisda sessant’anni.» Si fermò accanto a uno stelo molto alto, con fiori di una tonalità di viola simile a un livido.

«Carina», commentò Monk, con evidente sarcasmo.

Issak lo fulminò con lo sguardo.

Il vecchio lo ignorò. «Ma l’orchidea nerami sfugge. È il Santo Graal di chi seleziona orchidee. Io ci sono andato molto vicino, ma sotto la lente d’ingrandimento si vede ancora qualche striscia viola, invece che un color ebano compatto.»

Toccando distrattamente il monocolo da gioielliere, l’uomo proseguì.

Gray capì finalmente quale fosse la differenza tra la giungla e il vivaio: lì la natura non era una bellezza da godere, ma qualcosa da dominare. Sotto la volta della serra era tutto un recidere, reprimere e selezionare; la crescita era controllata col filo di rame per bonsai, l’impollinazione era orchestrata dalla mano dell’uomo.

Arrivati in fondo alla serra, attraversarono una porta a vetri colorati e raggiunsero un piccolo salottino con mobili di rattan e mogano, una nicchia scavata in un fianco della casa. Da lì si poteva accedere al palazzo passando per una porta a due battenti, insonorizzata con fasce di materiale isolante.

Baldric Waalenberg si accomodò su una poltrona antica, con lo schienale avvolgente.

Isaak si avvicinò a una scrivania sulla quale c’era un computer HP: lo schermo a cristalli liquidi era appeso alla parete. Lì accanto c’era una lavagna, sulla quale era stata scritta col gesso una serie di simboli. Erano rune, constatò Gray, notando che l’ultima era la Menschrunedella Bibbia di Darwin.


Senza darlo a vedere, Gray le contò e le memorizzò. Cinque rune, cinque libri: era la serie completa delle rune di Hugo Hirszfeld. Ma che cosa significavano? Quale segreta verità era troppo bella per lasciarla morire e troppo mostruosa per essere rivelata?

Il vecchio posò le mani in grembo e fece un cenno a Isaak, il quale premette un tasto del computer: sullo schermo comparve un’immagine ad alta definizione. Nella giungla c’era una grande gabbia sospesa, suddivisa in due parti, in ciascuna delle quali stava raggomitolata una minuscola figura.

Gray fece un passo avanti, ma una guardia lo fermò, puntandogli contro il fucile. Una delle figure alzò la testa, mostrando il volto sotto la luce di un riflettore.

Era Fiona.

Nell’altra metà della gabbia c’era Ryan.

Fiona aveva la mano sinistra bendata, avvolta nel bordo della camicia. Il tessuto era macchiato di un colore scuro. Ryan teneva la mano destra premuta sotto l’ascella. Insanguinateli, prima.Quella stronza doveva aver tagliato loro le mani. Gray pregò che si fossero fermati lì. Sentì una furia cieca scavargli il petto. Il cuore gli batteva forte e gli si acuì la vista.

«Ora parliamo, va bene?» disse il vecchio, con un caldo sorriso. «Da bravi gentiluomini.»

Gray lo guardò, continuando però a sbirciare lo schermo. Alla faccia della gentilezza. «Che cosa vuole sapere?»

«Cos’altro avete trovato nella Bibbia.»

«E li libererete?»

«E io voglio indietro la mia dannata mano!» sbottò Monk.

Gray guardò l’amico e poi ancora il vecchio.

Baldric si voltò verso Isaak, che a sua volta fece un cenno a una delle guardie e urlò un ordine in olandese. La guardia girò i tacchi ed entrò nel palazzo.

«Non c’è bisogno di ulteriori sgradevolezze. Sarete trattati tutti bene, se coopererete. Avete la mia parola.»

Gray non vedeva nessun vantaggio nel proseguire il braccio di ferro, soprattutto perché non aveva nulla di buono da offrire, se non menzogne. Accennò ai polsi legati. «Dovrò mostrarvi ciò che abbiamo trovato. Non sono in grado di descriverlo precisamente a parole. È un altro simbolo, come quelli lì.»

Un altro cenno del capo e, dopo un istante, Gray era libero. Si sfregò i polsi e si avvicinò alla lavagna. Gli furono puntati contro diversi fucili.

Doveva disegnare qualcosa di convincente, ma non conosceva più di tanto le rune. Si ricordò della teiera di Himmler che aveva visto al museo. Era decorata con un simbolo runico. Pensò che fosse abbastanza criptico e, sperava, convincente. Magari avrebbe anche messo il bastone tra le ruote a quella gente, ritardando la soluzione del mistero.

Prese un gessetto e disegnò il simbolo.


Baldric si sporse in avanti, strizzando gli occhi. «Una ruota solare, interessante.»

Gray era rimasto accanto alla lavagna, col gesso in mano, come uno studente in attesa del verdetto dell’insegnante su un problema matematico.

«E questo è quanto avete trovato nella Bibbia di Darwin?» chiese Baldric.

Con la coda dell’occhio, Gray notò un sorriso accennato sul volto di Isaak.

Non stava andando per il verso giusto.

Baldric aspettava che Gray gli rispondesse.

«Lasciateli andare, prima», pretese Gray, indicando il monitor con un cenno del capo.

Il vecchio lo fissò negli occhi. Nonostante l’atteggiamento dissimulatorio, Gray riconobbe un’intelligenza sfrenata e un senso di crudeltà.

Il vecchio si stava divertendo un mondo. Poi pose fine allo stallo, rivolgendosi al nipote con un cenno.

« Wie eerst?» chiese Isaak. Chi per primo?

Gray s’irrigidì. Decisamente non stava andando per il verso giusto.

Baldric rispose in inglese, fissando ancora Gray, per godersi appieno lo spettacolo. «Il ragazzo, penso. La ragazza la teniamo in serbo per dopo.»

Isaak digitò un comando sulla tastiera.

Sullo schermo si vide una botola aprirsi sotto i piedi di Ryan. Il ragazzo cadde agitando le braccia e urlando, anche se loro non lo sentirono. Atterrò pesantemente tra l’erba alta e si alzò in fretta, guardandosi attorno terrorizzato. Evidentemente era consapevole di un pericolo che Gray ignorava, forse qualcosa che era attirato dal sangue che colava dalla ferita.

Gray sentì riecheggiare nella mente le parole di Ischke: Aspettiamo soltanto le istruzioni digrootvader… Poi la caccia può cominciare.

Quale caccia?

Baldric fece un cenno a Isaak, mimando la rotazione di una manopola.

Isaak premette un tasto e dagli altoparlanti proruppero grida e urla.

Si sentì chiaramente la voce di Fiona. «Corri, Ryan! Sali su un albero!»

Il ragazzo girò in tondo un’altra volta, poi si mise a correre, zoppicando, uscendo dall’inquadratura.

Gray sentì qualcuno ridere, probabilmente guardie non riprese dalla telecamera. Poi dagli altoparlanti provenne un urlo diverso, selvaggio e assetato di sangue.

Baldric mimò un taglio netto all’altezza della gola e l’audio fu azzerato.

«Non alleviamo soltanto orchidee, qui, comandante Pierce», disse il vecchio, abbandonando ogni finta cortesia.

«Lei ci aveva dato la sua parola», disse Gray.

«Se aveste cooperato!» ribatté Baldric, alzandosi con disinvoltura. Indicando la lavagna, fece un gesto con la mano, come a cancellare il disegno. «Ci ha preso per degli idioti? Sapevamo già che non c’era nient’altro nella Bibbia di Darwin. Abbiamo già tutto ciò che ci serve. Questa era soltanto una prova, una dimostrazione. Vi abbiamo portato qui per altri motivi, altre domande che richiedono una risposta.»

Quella rivelazione lasciò sbalordito Gray, che finalmente capì. «Il gas…»

«Serviva solo per stordirvi, non per uccidervi. La sua piccola messa in scena è stata divertente, però, lo devo ammettere. Adesso è ora di proseguire.»

Baldric si avvicinò allo schermo montato sulla parete. «Lei è protettivo con questa piccolina, vero? Questo fiorellino tutto pepe. Zeer goed.Le mostrerò che cosa l’attende nella foresta.»

Un cenno del capo, un tasto premuto e sul monitor comparve un riquadro con un’altra immagine. Gray sgranò gli occhi per il terrore.

Baldric proseguì. «Vogliamo sapere qualcosa di più su un certo suo complice. Ma volevo essere sicuro che i giochetti fossero finiti. Oppure le serve un’altra dimostrazione?»

Gray continuava a fissare l’immagine sullo schermo, sconfitto. «Chi?»

Baldric gli si avvicinò. «Il suo capo: Painter Crowe.»


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