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L'ordine del sole nero
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Автор книги: James Rollins


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Триллеры


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15. LE CORNA DEL TORO

Sudafrica,

ore 15.10

Khamisi era disteso in un fosso, coperto da un telo mimetico.

«Tre minuti», disse Paula, accanto a lui.

I due studiavano la recinzione nera col binocolo.

Khamisi aveva distribuito le forze lungo i confini del parco. Alcuni dei suoi compagni zulù camminavano in bella vista, sorvegliando le vacche lungo vecchi sentieri. C’era un gruppo di anziani con coperte sulle spalle e ornamenti tradizionali. L’assembramento era mascherato da cerimonia nuziale.

Motociclette, ATV e furgoni erano stati parcheggiati a casaccio nella zona. Alcuni dei guerrieri più giovani, tra cui anche donne, si aggiravano attorno ai veicoli; c’erano coppie strette in abbracci amorosi, altri che sollevavano coppe di legno intagliato, gridando e fingendo di essere brilli. C’era un gruppo di uomini a torso nudo, dipinti per i festeggiamenti, intenti a saltare brandendo mazze, in una danza tradizionale. E, a parte le mazze, non c’erano altre armi in vista.

Khamisi mise a fuoco l’immagine nel binocolo. Si spostò leggermente, elevando il campo visivo sopra l’alta recinzione e i rotoli di filo spinato che la sovrastavano. Vide qualche movimento nel fogliame della giungla. Le forze dei Waalenberg si erano radunate sui sentieri sospesi per sorvegliare i confini.

«Un minuto», intonò Paula. Aveva un fucile da cecchino posato su un treppiede sotto il telo mimetico, che era nascosto all’ombra di un albero di stinkwood.

Con sua grande sorpresa, Khamisi aveva scoperto che la donna aveva vinto diverse medaglie d’oro nel tiro a segno olimpico. Abbassò il binocolo. La tradizionale strategia d’attacco zulù si chiamava il Bufalo.Il corpo principale, detto petto, avrebbe condotto un attacco frontale, mentre le corna del toroavrebbero colpito i fianchi, accerchiando il nemico e impedendo la ritirata. Ma Khamisi aveva previsto una leggera modifica, per compensare gli armamenti moderni. Era il motivo per cui aveva perlustrato il terreno tutta la notte, seminando le sue sorprese.

«Dieci secondi», avvisò Paula, cominciando un conto alla rovescia a bassa voce. Appoggiò la guancia al fianco del fucile.

Khamisi sollevò la trasmittente, girò la chiave e tenne il pollice sospeso sopra la fila di bottoni.

«Zero.»

Khamisi premette il primo bottone.

Oltre la recinzione, le cariche che aveva piazzato durante la notte esplosero con detonazioni fragorose, devastando le chiome degli alberi: scoppiavano in sequenza, in modo da creare il massimo caos. Pezzi di tavole e rami in fiamme si sollevarono in cielo, mentre uno stormo di uccelli prendeva il volo in preda al terrore, come un’esplosione di coriandoli di tutti i colori dell’arcobaleno.

Khamisi aveva piazzato pacchetti esplosivi C4, ottenuti tramite canali britannici, nei principali punti di supporto e di collegamento dei sentieri sospesi. Le esplosioni si diffusero, accerchiando il palazzo e facendo crollare i ponti, privando così le forze Waalenberg del vantaggio dell’altezza e suscitando panico e confusione.

Davanti a Khamisi, alcuni guerrieri zulù lasciarono cadere le coperte, rivelando i fucili che nascondevano, oppure s’inginocchiarono e, tirandoli per un lembo, dissotterrarono teli che celavano armi. Era il pettodel Bufalo. Tutt’attorno, i motori rombavano e i guerrieri montavano sui veicoli, trasformando le motociclette e i camioncini nelle corna del toro.

«Adesso», disse Paula.

Khamisi premette gli altri bottoni, l’uno dopo l’altro.

Quasi un chilometro di recinzione esplose, con metallo e filo spinato che si contorceva tra le fiamme. Grossi frammenti caddero al suolo, scoprendo il ventre del nemico.

Khamisi si liberò del telo mimetico e si alzò. Una motocicletta arrivò a tutta velocità da dietro, sollevando sabbia e polvere, mentre si fermava con una sgommata accanto a lui. Njongo gli fece cenno di montare in sella, ma Khamisi aveva un ultimo compito. Sollevò una sirena sopra la testa e premette il grilletto. Lo squillo di tromba echeggiò nella terra degli zulù, suonando ancora una volta la carica del Bufalo.

ore 15.13

L’eco delle detonazioni arrivò fin nel sotterraneo, facendo tremolare le luci nella stanza della Campana. Si fermarono di colpo: Baldric era accanto al nipote Isaak, presso la console, mentre Ischke sorvegliava Gray, a un passo di distanza, puntandogli la pistola al petto. Tutti guardarono il soffitto.

Tutti tranne Gray.

Lui mantenne lo sguardo fisso sul misuratore di potenza della console. Gli indicatori aumentavano lentamente, apprestandosi a raggiungere l’impulso massimo. Indifferente alle suppliche di Gray, Baldric aveva attivato la Campana. Un crescente ronzio pervadeva il cilindro di piombo attorno all’apparecchio. L’involucro esterno della Campana, mostrato in un monitor, emanava una luce blu chiara.

Una volta raggiunto il picco di potenza, un poderoso impulso sarebbe stato trasmesso nel raggio di otto chilometri, uccidendo Monk, Fiona e Ryan, ovunque fossero nascosti. Soltanto Gray era al sicuro, in quella stanza, sotto lo schermo.

«Scopri che sta succedendo», ordinò Baldric al nipote, quando le esplosioni cessarono.

Isaak stava già prendendo il telefono rosso.

Il colpo di pistola li fece sobbalzare tutti. Subito dopo le esplosioni smorzate suonò fragoroso e vicino.

Gray si voltò e vide il pavimento macchiarsi di sangue.

Dalla spalla sinistra di Ischke sgorgava uno zampillo cremisi, mentre la donna, colpita da dietro, girava su se stessa per l’impatto. Purtroppo teneva la pistola con la mano destra. Mirò alla persona che le aveva sparato, accanto alla porta.

La dottoressa Marcia Fairfield era appoggiata su un ginocchio, in posizione di tiro, ma, avendo il braccio destro inservibile, aveva sparato con la sinistra, fallendo il colpo mortale.

Per quanto colta di sorpresa, Ischke non poteva sbagliare mira.

Finché Gray non le si tuffò addosso.

Entrambe le pistole spararono con un fragore assordante. Nessuno dei colpi andò a segno.

Gray placcò Ischke da dietro, allontanandola da Marcia, ma la donna era forte e lottò selvaggiamente. Gray però riuscì ad afferrarle la mano con cui impugnava la pistola.

Suo fratello corse verso di loro, con un lungo pugnale nella mano.

Marcia sparò, ma non aveva una linea di tiro sgombra neanche per colpire Isaak, perché si frapponevano i corpi di Gray e Ischke, avvinghiati nella lotta.

Gray piantò il mento nella spalla sanguinante di Ischke. Forte. Lei boccheggiò, leggermente indebolita. Gray le sollevò il braccio e le strizzò le dita. La pistola sparò e lui sentì il rinculo nella propria spalla. Ma il colpo era troppo basso e finì sul pavimento, ai piedi di Isaak. Rimbalzando, però, il proiettile graffiò il polpaccio dell’uomo, facendolo incespicare.

Ischke, vedendo il gemello ferito, liberò furiosa il braccio e assestò una gomitata nelle costole a Gray. Gli mancò il fiato e sentì il dolore salirgli fino agli occhi.

Ischke si liberò. Dietro di lei, Isaak riprese a camminare regolarmente, in preda a una rabbia omicida. Gray non rimase ad aspettare. Lanciandosi in avanti, diede una spallata a Ischke da dietro. La donna, che non aveva ancora riguadagnato del tutto l’equilibrio dopo essersi liberata dalla presa di Gray, volò addosso al fratello.

Sul suo pugnale.

La lama dentellata le affondò nel petto.

Dalle labbra di Ischke proruppe un grido di sorpresa e di dolore, al quale fece eco quello di suo fratello. Le cadde la pistola di mano, mentre si aggrappava al gemello, incredula.

Gray si tuffò e prese la pistola prima che toccasse terra. Scivolando sulla schiena, prese di mira Isaak.

L’uomo si sarebbe potuto muovere – si sarebbe dovutomuovere —, ma si limitò a tenere la sorella tra le braccia, il volto una maschera d’agonia.

Gray lo centrò in testa e pose fine alla sua pena.

I due gemelli crollarono al suolo assieme, abbracciati, mentre il loro sangue si mescolava.

Marcia corse nella stanza, puntando la pistola contro Baldric. Il vecchio fissava i nipoti morti. Ma non c’era dolore nei suoi occhi. Appoggiato al bastone, mostrava soltanto un certo distacco clinico, come una costernazione per risultati di laboratorio deludenti.

La colluttazione era durata meno di venti secondi.

Gray notò che il misuratore di potenza della Campana era nella zona rossa. Forse gli rimanevano due minuti, prima dell’impulso.

Premette la canna bollente della pistola sulla guancia del vecchio. «La spenga.»

Baldric lo guardò negli occhi. «No.»

ore 15.13

Mentre l’eco delle esplosioni si disperdeva, ai piani alti del palazzo il corridoio cominciò a rianimarsi. Quando avevano cominciato a tuonare le bombe, le mostruose iene si erano appiattite sul pavimento. Alcune se l’erano svignata, ma la maggior parte era rimasta accanto alle prede.

Quegli ammassi di ferocia e muscoli si stavano rimettendo in piedi.

«Non sparate…» intimò Monk, sussurrando. «Tutti dentro quella stanza.»

Indicò una porta laterale, dove potevano resistere meglio, limitando la loro esposizione. Gunther trascinò Anna. Mosi D’Gana si allontanò dalla bestia che aveva impalato con la lancia e aiutò il maggiore Brooks a rialzarsi. Il sangue gli colava a fiotti da un profondo morso sulla coscia.

Prima che potessero fare un altro passo, qualche metro più in là si levò un ringhio selvaggio d’avvertimento.

Qualcuno sussurrò: «Monk…»

Lisa era accovacciata sulla sagoma di Painter, accasciato al suolo, accanto a un’altra porta. Una creatura imponente, di gran lunga più grande delle altre, comparve alle loro spalle, seminascosta dalla porta e riparata dietro Lisa e Painter.

Drizzò le spalle e assunse una postura decisa, sorvegliando la sua preda, poi scoprì i denti affilati come rasoi, ringhiando, il muso grondante di sangue e saliva. Negli occhi aveva un luccichio rosso vivo. Un avvertimento.

Monk intuiva che, se qualcuno avesse sollevato un’arma, la bestia si sarebbe scaraventata sulla coppia distesa a terra. Doveva correre il rischio, ma, prima ancora che si muovesse, un grido di comando risuonò nel corridoio.

«Skuld, no!»

Monk si voltò.

In fondo al corridoio comparve Fiona. Con incedere deciso, passò davanti a due creature, ignorandole mentre si lasciavano cadere su un fianco, miagolando.

In una mano portava un Taser, che emanava lampi blu. Nell’altra aveva un altro apparecchio: l’antenna era puntata sulla bestia che minacciava Lisa e Painter. «Brutto cagnaccio!»

Con grande meraviglia di Monk, la creatura fece un passo indietro e smise di ringhiare. Come in preda a un incantesimo, ciondolò per un po’ sulla soglia. Il fuoco le si spense negli occhi, mentre si lasciava cadere sul pavimento. Emise un mugghio sommesso, quasi estatico.

Monk guardava attonito in tutte le direzioni. Gli altri mostri erano caduti sotto lo stesso incantesimo.

«I Waalenberg hanno impiantato dei chip a queste bastarde», spiegò Fiona, soppesando il dispositivo che aveva in mano. «Per controllare dolore e piacere.»

L’imponente mostro sulla porta miagolò di soddisfazione.

Monk guardò perplesso la trasmittente. «Come ti sei procurata…»

Fiona lo fissò e agitò l’apparecchio, facendo cenno di seguirla.

«L’hai rubato», capì Monk.

Lei scrollò le spalle e s’incamminò lungo il corridoio. «Diciamo che mi sono imbattuta in una vecchia amica e in qualche modo mi è finito in tasca. Lei non lo stava usando.»

Ischke, pensò Monk, mentre radunava gli altri. Aiutò Lisa a sollevare Painter. Gunther portava Anna sottobraccio, mentre Mosi e Brooks si sostenevano a vicenda. Nel complesso, erano una squadra d’assalto alquanto mal messa.

Ma erano arrivati i rinforzi.

Il branco li seguiva: una dozzina di esemplari, ma altre bestie si stavano unendo a loro, attratte dall’aura di piacere che emanava dalla ragazza, una specie di pifferaia magica dei mostri.

«Non riesco a sbarazzarmene», spiegò Fiona, balbettando un po’. Monk notò che le tremavano le mani. Era terrorizzata. «Dopo che ho trovato il bottone giusto, hanno cominciato a seguirmi dalle loro gabbie. Mi sono nascosta nella stanza dove Gray mi aveva detto di aspettare, ma devono essere rimaste nei corridoi e nelle stanze qui attorno. Vi ho sentito gridare, poi le esplosioni e…»

«Va bene», la interruppe Monk. «Ma che mi dici di Gray? Dov’è?»

«È sceso in ascensore più di un’ora fa.» Indicò un punto più avanti, dove il corridoio terminava in una balconata. «Vi faccio vedere.»

Accelerò il passo. Gli altri cercarono di starle dietro, incespicando e controllando di quando in quando il branco alle loro spalle. Fiona li condusse giù per una rampa di scale, dove trovarono l’ascensore.

Zoppicando, il maggiore Brooks raggiunse la serratura elettronica e ci infilò diverse tessere magnetiche, prima di trovare quella che facesse accendere la luce verde. Si sentì un suono di motori. La cabina stava risalendo da qualche livello più basso.

Mentre aspettavano, le iene si beavano nel piacere emanato dal dispositivo di Fiona. Alcune camminavano a passi felpati nell’atrio, tra cui quella che Fiona aveva chiamato Skuld.

Nessuno parlava, tutti tenevano d’occhio i mostri.

In lontananza, attutiti dalla porta d’ingresso, arrivavano grida e colpi d’arma da fuoco. Khamisi era nel pieno della battaglia. Quanto tempo ci avrebbe messo per raggiungerli?

Come se qualcuno avesse letto nel pensiero di Monk, i due battenti si aprirono di colpo. Spari, scoppi ed esplosioni risuonarono acuti. Le urla si fecero più intense. Gli uomini si riversarono nel palazzo: le forze dei Waalenberg battevano in ritirata. Tra loro, Monk riconobbe le sagome vestite di nero dell’élite, i fratelli di un biondo glaciale. Una dozzina, ben poco turbati, come se fossero rientrati da una giornata rinfrescante sui campi da tennis.

Mentre all’esterno infuriava ancora la guerra, le due forze si fronteggiarono nell’atrio.

La squadra di Monk arretrò, costretta contro la parete, in svantaggio numerico.

Il rapporto era cinque contro uno.

ore 15.15

Gray si allontanò da Baldric Waalenberg. «Lo tenga d’occhio», ordinò a Marcia.

Lui andò alla postazione di lavoro di Isaak, continuando a guardare il misuratore di potenza della Campana. Allungò la mano verso un interruttore che Isaak aveva usato poco prima: controllava lo schermo protettivo che circondava il dispositivo attivato.

«Che sta facendo?» chiese Baldric, il tono della voce improvvisamente preoccupato.

Allora c’era qualcosa che faceva più paura al vecchio di un proiettile. Buono a sapersi. Gray spinse indietro l’interruttore. Si udì un rombo di motori da sotto il pavimento e lo schermo cominciò ad abbassarsi. Una luce blu penetrante filtrò dal bordo superiore, mentre il cilindro di piombo si allontanava dal soffitto.

«Lo fermi! Ci ucciderà tutti!»

«E allora spenga quella dannata cosa.»

Baldric aveva lo sguardo fisso, tra lo schermo che scendeva e la console. «Non posso spegnerla, ezel! La Campana ormai è innescata. Devescaricarsi.»

Gray alzò le spalle. «Allora la staremo a guardare mentre si scarica.»

L’anello di luce blu s’ispessiva.

Baldric imprecò e si diresse verso la console. «Ma posso neutralizzare la soluzione letale. Non recherà danno ai suoi amici.»

«Lo faccia.»

Baldric digitò rapidamente qualcosa sulla tastiera, con movimenti agili delle dita nodose. «Alzi quello schermo, però!»

«Quando lei avrà finito.» Gray sbirciava oltre la spalla dell’uomo. Vide tutti i loro nomi comparire sul monitor, assieme a un codice alfanumerico contrassegnato come Genetisch profiel.L’uomo premette il tasto DELETE quattro volte e i profili genetici furono cancellati.

«Fatto!» esclamò Baldric, voltandosi verso Gray. «Ora chiuda lo schermo!»

Gray fece scattare l’interuttore.

Si udì un cigolio dal basso, poi qualcosa si spaccò, facendo tremare il pavimento. Lo schermo di piombo si bloccò di colpo, ancora parzialmente abbassato.

Oltre il margine superiore, dal cuore della camera d’irradiazione, splendeva un sole blu. Attorno alla Campana l’aria s’increspava, mentre l’involucro esterno e quello interno giravano in direzioni opposte.

«Faccia qualcosa!» implorò Baldric.

«Il meccanismo idraulico si è inceppato», replicò Gray.

Baldric si allontanò, gli occhi sempre più spaventati a ogni passo. «Ci ha condannato tutti! Quando raggiungerà il picco di potenza, l’impulso della Campana ucciderà tutti nel raggio di otto chilometri, o peggio.»

Gray aveva paura di chiedere che cosa potesse essere peggio.

ore 15.16

Monk guardò i fucili sollevarsi contro di loro.

Inferiorità numerica.

L’ascensore non era ancora arrivato e, anche se le porte si fossero aperte in quel momento, ci sarebbe voluto troppo tempo per salire. Non c’era modo di evitare una sparatoria.

A meno che…

Monk si accostò a Fiona. «Che ne dici di un po’ di dolore…» E indicò con un cenno del capo le iene che si erano ritirate sulle scale.

Fiona non esitò e premette un bottone.

L’effetto fu istantaneo. Fu come se qualcuno avesse appiccato il fuoco alle code delle iene. Un urlo possente proruppe da una ventina di gole. Alcune creature si gettarono dalla balconata, cadendo fragorosamente al suolo. Altre rotolarono giù dalle scale, assalendo gli uomini. Artigli e denti attaccarono qualsiasi cosa che si muovesse, in preda a una furia cieca. Gli uomini urlavano e i fucili sparavano.

Alle spalle di Monk, finalmente si aprirono le porte dell’ascensore. Entrò nella cabina, trascinando con sé Fiona e guidando Lisa e Painter.

Ci fu una raffica di colpi nella loro direzione, ma per la maggior parte le forze dei Waalenberg erano concentrate sulle iene. Mosi e Brooks rispondevano al fuoco, battendo in ritirata verso l’ascensore.

Potevano farcela, ma poi? Allertate, le guardie dei Waalenberg avrebbero dato loro la caccia.

Monk premette a casaccio i bottoni dei piani sotterranei. Ci sarebbe stato abbastanza tempo per preoccuparsene in seguito.

Ma uno dei loro non era il tipo da procrastinare.

Gunther spinse Anna tra le braccia di Monk. «La prenda! Io li terrò a bada.»

Anna si protese verso il fratello, mentre le porte si chiudevano. Gunther si allontanò e si voltò dall’altra parte, pistola in una mano, fucile nell’altra, ma non prima di aver fissato Monk, suggellando un patto silenzioso.

Proteggi Anna.

Infine l’ascensore si chiuse.

ore 15.16

Khamisi attraversava la giungla a tutta velocità, curvo sulla motocicletta. Paula Kane era seduta dietro di lui, col fucile in spalla. Un guerriero zulù e un’agente britannica. Strani compagni di lotta: gli episodi più sanguinosi della storia del Paese si erano verificati durante le guerre tra inglesi e zulù del XIX secolo.

In quel momento, però, erano una squadra ben affiatata.

«Sinistra!» gridò Paula.

Khamisi sterzò di colpo. La canna del fucile della donna passò dall’altro lato. Quando sparò, una sentinella Waalenberg cadde a terra.

Sparatorie ed esplosioni echeggiavano tutt’attorno.

D’un tratto, senza preavviso, la moto sbucò in un giardino ben curato. Khamisi frenò bruscamente, fermandosi con una sgommata sotto i rami di un salice.

Davanti a loro, il palazzo occupava l’intera visuale.

Khamisi sollevò il binocolo che portava appeso al collo e scrutò il tetto. Individuò l’eliporto dove era atterrato l’elicottero del parco. Un movimento attirò la sua attenzione. Regolò il binocolo, mettendo a fuoco una sagoma familiare: Tau. Il suo amico zulù era vicino al bordo del tetto e osservava la battaglia in atto sotto di lui.

Poi, da sinistra, dietro Tau, un’altra sagoma entrò nel suo campo visivo, con una spranga sollevata sopra la sua testa: Gerald Kellog.

«Non ti muovere», disse Paula. Poggiò il calcio del fucile sulla spalla di Khamisi e inquadrò l’uomo nel mirino di precisione. «Lo vedo.»

Khamisi aveva paura, ma restò immobile, fissando l’immagine nel binocolo.

Paula premette il grilletto e il fucile esplose un colpo assordante, che gli riecheggiò nelle orecchie.

La testa del sovrintendente Kellog si piegò all’indietro, di scatto. Tau rischiò di volare giù per lo spavento, ma finì disteso sul tetto, inconsapevole di avere appena avuto salva la vita.

Ma come se la stavano cavando gli altri, là dentro?

ore 15.17

«Ci ha condannato!» ripeté Baldric.

Gray si rifiutava di arrendersi. «Può rallentare la Campana, abbastanza per darmi il tempo di scendere a riparare lo schermo?»

Il vecchio fissava lo schermo bloccato, con la corona di luce blu. Sul suo viso era dipinta la paura. «Forse c’è un modo, ma…»

«Ma cosa?»

«Qualcuno deve entrare là dentro.» Indicò la camera d’irradiazione col bastone tremante e scosse la testa, rifiutandosi di offrirsi volontario.

Una voce li raggiunse, mentre la porta si apriva. «Ci vado io.»

Gray e Marcia si girarono, sollevando le pistole.

Il malandato gruppetto che si presentò ai loro occhi aveva dell’incredibile. Monk entrò per primo, sostenendo la donna dai capelli scuri che aveva appena parlato. Gli altri erano in gran parte estranei. Un uomo anziano di colore entrò zoppicando, con un giovane ben rasato, dal taglio di capelli militare. Erano seguiti da Fiona e da una donna bionda, alta e atletica, che dava l’impressione di avere appena finito una maratona. I due sostenevano un uomo più anziano, un peso morto, che si reggeva a fatica. Sembrava che fosse solo l’inerzia a tenerlo in piedi. Non appena la donna si fermò, lui si afflosciò. Sollevò il viso, che fino a quel momento era rimasto abbassato, e guardò Gray con occhi blu familiari.

Lui lo riconobbe e rimase scioccato. «Direttore Crowe?»

Lo raggiunse di corsa.

«Non c’è tempo», l’ammonì la donna dai capelli scuri, ancora sostenuta da Monk. Sembrava che stesse un po’ meglio di Painter. I suoi occhi studiavano lo schermo e la Campana, come se fossero oggetti familiari. «Avrò bisogno d’aiuto per entrare. E lui verrà con me.» Sollevò un braccio tremante verso Baldric Waalenberg.

«No…» gemette il vecchio.

La donna lo fulminò con lo sguardo. «Avremo bisogno di quattro mani sui condotti delle polarità. E lei conosce la macchina.»

Monk fece un cenno all’uomo di colore. «Mosi, aiuta Anna a entrare. Avremo bisogno di una scala.» Quindi si voltò verso Gray e gli strinse brevemente la mano, poi gli sfiorò la spalla, in un gesto più familiare.

«Non abbiamo molto tempo», disse Gray all’orecchio di Monk, sorpreso di quanto fosse sollevato per il suo arrivo. Era pervaso da una nuova speranza.

«Non me ne parlare.» Monk si sganciò una radio e la passò a Gray. «Fai muovere quell’affare. Io resto qui a occuparmi del resto.»

Gray prese la radio e uscì. Aveva mille domande, ma doveva rimandare a più tardi. Tenne aperto il canale radio. Udiva rumori e voci, discussioni e qualche urlo. Sentì dei passi veloci dietro di sé e diede un’occhiata alle sue spalle.

Era Fiona. «Vengo con te!» Fu al suo fianco ancora prima che raggiungesse le scale antincendio, poi sollevò una trasmittente. «In caso ti imbattessi in uno di quei mostri.»

«Pensa a starmi dietro», rispose lui.

«Ma piantala!»

Corsero fino a raggiungere il corridoio e il locale macchine del livello inferiore.

Monk parlò alla radio. «Anna e il vecchio sono dentro la camera. Naturalmente lui non ne è entusiasta. Che peccato, stavamo diventando buoni amici.»

«Monk…» lo ammonì Gray, perché si concentrasse sul compito da svolgere.

«Sto per passare la radio ad Anna, si coordinerà con te. Ah, a proposito, hai meno di un minuto. Ciao.»

Gray scosse la testa e fece per aprire con uno strattone la porta del locale.

Chiusa a chiave.

Fiona lo vide fare un secondo tentativo e sospirò. «Niente chiave?»

Gray aggrottò le sopracciglia, estrasse la pistola dalla cintura e mirò alla serratura. Il colpo echeggiò nel corridoio, aprendo un buco fumante nella porta. L’aprì con una spinta.

Fiona lo seguì. «Va bene lo stesso, immagino.»

Adesso Gray aveva davanti il gruppo motore che serviva a sollevare e abbassare lo schermo protettivo.

La radio emetteva strane scariche elettrostatiche, che andavano su e giù come le onde su una spiaggia. Dovevano essere interferenze causate dalla Campana, pensò Gray. Evidentemente Monk aveva passato la radio ad Anna.

A conferma della sua supposizione, sentì la voce concitata della donna, fra un disturbo e l’altro. Era una discussione tecnica, in una furente miscela di tedesco e olandese. Gray la ignorò quasi del tutto, mentre girava attorno al gruppo motore.

Poi la voce della donna si fece più chiara, in inglese. «Comandante Pierce?»

«La sento.»

Lei aveva la voce rauca, estenuata. «Stiamo tamponando la falla, ma non terrà a lungo.»

«Tenete duro.» Gray individuò il problema. Era saltato il fusibile di uno dei pistoni. Con un lembo della camicia, lo tirò fuori. «Ci serve un altro di questi, Fiona. Cerca qua attorno.»

«Faccia presto, comandante.»

I disturbi elettrostatici divennero sempre più forti, ma non abbastanza da coprire le parole che Baldric sussurrò ad Anna, in tono insistente: «… si unisca a noi. Ci farebbe comodo un’altra esperta della Campana».

Per quanto spaventato, Baldric le provava tutte.

Gray ascoltò con maggiore attenzione. La donna li avrebbe traditi? Fece un cenno a Fiona. «Gettami quella trasmittente.»

Lei gliela tirò e lui staccò l’antenna di metallo. Non c’era tempo per trovare un fusibile di ricambio, ci voleva una soluzione di fortuna. Infilò l’antenna tra i contatti e si portò a una centralina di comando con una enorme leva manuale. Il funzionamento era intuitivo. In alto c’era scritto OP e in basso ONDER’AAN.

Su e giù. Non ci voleva uno scienziato.

Gray parlò nella radio. «Anna, lei e Baldric potete uscire di lì.»

«No, comandante. Uno di noi deve continuare a tamponare la falla. Se entrambi molliamo la presa, la Campana partirà all’istante.»

Gray chiuse gli occhi. Non potevano fidarsi della cooperazione di Baldric.

I disturbi elettrostatici erano diventati un frastuono costante nell’orecchio.

«Sa ciò che deve fare, comandante.»

E lo fece.

Spinse la leva.

Sentì le ultime parole della donna, lontane: «Dica a mio fratello, che gli voglio bene…»

Ma, mentre abbassava la radio, la donna aggiunse un’ultima affermazione. Poteva essere la risposta all’offerta di Baldric o un’ultima dichiarazione rivolta al mondo, oppure semplicemente una soddisfazione personale.

«Non sono una nazista.»

ore 15.19

Lisa s’inginocchiò, cullando Painter. Poi sentì il rombo di macchinari sotto le ginocchia. Il gigantesco schermo si sollevò verso il soffitto, imprigionando i raggi di luce blu.

Un urlo di terrore proruppe dall’interno. Era il vecchio.

Lisa vide le sue dita che arrancavano sul bordo dello schermo protettivo, cercando freneticamente di aggrapparsi. Troppo tardi. Lo schermo superò la sua portata e s’innestò perfettamente nella guarnizione ad anello sul soffitto.

Le urla dell’uomo si sentivano ancora, attutite, ma frenetiche.

Poi Lisa la sentì nello stomaco: una scarica potente di energia. Era indescrivibile. Come un terremoto senza movimento. Poi nulla. Silenzio assoluto.

Painter gemette, come se l’effetto fosse doloroso per lui. Gli occhi gli si erano rovesciati nelle orbite. Rantolava, come se avesse le vie respiratorie piene di liquidi.

Lisa lo scosse delicatamente. Nessuna reazione. Era in stato semicomatoso.

«Monk!»

ore 15.23

«Presto!» gridò Monk alla radio.

Gray risalì di corsa le scale, seguito da Fiona. Si era trattenuto di sotto soltanto per il tempo necessario a trovare un fusibile di ricambio e riparare lo schermo protettivo. Non capiva tutto ciò che Monk aveva riferito, ma colmò i vuoti con le conoscenze di cui era in possesso: Painter era affetto da una forma di avvelenamento da radiazioni e la Campana era l’unica possibilità di guarigione.

Mentre si avvicinava al pianerottolo del quinto piano, sentì dei passi pesanti scendere verso di loro. Estrasse la pistola. E adesso?

Una sagoma imponente, le sopracciglia folte e la carnagione chiara, comparve sopra di loro, quasi cadendo giù dalle scale. Aveva la camicia zuppa di sangue e un brutto graffio gli solcava il viso, dalla fronte alla gola. Si teneva un polso rotto contro il petto.

Gray sollevò l’arma.

Fiona lo superò. «No, è con noi.» E, a voce più bassa, aggiunse: «Il fratello di Anna…»

Il gigante li raggiunse incespicando. Anche lui riconobbe Fiona. Guardò di traverso Gray, con stanca diffidenza, ma indicò le scale col fucile. « Blockiert.»

Bloccate.

Quindi quel bestione aveva guadagnato tempo per loro, pagando col sangue.

Corsero lungo il corridoio verso la stanza della Campana. Ma Gray sapeva che doveva preparare Gunther. Dopo il sacrificio di Anna, aveva quantomeno quel debito con suo fratello.

Gli posò una mano sul braccio. «A proposito di Anna…»

Gunther si voltò, irrigidendosi, un’espressione di dolore negli occhi, come se si aspettasse il peggio.

Gray affrontò quella paura e spiegò tutto con parole chiare, senza risparmiare nulla, concludendo con la verità fondamentale. «Ci ha salvato tutti quanti.»

Mentre ascoltava, il gigante aveva rallentato il passo. Ciò che non avevano potuto le ferite lo fece il dolore. Crollò in ginocchio nel corridoio.

Gray si fermò. «Le sue ultime parole sono state un messaggio d’amore per te.»

L’uomo si coprì il viso e si accasciò al suolo.

«Mi spiace…» disse Gray.

Monk comparve sulla soglia. «Che diavolo stai…» Poi vide Gunther e la voce gli si spense in gola.

Ma, per loro, non era ancora finita.

ore 15.23

«Abbassa lo schermo!» ordinò Gray, entrando con Monk.

Lisa era di fronte alla console. Aveva passato gli ultimi minuti a prendere familiarità col dispositivo. Durante il viaggio fino alla tenuta, Anna aveva spiegato in dettaglio come funzionava la Campana. La donna temeva di essere troppo debilitata per poterne supervisionare l’utilizzo, perciò qualcun altro doveva imparare. Il compito era ricaduto su di lei.

«Lo schermo!» gridò di nuovo Gray.

Lei annuì debolmente e fece scattare l’interruttore.

Ci fu un gran fracasso di ingranaggi sotto il pavimento. La Campana era tornata quiescente, perciò non fuoriusciva più nessuna luce dall’interno. Un passo più in là, Painter era disteso sul pavimento, sopra un telo, assistito dalla dottoressa Fairfield. Sulla destra, Mosi e Brooks stavano coprendo con un altro telo i corpi dei gemelli.

Lo schermo continuava a scendere, era a un metro da terra. Al centro si ergeva la Campana, in attesa di essere riattivata. Lisa ricordò come l’aveva descritta Anna: il primo e ultimo strumento di misurazione dei quanti. Le faceva una paura tremenda.


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