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L'ordine del sole nero
  • Текст добавлен: 21 октября 2016, 20:09

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Автор книги: James Rollins


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Триллеры


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Текущая страница: 26 (всего у книги 30 страниц)

«Khamisi sta arrivando col pacchetto. Tempo d’arrivo previsto: tre minuti. Lui e la dottoressa Kane rileveranno il supporto logistico qui all’accampamento.»

Lisa si rivolse a Gunther: «Riesci a portare tua sorella?»

Come per dimostrarlo, la prese tra le braccia e la sollevò.

«Che state facendo?» chiese Anna, debole.

«Voi due non durerete fino a questa notte», disse Lisa. «Proveremo a raggiungere la Campana.»

«Come?»

«Non si arrovelli quella bella testolina», rispose Monk, e uscì arrancando, sostenendo Painter assieme al maggiore Brooks. «Ci pensiamo noi.»

Monk e Lisa si guardarono un’altra volta. Lei capì la sua espressione.

Forse era già troppo tardi.

ore 14.41

Gray fece strada su per le scale, pistola alla mano. Lui e Marcia si muovevano il più silenziosamente possibile. Lei teneva la mano sulla torcia, riducendo l’illuminazione al minimo indispensabile, quanto bastava per vedere dove stavano andando. Con gli ascensori fuori uso, Gray temeva di imbattersi in qualche sentinella sulle scale. Sebbene fosse travestito da guardia a sua volta e fingesse di accompagnare una ricercatrice fuori dal seminterrato, preferiva evitare incontri superflui.

Passarono al sesto livello sotterraneo, buio come il precedente.

Gray proseguì, accelerando il passo, compensando la cautela col timore che a un certo punto scattassero dei generatori secondari. Passato il pianerottolo successivo, videro una luce.

Sollevando una mano, Gray intimò a Marcia di fermarsi.

La luce non si muoveva. Era stazionaria.

Non era una guardia: probabilmente una lampada d’emergenza.

Eppure…

«Resti qui», sussurrò a Marcia. Gray proseguì, la pistola sollevata e pronta all’uso. Al pianerottolo successivo, la luce filtrava da una porta semichiusa. Avvicinandosi, sentì delle voci. Più su, le scale erano buie. Come mai c’erano luce e corrente, lì? Quel livello doveva essere servito da un circuito separato.

Le voci echeggiavano lungo il corridoio.

Erano voci familiari: Isaak e Baldric.

Non li vedeva, erano dentro la stanza. Guardò giù e vide il volto di Marcia stagliarsi nella luce che si riversava dalle scale. Le fece cenno di raggiungerlo.

Anche lei sentì le voci.

Isaak e Baldric non sembravano preoccupati del blackout. Si erano accorti che nel resto del palazzo mancava l’elettricità? Gray tenne a bada la sua curiosità. Doveva avvisare Washington.

«La Campana li ucciderà tutti», disse Baldric.

Gray si fermò. Stavano parlando di Washington? In tal caso, quali erano i loro piani? Se avesse scoperto qualcosa di più…

Fece un altro cenno a Marcia, sollevando due dita. Due minuti. Se non fosse stato di ritorno, lei sarebbe dovuta andare avanti da sola. Le aveva lasciato la sua seconda pistola. Forse vedere quella Campana poteva fare la differenza tra salvare delle vite e perderle.

Sollevò le due dita un’altra volta.

Marcia annuì. Se lui fosse stato catturato, sarebbe dipeso tutto da lei.

Gray s’infilò nella fessura, senza nemmeno toccare la porta, temendo che anche il minimo cigolio dei cardini potesse allarmare i due all’interno. Davanti a lui si estendeva un corridoio grigio illuminato da lampade al neon, come quello del piano inferiore. Ma terminava a breve distanza, con una doppia porta d’acciaio, di fronte all’ascensore buio.

Uno dei due battenti d’acciaio era aperto.

Gray si mosse rapidamente, raggiunse la porta e si appiattì contro la parete. Appoggiò un ginocchio a terra e sbirciò oltre lo stipite.

La sala aveva il soffitto basso e abbracciava quell’intero livello. Era il cuore del laboratorio. Lungo una parete era allineata una serie di computer. Sui monitor scorrevano cifre e codici. I computer probabilmente giustificavano il circuito separato, una fonte di alimentazione autonoma.

Gli occupanti della sala, concentrati com’erano sull’attività in corso, non avevano notato che era saltata la corrente nel resto del palazzo. Ma sicuramente sarebbero stati avvertiti da un momento all’altro.

Baldric e Isaak, nonno e nipote, erano chini su una stazione di lavoro. Su uno schermo piatto da trenta pollici appeso alla parete scorreva rapidamente una serie di rune, l’una dopo l’altra. Erano le cinque rune dei libri di Hugo.

«Il codice non è ancora decifrato», disse Isaak. «È saggio avviare la fase globale del programma con la Campana, mentre l’enigma rimane irrisolto?»

«Sarà risolto!» Baldric batté un pugno sul tavolo. «È soltanto questione di tempo. In più, siamo abbastanza vicini alla perfezione. Pensa a te e tua sorella, voi due vivrete a lungo. Cinquant’anni. La debilitazione non sopraggiungerà fino al vostro ultimo decennio di vita. È tempo di procedere.»

Isaak sembrava poco convinto.

Baldric si alzò, sollevò un braccio e fece un gesto ampio verso il soffitto. «Guarda che cosa hanno fatto i ritardi. Il nostro tentativo di dirottare l’attenzione internazionale sull’Himalaya ci si è rivoltato contro.»

«Perché abbiamo sottovalutato Anna Sporrenberg.»

«E la Sigma», aggiunse Baldric. «Ma non importa. Ora abbiamo i governi che ci soffiano sul collo. Con l’oro potremo comprarci soltanto un po’ di protezione. Dobbiamo agire subito. Prima Washington, poi il mondo intero. E, in quel caos, ci sarà tutto il tempo necessario per decifrare il codice. La perfezione ci apparterrà.»

«E dall’Africa sorgerà un nuovo mondo», recitò Isaak a memoria, come se fosse una preghiera che gli era stata inculcata in giovane età, cementata nel suo codice genetico.

«Puro e ripulito dalla corruzione», aggiunse Baldric, concludendo la litania. Ma le sue parole erano altrettanto prive di passione. Era come se non fosse altro che l’ennesima fase del suo programma di riproduzione, un esercizio scientifico.

Baldric si drizzò, appoggiandosi al bastone. Senza altro pubblico all’infuori del nipote, Gray notò quanto sembrava debole. Si chiese se l’accelerazione dei tempi non fosse motivata soprattutto dall’incombente morte del vecchio, più che da una vera necessità. Erano tutti quanti pedine inconsapevoli del desiderio di Baldric di attuare il suo piano? Forse aveva orchestrato l’intero scenario di proposito, consapevolmente o inconsapevolmente, per giustificare un’azione in quel momento, fintanto che era ancora in vita?

Isaak si era spostato a un’altra postazione di lavoro. «Abbiamo luce verde su tutta la linea. La Campana è accesa e pronta per l’attivazione. Ora potremo ripulire la tenuta dai fuggitivi.»

Gray s’irrigidì. Che diavolo stavano per fare?

Baldric voltò le spalle al codice runico e diresse la sua attenzione al centro della stanza. «Preparati all’attivazione.»

Gray si spostò per vedere una porzione più ampia del locale.

Al centro c’era un grosso contenitore, fatto di qualche tipo di composto ceramico o metallico. Aveva la forma di una campana rovesciata, alta quanto Gray. Dubitava di poterne abbracciare anche soltanto metà della circonferenza.

Si sentì uno scoppiettio e un’eco di motori e dal soffitto scese una camicia di metallo interna, rivestita di una serie di meccanismi. Calò nel contenitore esterno. Allo stesso tempo, si aprì la guarnizione di un vicino serbatoio giallo, dal quale un liquido metallico violaceo defluì nel cuore della Campana.

Lubrificante? Combustibile?

Gray non ne aveva idea, ma notò i numeri stampati sul lato del serbatoio: 525. Era il misterioso Xerum.

«Solleva lo schermo protettivo», ordinò Baldric. Dovette gridare per sovrastare i rumori metallici del gruppo motore. Indicò il pavimento col bastone.

Anche quel piano era pavimentato con le stesse mattonelle grigie, a eccezione di una sezione circolare di un nero opaco, con un diametro di trenta metri, attorno alla Campana. L’intera circonferenza aveva un bordo alto una trentina di centimetri, come la pista di un circo. La parte di soffitto sovrastante rispecchiava il pavimento, ma invece del bordo c’era un solco circolare.

Era tutto quanto fatto di piombo.

Gray capì che probabilmente l’anello esterno del pavimento si sollevava, spinto dai pistoni, e s’inseriva nel soffitto, formando un grande cilindro che avrebbe racchiuso la Campana.

«Che succede?» gridò Baldric, voltandosi verso il nipote.

Isaak premeva inutilmente un interruttore. «I motori dello schermo non hanno corrente!»

I motori dovevano essere al piano inferiore. Il livello oscurato.Squillò un telefono, un trillo stridente, che competeva col rumore dei motori. Gray immaginava chi fosse a chiamare: la sicurezza aveva finalmente scoperto dov’erano i padroni di casa.

Era ora di andare.

Gray si alzò e si voltò.

Un tubo gli colpì il polso, facendogli cadere di mano la pistola. Poi partì un altro fendente, diretto alla testa. Lo schivò giusto in tempo.

Ischke gli si avvicinò. Dietro di lei, le porte dell’ascensore buio erano aperte, forzate con una leva. Evidentemente la donna era rimasta bloccata quando era mancata la corrente, poi era scesa fino a lì. Nel frastuono dei motori della Campana, Gray non l’aveva sentita forzare le porte dietro di lui.

Ischke sollevò il tubo.

Gray arretrò verso l’interno della sala della Campana, tenendo gli occhi fissi su di lei. Evitò di guardare le scale d’emergenza. Pregò che Marcia se ne fosse già andata, che fosse già diretta alla radio a onde corte, pronta a dare l’allarme a Washington.

Ischke, coi vestiti macchiati di grasso e col viso imbrattato, seguì Gray dentro il locale.

Gray sentì la voce di Baldric alle sue spalle. « Wat is dit?Sembra che la piccola Ischke abbia catturato il topolino che ha rosicchiato i fili.»

Gray era disarmato. Senza nessuna possibilità.

«I generatori stanno ritornando in linea», disse Isaak, con tono annoiato, per nulla colpito dall’intrusione.

Sotto i piedi di Gray ci furono un rombo e uno stridore di motori. Lo schermo cominciò a salire dal pavimento.

«E ora sterminiamo gli altri ratti», disse Baldric.

ore 14.45

Monk gridò per farsi sentire nel frastuono dell’elicottero. Il vortice creato dai rotori faceva turbinare sabbia e polvere tutt’attorno. «Sai far volare questo uccellino?»

Gunther annuì, impugnando la leva dei comandi.

Monk gli diede una pacca sulla spalla. Doveva fidarsi del nazista. Non poteva pilotare con una mano sola. Comunque, dato che l’obiettivo del gigante in quel momento era la sopravvivenza della sorella, Monk ritenne di poter fare quella scommessa.

Anna era seduta dietro con Lisa. Painter era accasciato tra di loro, con la testa ciondoloni. Il sedativo era leggero. Ogni tanto borbottava qualcosa di insensato, a proposito di un’incombente tempesta di sabbia, perso in paure del passato.

Chinando la testa sotto le pale, Monk girò attorno all’elicottero.

Dall’altra parte c’erano Khamisi e Mosi D’Gana, il capo zulù. Si strinsero reciprocamente gli avambracci. Mosi si era spogliato degli abiti cerimoniali: indossava una tuta kaki e un berretto, e portava in spalla un fucile automatico. A un cinturone nero era appesa una fondina, con una pistola. Inoltre, legata sulla schiena, portava una lancia corta con una lama spaventosa.

«Ora sei tu al comando», disse a Khamisi in tono formale, mentre Monk si avvicinava.

«Ne sono onorato, signore.»

Mosi annuì e lasciò andare il braccio di Khamisi. «Ho sentito dire bene di te, Fat Boy.»

Monk li raggiunse. Fat Boy?

Khamisi sgranò gli occhi, nello sguardo una miscela di vergogna e onore. Annuì e si allontanò. Mosi salì sull’elicottero. Avrebbe fatto parte della prima ondata d’attacco. Monk non aveva scelta, era in debito con lui.

Khamisi si avvicinò a Paula Kane. I due avrebbero coordinato l’attacco via terra.

Monk si guardò attorno, oltre il turbine di sabbia e polvere. Le forze si erano radunate in fretta, arrivando a piedi, a cavallo, su motociclette arrugginite e camioncini sconquassati. Mosi aveva fatto circolare la voce e, come il suo grande antenato Shaka Zulu, aveva radunato un esercito di uomini e donne, con indosso pelli tradizionali, tute mimetiche consunte, jeans Levi’s. E ne stavano arrivando ancora.

Sarebbe toccato a loro tenere occupate le guardie dei Waalenberg, per conquistare la tenuta, se possibile. Come se la sarebbero cavata gli zulù contro le forze di sicurezza, dotate di armi ed esperienza superiori? Sarebbe stata un’altra Blood River?

C’era soltanto un modo per scoprirlo.

Monk s’infilò nell’affollato scompartimento posteriore. Mosi si accomodò accanto al maggiore Brooks. Erano seduti di fronte ad Anna, Lisa e Painter. Sul sedile posteriore c’era anche un altro nuovo arrivato, un guerriero zulù mezzo nudo, di nome Tau, con la cintura allacciata. Era mezzo girato per tenere una lancia corta puntata in gola al copilota dell’elicottero: il sovrintendente capo Gerald Kellog era seduto accanto a Gunther, legato e imbavagliato. Aveva un occhio gonfio, che stava diventando viola.

Monk toccò Gunther su una spalla e gli fece cenno col dito di far decollare il velivolo. Gunther rispose con un cenno del capo e azionò il collettivo. L’elicottero si sollevò con un gran rombo di motori.

Il suolo si allontanava sempre di più e davanti a loro si estendeva la tenuta. Monk era stato informato dei missili terra-aria di cui erano dotati i Waalenberg. Disarmato com’era, il lento elicottero commerciale sarebbe stato un facile bersaglio.

Non era una bella situazione.

Monk si sporse in avanti. «È ora di guadagnarsi la pelle, sovrintendente.»

Kellog sbiancò.

Soddisfatto, Monk prese il microfono della radio e lo accostò alle labbra del sovrintendente. «Colleghiamoci alla frequenza della sicurezza.»

Khamisi aveva già ottenuto i codici. Era quello il motivo dell’occhio nero di Kellog.

«Si attenga al copione», lo ammonì Monk, facendogli un sorriso maligno.

Kellog si scostò ancora un po’.

Il suo sorriso era davvero così terribile?

Per ribadire la minaccia, Tau premette la punta della lancia nel collo morbido dell’uomo.

La radio emise qualche scarica elettrostatica e Kellog trasmise il messaggio secondo le istruzioni. «Abbiamo ricatturato uno dei vostri prigionieri. Monk Kokkalis. Lo abbiamo a bordo, atterreremo all’eliporto sul tetto.»

Gunther controllava la risposta della sicurezza tramite le cuffie.

«Ricevuto. Passo e chiudo», disse ancora Kellog.

Gunther quasi gridò: «Ci hanno dato il via libera».

Puntò verso il basso il muso del velivolo, accelerando verso la tenuta. Dall’alto, il palazzo sembrava ancora più imponente.

Monk si girò, rimettendosi comodo sul sedile, di fronte a Lisa. Accanto a lei, Anna era appoggiata al finestrino, gli occhi strizzati per il dolore. Painter dondolava, tenuto dalle cinture, e gemeva. L’effetto del sedativo stava per finire.

Lisa lo fece appoggiare di nuovo allo schienale.

Monk notò che gli teneva la mano. Da tutto il viaggio.

Lisa e Monk si guardarono in faccia.

Lo sguardo di lei era pieno di paura, ma non per se stessa.

ore 14.56

«L’asta di trasmissione è sollevata?» chiese Baldric.

Isaak annuì, senza distogliere lo sguardo dalla console.

«Prepara la Campana per l’attivazione.» Baldric si rivolse a Gray: «Abbiamo inserito i codici del DNA dei suoi compagni nella Campana. Modificherà le emissioni per snaturare e distruggere selettivamente i DNA corrispondenti, rimanendo innocua per tutti gli altri. È la nostra versione della soluzione finale».

Gray pensò a Fiona nascosta nella stanza e a Monk che stava arrivando proprio in quel momento. «Non c’è bisogno di ucciderli. Avete ricatturato il mio compagno. Lasciate stare il ragazzo e la ragazza.»

«Se c’è una cosa che ho imparato in questi ultimi giorni, è che è meglio non lasciare nulla in sospeso.» Baldric fece un cenno a Isaak. «Attiva la Campana.»

«Aspettate!» gridò Gray, facendosi avanti.

Ischke aveva raccolto la sua pistola e gliela puntò contro.

Baldric si diede una breve occhiata alle spalle, annoiato e impaziente.

Gray aveva soltanto una carta da giocare. «So come decodificare il codice di Hugo.»

La sorpresa ammorbidì l’espressione severa di Baldric. Sollevò una mano, facendo cenno a Isaak di aspettare. «Davvero? Lei è in grado di fare ciò che una serie di computer non è riuscita a fare?»

Gray sapeva di dover offrire qualcosa a Baldric, qualsiasi cosa, per impedirgli di attivare la Campana e irradiare i suoi amici. Indicò il monitor che mostrava ciclicamente le rune. Il computer le rimescolava, in cerca di una combinazione logica.

«Da soli fallirete», affermò Gray.

«E perché?»

Gray si leccò le labbra secche. Aveva paura, ma doveva restare concentrato. Sapeva con certezza che il computer avrebbe fallito, perché lui aveva già risolto l’enigma delle rune. Non capiva la risposta, ma sapeva che era quella giusta, soprattutto considerando le origini ebree di Hugo Hirszfeld.

Ma quanto poteva rivelare? Doveva contrattare al meglio delle sue capacità, cercando un equilibrio tra la verità e la risposta.

«Avete preso la runa sbagliata dalla Bibbia di Darwin», disse Gray. Era la verità. «E ci sono seirune, non solo cinque.»

Baldric sospirò. Le rughe attorno alla bocca gli si fecero ancora più profonde per lo scetticismo. «Come la ruota del sole che ha disegnato l’altra volta, immagino.» Si voltò di nuovo verso Isaak.

«No! Lasci che glielo dimostri!»

Si guardò attorno e individuò un pennarello vicino a uno dei computer. «Passatemi quello.»

Con la fronte corrugata, Baldric fece un cenno a Isaak, che lanciò il pennarello verso Gray. Lui s’inginocchiò e fece un disegno sul linoleum grigio. «Questa è la runa della Bibbia di Darwin.»


«La Menschrune», disse Baldric.

Gray la picchiettò con un dito. «Rappresenta lo stato superiore dell’essere umano, il piano divino che si nasconde in tutti noi.»

«E allora?»

«Questo era l’obiettivo di Hugo Hirszfeld, il risultato finale cui mirava, giusto?»

Baldric annuì lentamente.

«Hirszfeld non avrebbe incorporato il risultatonel suo codice. Il codice conduce a questo.» Picchiettò più forte la runa. «Questo non può rientrare nel codice.»

A poco a poco si fece strada la comprensione e il vecchio cominciò a credergli. «Le altre rune nella Bibbia di Darwin…»

Gray fece altri disegni sul pavimento, per illustrare la sua argomentazione.


«Queste due rune costituiscono la terza.» Disegnò un cerchio attorno alle due rune biforcute. «Rappresentano l’umanità al suo livello più basilare, quello che conduce allo stato superiore. Perciò sono queste due che devono essere inserite nel codice.» Gray scrisse la serie originale di rune. «Questa è la sequenza sbagliata.»


Poi la cancellò e scrisse la serie corretta, dividendo l’ultima runa.


Baldric si avvicinò. «E questa è la serie corretta? Quella da decifrare?»

Gray disse la verità. «Sì.»

Baldric annuì, mentre rifletteva su quella rivelazione. «Credo che lei abbia ragione, comandante Pierce.»

Gray si alzò.

« Dank u», disse Baldric, poi si rivolse a Isaak: «Attiva la Campana e fai fuori i suoi amici».

ore 15.07

Lisa e Tau, il guerriero zulù, aiutarono Painter a scendere dall’elicottero. Il sedativo che gli avevano somministrato era di breve durata e l’effetto sarebbe finito di lì a qualche minuto.

Gunther sosteneva Anna, che aveva gli occhi velati. Si era iniettata un’altra dose di morfina contro il dolore, ma aveva cominciato a sputare sangue.

Davanti a loro c’erano Monk e Mosi D’Gana e ai loro piedi i cadaveri di tre sentinelle dell’eliporto. Gli agenti di sicurezza erano stati colti di sorpresa. Si aspettavano di ricevere un prigioniero. Era bastato qualche colpo esploso da un paio di pistole col silenziatore per assumere il controllo dell’area.

Monk fece cambio di posizione con Tau. «Resta qui, sorveglia l’elicottero e tieni d’occhio il prigioniero.»

Kellog era stato tirato fuori dal velivolo, ma era imbavagliato, aveva le mani ammanettate dietro la schiena e le caviglie legate. Non sarebbe andato da nessuna parte.

Monk fece cenno al maggiore Brooks e a Mosi D’Gana di fare strada. Avevano studiato tutti la mappa disegnata da Paula Kane e calcolato il percorso migliore per raggiungere il sotterraneo. Era piuttosto lontano.

Brooks e Mosi li guidarono fino all’accesso al palazzo, imbracciando i fucili d’assalto. I due si muovevano come se avessero già lavorato assieme, sincronizzati, efficienti. Anche Gunther aveva una pistola in mano e portava a tracolla un fucile a canne mozze. Armati fino ai denti, raggiunsero la porta.

Brooks scattò in avanti. Le chiavi magnetiche sottratte alle guardie aprirono loro la strada. Il maggiore e Mosi scomparvero all’interno, in avanscoperta. Gli altri rimasero indietro ad aspettare.

Monk guardò l’orologio. Il tempismo era essenziale.

Un breve fischio li raggiunse da sotto.

«Andiamo!» ordinò Monk.

Entrarono rapidamente e trovarono una breve rampa di scale che conduceva al sesto piano. Brooks era sul pianerottolo. Un’altra guardia era distesa sulle scale, col collo squarciato. Mosi era accovacciato al pianerottolo successivo, col coltello insanguinato in mano.

Continuarono a scendere per la spirale di gradini. Non incontrarono altre guardie. Come speravano, molte sentinelle erano concentrate all’esterno. L’ammassarsi dei guerrieri zulù aveva inevitabilmente attirato la loro attenzione.

Monk guardò l’orologio un’altra volta.

Raggiunto il secondo piano, lasciarono la tromba delle scale ed entrarono in un corridoio di legno lucido. Era ombroso e scuro. La luce delle lampade a muro era intermittente, come se l’impianto elettrico fosse ancora in panne dopo il blackout… Oppure qualcosa stava assorbendo un sacco di energia.

Lisa notò anche un odore di rancido.

Il corridoio terminava in un passaggio trasversale. Brooks andò in avanscoperta sulla destra, la direzione in cui dovevano andare. Ricomparve di colpo, e si appiattì contro la parete. «Indietro…»

Da oltre l’angolo provenne un ringhio feroce, di sfida, seguito da una serie di risate e guaiti eccitati. Poi un unico urlo stridente sovrastò tutto quanto.

« Ukufa», sussurrò Mosi, facendo cenno agli altri di tornare indietro.

«Via!» esortò Brooks. «Noi cercheremo di spaventarle, poi vi raggiungeremo.»

Monk trascinò via Lisa e Painter.

«Che cosa…» stava per chiedere Lisa, ma le parole le si spensero in gola.

«Qualcuno ci ha sguinzagliato dietro i cani», rispose Monk.

Gunther incespicava, trasportando di peso la sorella, che strisciava i piedi sul pavimento.

Dietro di loro ci fu un’esplosione di colpi.

I guaiti e gli ululati si trasformarono in urla di dolore e rabbia.

Corsero più forte.

Altri colpi echeggiarono, suonando quasi frenetici.

«Dannazione!» imprecò Brooks.

Lisa si guardò brevemente alle spalle.

Brooks e Mosi avevano abbandonato le loro posizioni e si affrettavano lungo il corridoio, continuando a sparare verso le bestie.

«Via, via, via!» gridava Brooks. «Sono troppe!»

Tre massicce creature dal pelo bianco comparvero da dietro l’angolo, con la bava alla bocca e il pelo ritto sul collo. Artigliavano il pavimento di legno mentre correvano a zigzag, quasi anticipando i proiettili, schivando i colpi mortali. Tutt’e tre avevano ferite sanguinanti, ma sembravano spronate, più che indebolite.

Lisa tornò a guardare avanti giusto in tempo per vedere una coppia di bestie della stessa razza uscire da direzioni opposte, alla fine del corridoio, bloccando la via di fuga.

Un’imboscata.

La possente pistola di Gunther esplose come un cannone assordante. Mancò la prima delle creature, che schivò il colpo con le movenze leggere di un’ombra.

Monk sollevò la sua arma, fermandosi.

Lisa proseguì, trasportata dallo slancio. Finì con un ginocchio a terra, trascinando con sé il corpo inerte di Painter.

Questi crollò al suolo, svegliandosi per l’impatto. «Dove…»

Lisa lo spinse a terra, mentre nel corridoio imperversava la sparatoria.

Alle sue spalle ci fu un urlo acuto. Si voltò di scatto. Una sagoma pesante e muscolosa si lanciò fuori da una porta vicina e sbatté Brooks contro il muro.

Lisa fuggì carponi, lanciando un grido.

Mosi intervenne, tuffandosi sulla bestia con la lancia in pugno e un ululato sulle labbra.

Lisa abbracciò Painter.

Quelle creature erano ovunque.

Un movimento attirò l’attenzione della donna. Un’altra bestia emerse da dietro una porta, sulla sinistra, facendo cigolare i cardini. Aveva il muso insanguinato. Gli occhi rossi brillavano nella stanza buia. Lisa ricordò l’immagine del primo monaco buddista che aveva visto, pazzo, famelico, ma ancora in grado di agire con astuzia e intelligenza.

Era la stessa cosa.

Mentre il mostro si avvicinava furtivo, scoprì i denti con un ringhio trionfante.


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