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L'ordine del sole nero
  • Текст добавлен: 21 октября 2016, 20:09

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Автор книги: James Rollins


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Триллеры


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Fiona si drizzò sulla sedia: evidentemente era quello il motivo per cui era rimasta lì seduta tutto quel tempo. Afferrò il polso di Gray. «Hai davvero intenzione di fare un’offerta?» chiese, con la speranza che le illuminava gli occhi.

Gray la guardò male, poi si rese conto che non era affatto una brutta idea. Se gli altri erano disposti a uccidere per avere la Bibbia, forse così si poteva trovare un indizio per capire tutto quel castello di carte. In più, non vedeva l’ora di dare un’occhiata a quel libro. E la Sigma aveva versato duecentocinquatamila euro sul conto della casa d’aste. Il che significava che lui poteva offrire fino a due milioni e mezzo, il doppio del valore massimo stimato della Bibbia. Se avesse vinto, avrebbe avuto la possibilità di esaminare il suo acquisto.

Tuttavia, ricordava l’ammonimento di Logan Gregory. Aveva già disobbedito agli ordini per seguire Fiona fin lì. Non osava lasciarsi coinvolgere ancora di più.

Si sentiva addosso lo sguardo della ragazza. Se avesse cominciato a fare offerte, avrebbe messo in pericolo le loro vite. Era come dipingersi un bersaglio addosso. E se avesse perso? Sarebbe stato un rischio vano. Non era stato già abbastanza sconsiderato, quel giorno?

«Signore e signori, con quale cifra possiamo aprire le offerte per l’ultimo lotto di oggi?» declamò Ergenschein pomposamente. «Dovremmo forse cominciare da centomila? Ah, sì, ecco, centomila, e da un nuovo offerente, per giunta. Meraviglioso. Il numero 144.»

Gray abbassò la paletta, mentre tutti gli occhi erano puntati su di lui. Ormai si era impegnato.

Accanto a lui, Fiona sorrideva di gusto.

«E si raddoppia l’offerta», annunciò Ergenschein. «Duecentomila, dal numero 002!»

Le star del cinema muto.

Gray sentì che tutta la sala attendeva una sua mossa, compresa la coppia nelle prime file. Era troppo tardi per tirarsi indietro. Alzò la paletta di nuovo.

Le offerte si succedettero per altri dieci minuti colmi di tensione. La sala era ancora gremita. Tutti restavano per vedere a quanto si sarebbe venduta la Bibbia di Darwin. C’era un tifo implicito per Gray. Troppe altre persone erano state battute dalla paletta numero 002. Quando la cifra superò la soglia dei due milioni, ben sopra la stima massima, un mormorio di sommessa eccitazione attraversò la sala.

Ci fu un’altra ondata di entusiasmo quando un offerente telefonico si gettò nella mischia, ma il numero 002 rilanciò e lui non offrì di più.

In compenso, lo fece Gray. Due milioni e trecentomila.Gli sudavano le mani.

«Due milioni e quattrocentomila dal numero 002! Signore e signori, per favore, rimanete seduti.»

Gray alzò la paletta un’altra volta. «Due milioni e cinquecentomila.»

Sapeva di essere sconfitto. Non poté fare altro che guardare quando il numero 002 si alzò di nuovo, inarrestabile, implacabile, spietato.

«Tre milioni», disse il giovane pallido, stanco di giocare. Si alzò e lanciò un’occhiata a Gray, come se lo sfidasse a rilanciare, se ne era capace.

Gray aveva raggiunto il limite. Anche volendo, non poteva offrire di più. Strizzò la paletta tra le mani e scosse la testa, ammettendo la sconfitta.

L’altro s’inchinò verso di lui, da avversario ad avversario. Mimò il gesto di levarsi il cappello. Gray notò una macchia blu sulla mano dell’uomo, tra pollice e indice. Era un tatuaggio. La sua compagna, che, Gray aveva ormai concluso, doveva essere sua sorella, forse addirittura gemella, aveva lo stesso marchio sulla mano sinistra.

Gray s’impresse nella mente il tatuaggio, che poteva essere un utile indizio per scoprire la loro identità.


Fu distratto dal banditore.

«A quanto pare il numero 144 ha rinunciato», constatò Ergenschein. «Altre offerte? E uno, e due, e tre.» Sollevò il martelletto, lo tenne sospeso per un istante mozzafiato, poi lo picchiò sul bordo del podio. «Aggiudicato!»

Un applauso composto suggellò l’offerta finale.

Gray sapeva che sarebbe stato molto più caloroso se avesse vinto lui. Ma era sorpreso di constatare chi applaudiva accanto a lui.

Fiona.

Gli fece un gran sorriso. «Andiamo via di qui.»

Si unirono al flusso di persone in fila all’uscita. Gray ricevette la solidarietà di alcuni partecipanti. Ben presto furono all’aperto e ognuno andò per la propria strada.

Fiona lo trascinò oltre qualche negozio e lo guidò a una vicina pasticceria, un locale francese con tendaggi di chintz e tavolini da caffè in ferro battuto. La ragazza scelse un posto accanto a una vetrina colma di sfogliatelle alla crema, petit-four, bignè al cioccolato e smørrebrød, l’onnipresente panino danese aperto.

Ignorò le leccornie, raggiante di una strana allegria.

«Perché sei così felice?» chiese finalmente Gray. «Abbiamo perso.» Sedeva rivolto verso la vetrina. Dovevano guardarsi le spalle. D’altro canto, visto che la Bibbia era stata venduta, sperava che il pericolo fosse svanito.

«Gliel’abbiamo messa in quel posto!» replicò Fiona. «L’abbiamo tirata fino a tre milioni. Grande!»

«Non penso che il denaro significhi molto per quella gente.»

Fiona tirò lo spillone dello chignon e si sciolse i capelli con un movimento del capo. Si levò dieci anni di età apparente. Lo sguardo era ancora raggiante e divertito, ma con una punta di malizioso compiacimento.

Gray improvvisamente si sentì gelare il sangue. «Fiona, che cosa hai fatto?» Lei sollevò la borsa sul tavolo, la inclinò verso Gray e la tenne aperta. «Oh, Dio…»

Dentro c’era un tomo rilegato in cuoio, identico alla Bibbia che era appena stata venduta.

«È questa quella autentica?» chiese Gray.

«L’ho sgraffignata sotto il naso a quella mezza sega, lì, nella stanza sul retro.»

«Come?»

«Un po’ di specchietto e un po’ di allodola. Mi ci è voluto un giorno intero per trovare una Bibbia della giusta misura e della giusta forma. Poi ho dovuto sistemarla un po’, certo. Infine un sacco di lacrime e di urla, qualche movimento maldestro, e…» Scrollò le spalle. «Voilà! Tutto sistemato.»

«Ma, se avevi già la Bibbia, perché mi hai fatto fare quelle offerte?» Gray d’un tratto capì. «Mi hai fregato.»

«Così quei bastardi hanno sganciato tre milioni per un falso!»

«Scopriranno ben presto che non è autentica», sentenziò Gray, sentendo montare il terrore.

«Già, ma io sarò andata molto lontano, allora.»

«Dove?»

«Con te.» Fiona chiuse la borsa di scatto.

«Non penso.»

«Ricordi quando Mutti ti ha raccontato della biblioteca da cui proveniva la Bibbia di Darwin?»

Gray sapeva a cosa si riferiva. Grette Neal aveva accennato che qualcuno stava ricostruendo l’antica biblioteca di uno scienziato. Aveva intenzione di fargli fotocopiare la ricevuta originale della vendita, ma poi erano stati attaccati ed era andata perduta tra le fiamme.

Fiona si batté una mano sulla fronte. «Ho l’indirizzo stampato qui dentro.» Poi gli porse una mano. «Allora?»

Aggrottando le sopracciglia, lui si accinse a stringergliela.

Lei ritrasse la mano sdegnata. «Già, proprio.» Poi tese ancora la mano, ma col palmo all’insù. «Voglio vedere il tuo vero passaporto, mezza sega. Non penserai mica che non li riconosco, i passaporti falsi.»

Lui la fissò intensamente e, alla fine, malvolentieri, tirò fuori il suo vero passaporto da una tasca nascosta del vestito.

«Grayson Pierce.» Fiona gettò il documento sul tavolo. «Piacere di conoscerti, finalmente.»

Lui si riprese il passaporto. «Torniamo alla Bibbia. Da dove veniva?»

«Te lo dico soltanto se mi porti con te.»

«Non essere ridicola. Non puoi venire con me, sei ancora una bambina.»

«Una bambina con la Bibbia di Darwin.»

Gray era stanco dei suoi ricatti. Avrebbe potuto sottrarle la Bibbia in qualsiasi momento, ma non poteva fare altrettanto con le informazioni che solo lei aveva. «Fiona, questo non è un gioco.»

Lo sguardo della ragazza si fece severo. Fu come vederla invecchiare all’istante. «E tu pensi che io non lo sappia?» chiese con una freddezza mortale. «Dov’eri quando hanno portato via Mutti dentro un sacco?»

Gray chiuse gli occhi. Aveva toccato un tasto dolente, ma lui non voleva lasciarsi intenerire. «Fiona, mi spiace, ma quello che mi chiedi è impossibile. Non posso portare…»

L’esplosione scosse la pasticceria come un terremoto. La vetrina traballò, si frantumarono alcuni piatti. Fiona e Gray si alzarono e si avvicinarono al vetro. Dall’altro lato della strada, una colonna di fumo s’innalzava nel cielo crepuscolare. Da un edificio sventrato si levavano lingue di fuoco sinuose.

Fiona guardò Gray. «Vediamo se indovino…»

«La mia camera d’albergo», ammise lui.

«Possiamo scordarci il vantaggio.»

Himalaya,

ore 23.47

Prigionieri dei tedeschi, Painter e Lisa sedevano l’uno dietro l’altra su uno slittino trainato da una delle motoslitte. Viaggiavano da quasi un’ora, assicurati con cinghie di plastica e legati l’uno all’altra. Perlomeno lo slittino era riscaldato.

Comunque, lui era curvo su di lei, tentando di proteggerla meglio che poteva col corpo. Non poteva fare di più: avevano i polsi legati ai montanti laterali dello slittino.

Davanti a loro, il killer sedeva rivolto all’indietro sul sedile posteriore della motoslitta che li trainava, col fucile e con gli occhi spaiati incessantemente puntati su di loro. Anna Sporrenberg pilotava il veicolo, in testa al convoglio.

Un gruppo di ex nazisti.

O nazisti riformati.

O chi diavolo erano.

Painter mise da parte la questione. Aveva un enigma più importante da risolvere.

Come sopravvivere.

Durante il tragitto, Painter aveva capito come era stato facile scoprire lui e Lisa, nascosti nella grotta. Con gli infrarossi. Nel paesaggio gelido, la traccia del calore corporeo era facile da rilevare e aveva svelato il loro nascondiglio. Per lo stesso motivo, fuggire sarebbe stato quasi impossibile. Continuò a riflettere, la mente concentrata su un solo obiettivo: la fuga.

Ma come?

Nell’ultima ora, il convoglio di motoslitte aveva attraversato la notte gelida. I veicoli erano dotati di motori elettrici e scivolavano quasi senza fare rumore. In silenzio, le cinque motoslitte avevano percorso quel labirinto con una disinvoltura conquistata con la pratica, scivolando sui crinali, tuffandosi in ripide vallate, percorrendo ponti di ghiaccio.

Painter aveva fatto del suo meglio per memorizzare il tragitto, ma lo sfinimento e la complessità del percorso lo confondevano. Il dolore martellante alla testa non aiutava. La cefalea era ritornata, assieme alla perdita di orientamento e alle vertigini. Purtroppo i sintomi non stavano diminuendo. Doveva anche ammettere che non aveva idea di dove si trovassero.

Sporgendosi, guardò il cielo notturno: le stelle brillavano di una luce fredda. Forse poteva usarle come riferimento.

Mentre guardava in alto, i puntini di luce cominciarono a girare nel cielo. Distolse lo sguardo, con un dolore lancinante dietro gli occhi.

«Tutto bene?» sussurrò Lisa.

Painter borbottò qualcosa sottovoce. Aveva troppa nausea per provare a parlare.

«Ancora il nistagmo?» dedusse lei.

Un severo grugnito del sicario prevenne qualsiasi altra comunicazione. Painter gliene fu grato. Chiuse gli occhi e fece qualche respiro profondo, attendendo che il momento passasse.

Cosa che, finalmente, avvenne.

Quando aprì gli occhi il convoglio si portò su una cresta e rallentò sino a fermarsi. Painter si guardò in giro. Non c’era nulla. Sulla destra, una parete di ghiaccio interrompeva la cresta rocciosa. Ricominciò a nevicare.

Perché si erano fermati?

Davanti a loro, il killer scese dalla motoslitta.

Anna fece altrettanto. Voltandogli in parte le spalle, il bestione parlò alla donna, in tedesco.

Painter si sforzò di ascoltare e riuscì a cogliere le ultime parole dell’uomo.

«… dovremmo ucciderli e basta.»

Non era detto con veemenza, solo con spaventosa praticità.

Anna non era d’accordo. «Dobbiamo scoprire di più, Gunther.» La donna lanciò un’occhiata fugace a Painter. «Sai quanti problemi abbiamo ultimamente. Se è stato mandato qui… Se sa qualcosa che può fermarla…»

Painter non aveva idea di cosa stessero parlando, ma era disposto a sfruttare quel malinteso. Soprattutto se serviva a tenerlo in vita.

Il sicario scosse la testa. «Quello puzza di guai lontano un chilometro.» Fece per andarsene, come se non avesse più importanza. Per lui la questione era chiusa.

Anna lo fermò, toccandogli la guancia, teneramente, con gratitudine… e forse qualcos’altro. « Danke, Gunther.»

Lui si allontanò, ma non prima che Painter notasse un lampo di dolore nei suoi occhi. Gunther camminò faticosamente sino alla parete di ghiaccio e scomparve attraverso una fessura. Un istante dopo comparvero una nuvola di vapore e una luce intensa, per poi svanire d’un tratto.

Una porta si era aperta e richiusa.

Alle spalle dell’uomo, una delle guardie emise un verso derisorio, brontolando una parola, un insulto, udibile soltanto nelle immediate vicinanze.

Leprakönig.

Re lebbroso.

Painter notò che la guardia aveva aspettato che il bestione fosse troppo lontano per sentire. Non aveva osato dirglielo in faccia. Ma, a giudicare dalle spalle ricurve del sicario e dai suoi modi burberi, Painter sospettò che se lo fosse sentito dire altre volte.

Anna risalì sulla motoslitta. Un’altra guardia armata prese il posto del killer, con l’arma puntata. Ripartirono.

Girarono attorno a uno sperone roccioso e scesero per un passo ancora più ripido. Davanti a loro c’era solo un mare di nebbia ghiacciata che oscurava la vista, sovrastato da una pesante cresta della montagna, bassa e incurvata come un paio di mani in cerca di calore.

Scesero nel vasto banco di nebbia, trafiggendolo con le luci.

In pochi istanti, la visibilità si ridusse a qualche decina di centimetri. Le stelle svanirono.

Poi, d’un tratto, l’oscurità divenne più profonda, mentre si addentravano nell’ombra dell’aggetto di roccia. Ma, anziché diventare più fredda, l’aria divenne notevolmente più calda. Mentre proseguivano la discesa, dalla neve cominciarono ad affiorare rocce e massi, attorno ai quali gocciolava neve sciolta.

Painter concluse che ci doveva essere una sacca di attività geotermica in quel punto. Rare sorgenti termali erano sparse qua e là nella catena dell’Himalaya. Create dall’intensa pressione tra la piattaforma continentale indiana e l’Asia, erano note soprattutto alle popolazioni indigene. Quelle sorgenti geotermiche erano ritenute la fonte del mito di Shangri-La.

Via via che la neve si assottigliava, il convoglio fu costretto ad abbandonare le motoslitte. Quando furono parcheggiate, Painter e Lisa furono slegati dallo slittino. Lui le restò vicino. Si scambiarono uno sguardo carico di preoccupazione.

Circondati da parka bianchi e fucili, furono condotti a piedi per il resto del tragitto. Sotto gli stivali, la neve lasciò il posto alla roccia bagnata. Comparvero scalini scolpiti nella pietra. Davanti a loro, la nebbia perpetua si assottigliò e si sfaldò.

Dopo pochi passi, una parete di roccia emerse dall’oscurità, riparata da una spalla della montagna. Era una grotta naturale. Ma non era un paradiso. C’era solo granito nero scosceso, che trasudava e gocciolava.

Somigliava più all’inferno che a Shangri-La.

Lisa inciampò accanto a lui. Painter la sostenne come poté, coi polsi legati, ma capì il perché di quel passo incerto.

Davanti a loro, un castello emergeva dalla foschia.

O, meglio, mezzocastello.

Avvicinandosi, Painter riconobbe in quella forma una facciata, scolpita sommariamente in fondo alla grotta. Due gigantesche torri merlate affiancavano un massiccio torrione centrale. Dietro spesse vetrate si vedevano luci accese.

« Granitschloß», annunciò Anna, facendo strada verso un’entrata ad arco, alta il doppio di Painter, fiancheggiata da giganteschi cavalieri di granito.

L’ingresso era sigillato da un pesante portone di legno di quercia, con borchie e sbarre di ferro nero; ma, mentre il gruppo si avvicinava, il portone si sollevò, aprendosi a saracinesca.

Anna proseguì a grandi passi. «Venite. È stata una lunga nottata.»

Painter e Lisa furono condotti all’entrata, col fucile puntato contro. Lui studiò la facciata, i bastioni, i parapetti e le finestre ad arco. L’intera superficie di granito nero trasudava umidità, gocciolava, lacrimava. L’acqua sembrava nera come petrolio, come se il castello si stesse dissolvendo davanti ai loro occhi, tornando a fondersi nella parete di roccia.

L’intensa illuminazione proveniente da alcune delle finestre conferiva alla facciata del castello una luminescenza infernale, ricordandogli un dipinto di Hieronymus Bosch. L’artista del XV secolo si era specializzato in rappresentazioni perverse dell’inferno. Se Bosch avesse mai scolpito le porte degli inferi, le avrebbe fatte come quel castello.

Non avendo altra scelta, Painter seguì Anna e attraversò l’entrata ad arco del castello. Guardò su, cercando le parole che, secondo Dante, erano scolpite all’ingresso dell’inferno: Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate.

Le parole non c’erano, ma era come se ci fossero.

Lasciate ogni speranza…

La frase riassumeva bene la situazione.

Copenhagen, Danimarca,

ore 20.15

Mentre l’eco dell’esplosione si disperdeva, Gray prese Fiona per un braccio e la trascinò fuori da una porta laterale della pasticceria francese. Puntò verso un vicolo lì vicino, facendosi largo tra i clienti radunati sul marciapiede.

In lontananza cominciarono a urlare le sirene. Ai vigili del fuoco di Copenhagen, quella dovette sembrare una giornata interminabile.

Gray raggiunse l’angolo del vicolo, lontano dal fumo e dal caos, con Fiona al seguito. Sentì un mattone spezzarsi accanto all’orecchio, seguito da un rimbalzo sibilante. Un proiettile. Girando su se stesso, spinse Fiona nel vicolo e si acquattò, scrutando la strada alla ricerca del tiratore.

Anzi la tiratrice.

Era vicina. Mezzo isolato più indietro, sul lato opposto della strada.

Era la donna albina dell’asta. La differenza era che portava una tuta aderente nera e aveva anche acquisito un nuovo accessorio alla moda: una pistola col silenziatore. La teneva bassa, accanto al ginocchio, mentre avanzava a grandi passi verso la loro posizione. Si toccò un orecchio, muovendo le labbra.

Aveva una radio.

Quando la donna passò sotto un lampione, Gray si accorse dell’errore: non era la stessa donna dell’asta. Aveva i capelli più lunghi e il viso più scarno.

Doveva essere una sorella maggiore dei due gemelli.

Gray si rimise in movimento. Pensava che Fiona fosse già a metà del vicolo, ma la trovò a cinque metri da lui, in sella a una Vespa verdina arrugginita. «Che stai…»

«Abbiamo trovato un passaggio», lo interruppe, riponendo un cacciavite nella borsetta.

Gray le fu accanto in un istante. «Non c’è tempo di farla partire.»

Fiona gli lanciò un’occhiata fugace, mentre maneggiava un groviglio di fili dell’accensione. Ne intrecciò un paio e il motore si mise a tossire, e infine partì.

La ragazza era brava, ma c’erano limiti alla fiducia.

Gray le fece cenno di farsi indietro. «Guido io.»

Fiona scrollò le spalle e scivolò sul sellino posteriore.

Gray montò in sella, abbassò il cavalletto e sparò il motore a manetta. Col fanale spento, si lanciò nel vicolo buio… o, meglio, avanzò trotterellando.

«Forza!» esclamò.

«Metti la seconda», suggerì Fiona. «Evita la terza, bisogna tirargli il collo, a queste vecchie carrette.»

«Non ho bisogno di un secondo pilota.»

Comunque Gray obbedì. Lo scooter balzò in avanti come una puledra spaventata. Percorsero il vicolo a tutta velocità, zigzagando tra decine di bidoni della spazzatura.

Mentre le sirene strillavano, Gray si voltò a dare un’occhiata. Un’autopompa sfrecciò davanti all’entrata del vicolo, coi lampeggianti accesi, diretta al luogo dell’esplosione. Prima che Gray si voltasse, comparve una figura scura, che si stagliava contro le luci della strada alle sue spalle.

La donna che aveva sparato.

Gray diede gas e aggirò sbandando un grosso cassone da cantiere, mettendolo tra sé e la donna. Da lì, procedendo radente al muro, potevano percorrere il resto del vicolo riparati e sbucare sulla traversa davanti a loro, che splendeva come un faro.

Era la loro unica opportunità.

Gli occhi puntati sulla strada, Gray si vide parare davanti una seconda sagoma scura. Illuminati dai fari di un’auto di passaggio, i suoi capelli biondi si fecero argentati. Un altro fratello. L’uomo indossava un lungo spolverino nero. Aprendolo, scoprì un fucile a canne mozze.

La donna doveva averlo chiamato via radio, organizzando quell’imboscata.

«Tieniti forte!» urlò Gray.

L’uomo sollevò il fucile con una mano e Gray notò che aveva l’altro braccio bendato dal polso al gomito e legato al collo. Sebbene il viso fosse in ombra, Gray capì chi era.

L’assassino di Grette Neal. Le bende coprivano i segni dei morsi di Bertal.

L’uomo puntò il fucile.

Non c’era più tempo.

Gray sterzò bruscamente, facendo sbandare lo scooter di lato. Il fucile esplose un colpo smorzato, accompagnato dal fragore di una porta sfondata dai pallettoni.

Fiona guaì di paura.

Ma quello fu l’unico colpo che l’uomo riuscì a sparare, prima di tuffarsi per scansare la sbandata della Vespa. Una volta fuori dal vicolo buio, Gray diede un colpo d’acceleratore e, con un grande stridore di pneumatici, riprese il controllo dello scooter. S’intrufolò nel traffico, guadagnandosi la strombazzata di uno sdegnato automobilista alla guida di un’Audi.

Mentre procedevano, Fiona allentò la presa.

Gray faceva lo slalom tra le auto più lente, acquisendo velocità, via via che la strada scendeva sempre più ripida. La discesa terminava in un incrocio a T con un viale alberato. Gray frenò, preparandosi alla curva stretta. Lo scooter si rifiutò di obbedire. Lui guardò giù e vide qualcosa penzolare accanto alla ruota posteriore.

Il cavo dei freni.

Doveva essersi staccato durante la sbandata.

«Rallenta!» gli urlò Fiona in un orecchio.

«Il freno è andato!» ribatté lui. «Tieniti forte!»

Gray spense il motore, poi cercò di ridurre lo slancio dello scooter scartando a destra e a sinistra, come uno slalomista. Trascinò la ruota posteriore contro un marciapiede, facendo fumare la gomma.

Raggiunsero l’incrocio, andando ancora troppo forte. Tagliarono la strada a un camion.

Gray rovesciò lo scooter su un lato prima di andare a sbattere contro il marciapiede opposto.

La Vespa si ribaltò, disarcionando Gray e Fiona. La collisione fu attutita da una siepe, ma i due finirono comunque per rotolare sul marciapiede, sino a fermarsi alla base di un muro di mattoni.

Dopo essersi rimesso in piedi, Gray raggiunse Fiona. «Tutto a posto?»

Lei si alzò, più arrabbiata che dolorante. «Ho speso duecento euro per questa gonna.» Il suo vestito aveva un lungo strappo su un lato. Lo tenne chiuso con una mano e si chinò per recuperare la borsa.

L’abito Armani di Gray era messo anche peggio. I pantaloni avevano uno strappo sul ginocchio e, in quanto alla giacca, sembrava che l’avesse strofinata con una spazzola di ferro. A parte qualche graffio ed escoriazione, però, ne erano usciti indenni.

Il traffico continuava a fluire davanti al luogo del loro incidente.

Fiona s’incamminò. «Da queste parti gli incidenti in Vespa sono all’ordine del giorno. E i furti pure. Gli scooter, a Copenhagen, sono una specie di proprietà collettiva. Te ne serve uno? Prenditelo. Poi mollalo per il prossimo che passa. Non gliene frega niente a nessuno.»

Ma a qualcuno sì. Un nuovo stridore di pneumatici attirò la loro attenzione. Una berlina nera s’immise sulla strada, due isolati più indietro, e si diresse verso di loro a gran velocità. Non c’erano né edifici né vicoli. Soltanto un alto muro di cinta, oltre il quale risuonavano allegre melodie di flauti e archi.

Dietro di loro, la berlina rallentò nei pressi della Vespa abbandonata. Senza dubbio la fuga in scooter era stata riferita via radio.

«Vieni», disse Fiona.

Mettendosi la borsa a tracolla, lo condusse a una panchina ombreggiata e ci montò su. Poi, usando lo schienale per darsi lo slancio, fece un salto e si aggrappò a un ramo sopra di lei. Sollevò le gambe e le attorcigliò attorno al ramo.

«Che fai?»

«I ragazzi svegli lo fanno sempre. Entrata gratis.»

«Cosa?»

«Forza!»

Spostando una mano dopo l’altra lungo il grosso ramo, si portò oltre il muro di mattoni, poi si lasciò cadere dall’altro lato e scomparve.

La berlina ripartì lentamente.

Non avendo altra scelta, Gray seguì l’esempio di Fiona. Montò sulla panchina e saltò su. La musica fluttuava nell’aria scintillante e magica della notte. Una volta appeso a testa in giù, Gray si sporse oltre il muro di cinta. Dall’altra parte c’era un paese delle meraviglie, fatto di lanterne sfavillanti, palazzi in miniatura e passatempi funamboleschi.

Tivoli.

Il lunapark di fine secolo era situato nel cuore di Copenhagen. Dalla sua posizione sopraelevata, Gray vedeva il lago al centro del parco: uno specchio d’acqua che rifletteva migliaia di lanterne e luci. Da lì si dipartivano viali bordati di fiori, che conducevano a padiglioni illuminati, montagne russe di legno, giostre e ruote panoramiche. L’antico lunapark non era tanto una Disneyland meno tecnologica, quanto piuttosto un accogliente parco di quartiere.

Gray superò il muro di cinta muovendosi lungo il ramo.

Dall’altra parte, Fiona lo aspettava dietro un capanno degli attrezzi.

Gray sganciò le gambe e rimase appeso per le braccia. Un pezzo di corteccia esplose vicino alla sua mano destra. Spaventato, mollò la presa e cadde, facendo mulinare le braccia in cerca di equilibrio. Atterrò su un’aiuola, sbattendo un ginocchio, ma il terriccio morbido attutì la caduta. Dall’altra parte del muro si udì il brontolio di un motore e una portiera sbattuta.

Li avevano visti.

Con una smorfia in volto, Gray raggiunse Fiona, che lo guardava con occhi sgranati. Aveva sentito anche lei lo sparo. Senza una parola, fuggirono assieme, nel cuore di Tivoli.


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