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L'ordine del sole nero
  • Текст добавлен: 21 октября 2016, 20:09

Текст книги "L'ordine del sole nero"


Автор книги: James Rollins


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Триллеры


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Текущая страница: 23 (всего у книги 30 страниц)

«Dividiamoci, avremo più possibilità», disse Gray. «Devi cercare aiuto, trova un telefono e contatta Logan.»

«E tu?»

Gray non rispose. Non ce n’era bisogno.

«Rifletti, potrebbe essere già morta.»

«Questo non lo sappiamo.»

Monk scrutò l’espressione dell’amico. Aveva visto il mostro sullo schermo del computer e sapeva che Gray non aveva scelta.

Senza proferire parola, corsero in due direzioni opposte.

ore 06.34

Khamisi raggiunse il ponte sospeso, salendo su un albero all’altra estremità della radura, con movimenti rapidi e silenziosi.

Più giù, l’ ukufacontinuava a girare attorno all’albero, sorvegliando la sua preda in trappola. Il rumore violento e improvviso di qualche istante prima aveva messo in allarme la bestia, che era scesa dall’albero, cauta e diffidente, e aveva ripreso a fare la ronda, con le orecchie dritte. Dal palazzo proveniva l’eco di allarmi e clacson.

Quel trambusto preoccupava anche Khamisi. Tau e Njongo erano stati scoperti? O forse era stato individuato il loro accampamento, appena fuori dalla tenuta? Avevano camuffato il loro punto di raccolta come se fosse uno dei numerosi accampamenti di cacciatori nomadi zulù. Qualcuno si era accorto che nascondeva qualcos’altro?

Qualunque fosse la causa dell’allarme, perlomeno il trambusto aveva reso più guardinga la mostruosa iena gigante, l’ ukufa, e Khamisi aveva sfruttato la sua distrazione per raggiungere uno dei ponti sospesi. Rotolò sull’assito, tenendo pronto il fucile. L’ansia gli acuiva i sensi, ma il terrore l’aveva abbandonato. Khamisi aveva notato l’andatura della bestia, il ringhio sommesso e gracchiante, il crescendo di risate stridule e nervose, che diventavano ululati. Normale comportamento da iena. Nonostante le dimensioni mostruose, non era qualcosa di mitico o soprannaturale.

Khamisi percorse rapidamente il ponte, finché non arrivò in prossimità dell’albero del ragazzo, quindi prese una corda dallo zaino. Sporgendosi oltre il cavo d’acciaio che sosteneva la struttura, vide il giovane. Emise un fischio acuto, simile al richiamo di un uccello. Sebbene il ragazzo fosse concentrato sui movimenti della bestia sotto di lui, sentendo l’improvviso rumore trasalì, guardò in alto e vide Khamisi.

«Ti porterò fuori di qui», disse lui a bassa voce, in inglese, sperando che l’altro capisse.

Ma il ragazzo non fu l’unico a sentire Khamisi. L’ ukufapuntò i suoi occhi rossi su quelli dello zulù. Mentre studiava l’uomo sul ponte, socchiuse le palpebre e scoprì i denti. Khamisi scorse un’intelligenza calcolatrice in quello sguardo. Era quella la creatura che aveva aggredito Marcia?

Gli sarebbe piaciuto svuotare le canne del fucile su quel muso sorridente, ma il rumore di quell’arma di grosso calibro avrebbe attirato troppa attenzione. Alla tenuta erano già tutti in piena allerta. Perciò appoggiò il fucile accanto ai piedi: gli sarebbero servite entrambe le braccia.

«Ragazzo! Adesso ti getto una corda: avvolgitela attorno alla vita.» Mimò il movimento. «Ti tirerò su.»

Il giovane annuì, con gli occhi sgranati, il volto gonfio per le lacrime e la paura.

Sporgendosi oltre il bordo del ponte, Khamisi srotolò verso di lui un po’ di corda, che si fermò tra i rami più alti. «Dovrai arrampicarti fin lì!»

Il ragazzo non ebbe bisogno di essere spronato ulteriormente. Data la nuova possibilità di fuga, i suoi sforzi divennero molto più determinati. Scalciando e inerpicandosi, raggiunse il ramo sopra di lui e si legò la corda in vita, liberandola dalle fronde.

Khamisi tese la corda, fissandola attorno a uno dei cavi d’acciaio del ponte. «Adesso comincio a tirarti su, oscillerai un po’.»

«Presto!» gridò il ragazzo, troppo forte.

Khamisi si girò su un fianco e notò che l’ ukufasi era accorto dei movimenti del giovane e ne era attirato, come un gatto appresso a un topo. La bestia si stava arrampicando sull’albero, affondando gli artigli.

Non avendo tempo da perdere, Khamisi cominciò a tirare la corda, bracciata dopo bracciata. Sentì tutto il peso del ragazzo. Chinandosi, lo vide oscillare avanti e indietro come un pendolo.

Anche gli occhi dell’ ukufafacevano altrettanto, mentre continuava ad arrampicarsi. Khamisi capì le sue intenzioni: avrebbe spiccato un salto e preso al volo la sua preda, come un’esca sulla lenza.

Il guardacaccia issò più velocemente.

« Wie zijn u?» abbaiò all’improvviso qualcuno alle sue spalle.

Colto di sorpresa, Khamisi lasciò quasi andare la corda. Allungò il collo per guardare indietro.

Sul ponte c’era una donna alta e snella, vestita di nero, coi capelli biondi rasati e con lo sguardo ferino: una Waalenberg. Doveva averlo scoperto per caso. Aveva già in mano un coltello.

Khamisi non osava lasciar andare la corda.

Più giù, il ragazzo gridò.

Khamisi e la donna guardarono di sotto.

L’ ukufaaveva raggiunto la postazione precedente del ragazzo e si preparava a saltare. La donna fece una risata non tanto diversa da quella della bestia. Le assi scricchiolarono mentre si avvicinava alla schiena di Khamisi, col coltello in mano.

Erano in trappola.

ore 06.38

Gray s’inginocchiò. Il ponte si dipartiva in tre diverse direzioni: il ramo di sinistra conduceva al palazzo, quello centrale costeggiava il margine della foresta sovrastando i giardini della tenuta, quello di destra s’inoltrava nel cuore della giungla.

Da che parte?

Accovacciato, Gray studiò l’inclinazione delle ombre, confrontandola alle immagini che aveva osservato attentamente sul monitor del computer. La lunghezza e la direzione delle ombre gli avevano dato un’idea della posizione della gabbia di Fiona rispetto al sole che sorgeva. Ma rimaneva comunque un’ampia area di tenuta da percorrere.

Il ponte oscillò leggermente, scosso da un pesante calpestio.

Altre guardie.

Gray si era già imbattuto in altre due squadre. Mise in spalla il fucile, rotolò sino al bordo del ponte e si lasciò ciondolare. Appeso al cavo d’acciaio, si spostò fino al ramo di un albero per ripararsi. Un attimo dopo, tre guardie marciarono rumorosamente sul ponte, facendolo dondolare. Gray si tenne forte, poi, quando gli uomini furono passati oltre, usò il ramo come appoggio per ritornare sul ponte. Mentre si dava lo slancio e sollevava una gamba, notò la vibrazione ritmica del cavo tra le sue mani. Altre guardie?

Disteso sull’assito, appoggiò un orecchio al cavo d’acciaio, restando in ascolto, come un cacciatore indiano sulla pista di un animale. La vibrazione aveva un ritmo ben distinto e percepibile, come la corda metallica di una chitarra. Tre colpi veloci, tre lenti, ancora tre veloci. E si ripeteva.

Codice morse.

SOS.

Qualcuno stava mandando un segnale tramite il cavo.

Con movimenti cauti e furtivi, Gray ritornò al bivio. Toccò gli altri cavi: soltanto uno vibrava, quello che sosteneva la diramazione che s’inoltrava nella giungla. Era possibile che…

Non avendo altri indizi, Gray s’incamminò in quella direzione, cercando di non far oscillare il ponte.

Le diramazioni si susseguivano. Gray si fermava a ogni bivio per trovare il cavo che vibrava e seguirne la traccia. Era così concentrato sul percorso che, quando si abbassò per schivare le fronde di una palma, si trovò improvvisamente davanti una guardia, a soli quattro metri di distanza. Capelli castani, sui venticinque, sembrava un membro della gioventù hitleriana. Era appoggiato al corrimano d’acciaio, voltato verso di lui. Stava già sollevando il fucile, messo in allerta dal fruscio delle foglie.

Gray non aveva abbastanza tempo per usare il suo fucile. Mentre era ancora in movimento, si gettò di lato. Non era un tentativo di schivare la pallottola in arrivo, perché l’altro non poteva mancarlo a quella distanza.

Ma, andando a sbattere sul cavo d’acciaio che fungeva da corrimano, Gray lo fece vibrare.

La guardia, che vi era appoggiata, perse l’equilibrio e la canna del suo fucile finì puntata verso il cielo. L’agente Sigma gli fu addosso in un istante, pugnale alla mano.

Gray gli impedì di urlare, infilzandogli la lama nella trachea e lacerandogli la laringe. Bastò una torsione per far zampillare il sangue dalla carotide. Sarebbe morto in pochi secondi. Gray lo prese e lo gettò oltre il corrimano. Non provò nessun rimorso, ricordando le guardie che ridevano quando Ryan era caduto nella tana del mostro. Quanti altri erano morti in quel modo? Il corpo cadde in un sussurro di foglie fruscianti, poi si schiantò nell’erba.

Accovacciato, Gray rimase in ascolto. Qualcuno aveva sentito la guardia cadere?

A sinistra, sorprendentemente vicino, una donna gridò in inglese, con accento straniero. «Smettila di dare calci alle sbarre o ti buttiamo giù subito!»

Gray riconobbe quella voce: Ischke, la gemella di Isaak.

Una voce più familiare rispose alla donna. «Vaffanculo, brutta stronza!»

Fiona.

Nonostante il pericolo, Gray sorrise, orgoglioso di quella ragazzina.

Stando basso, raggiunse la fine del ponte, che sfociava in un anello sospeso, a incoronare una radura. L’aveva già visto sul monitor. La gabbia era appesa al passaggio sopraelevato.

Fiona continuava a prendere a calci le sbarre: tre colpi veloci, tre lenti, tre veloci. Il suo volto era il ritratto della determinazione. La vibrazione, trasmessa lungo i cavi di sostegno della gabbia, arrivava fino ai piedi di Gray.

Brava ragazza.

Doveva aver sentito gli allarmi del palazzo, e forse aveva immaginato che ci fosse di mezzo lui e aveva cercato di trasmettergli un segnale; oppure era solo infuriata e il messaggio in codice non era altro che una coincidenza.

Gray individuò tre guardie, posizionate a ore due, ore tre e ore nove. Ischke, sempre abbagliante nel suo completo bianco e nero, era dall’altra parte, a ore dodici: con entrambe le mani appoggiate sul corrimano interno, guardava in basso, verso Fiona.

«Forse una pallottola nel ginocchio ti calmerà», gridò, appoggiando la mano sulla fondina della pistola.

Fiona fermò il piede a mezz’aria, borbottò qualcosa e poi lo appoggiò.

Gray calcolò le proprie possibilità. Era solo, con un fucile, contro tre guardie, tutte armate, e Ischke, con la pistola.

Una scarica di disturbi elettrostatici risuonò nella radura, seguita da parole confuse. Ischke sganciò la radio e l’avvicinò alle labbra. « Ja?» Ascoltò per mezzo minuto, fece una domanda che Gray non riuscì a sentire, poi chiuse la comunicazione. Riponendo l’apparecchio, si rivolse alle guardie: «Abbiamo nuovi ordini. Uccidiamo la ragazza, subito!»

ore 06.40

L’ ukufaemise una serie di guaiti striduli, pronto a saltare addosso al ragazzo ciondolante. Khamisi sentiva la donna avvicinarsi alle sue spalle. Avendo le mani impegnate a tenere la corda, non poteva usare le sue armi.

«Chi sei?» chiese di nuovo la donna, minacciandolo col pugnale.

Khamisi fece l’unica cosa possibile. Piegando le ginocchia, si gettò oltre il corrimano d’acciaio. Mentre ruzzolava giù, si tenne forte alla corda, che fischiava attorno al palo d’acciaio. Mentre Khamisi cadeva, intravide il ragazzo che veniva proiettato verso l’alto, agitando le braccia e gridando per la sorpresa.

L’ ukufasaltò verso la preda in fuga, ma il peso di Khamisi catapultò il ragazzo verso il ponte, finché non vi andò a sbattere.

L’improvvisa battuta d’arresto fece perdere la presa al guardacaccia, il quale cadde di schiena nell’erba. Più su, il ragazzo si era aggrappato ai cavi del ponte, mentre la donna fissava Khamisi con gli occhi sgranati.

A pochi metri da lui, qualcosa di grosso atterrò pesantemente.

L’ ukufabalzò in piedi, ringhiando furiosamente e lanciando filamenti di saliva. Il suo sguardo rosso si posò sull’unica preda disponibile.

Khamisi non aveva il fucile, che era rimasto sul ponte. La creatura ululò, infuriata e assetata di sangue, poi gli saltò addosso, con l’intenzione di squarciargli la gola.

Khamisi afferrò la sua unica arma: la zagaglia zulù, che portava ancora legata alla coscia. Mentre l’ ukufacadeva su di lui, Khamisi sollevò la lama. Suo padre gli aveva insegnato come usarla, prima che partissero per l’Australia. Come tutti i ragazzi zulù.

Con un istinto che affondava le radici nel passato dei suoi antenati, Khamisi infilò la lama sotto le costole della creatura – un animale in carne e ossa, non mitica – e la spinse a fondo, mentre il peso della iena si abbatteva su di lui.

L’ ukufaurlò. Il dolore e lo slancio lo trasportarono oltre Khamisi, che si vide strappare di mano la lancia. L’uomo rotolò via, libero e disarmato. L’ ukufasi dimenava nell’erba e così la lama gli si avvitava sempre più in profondità nella carne. Gridò un’ultima volta, con un sussulto violento, poi si afflosciò.

Morto.

Lo sguardo di Khamisi fu attirato da un urlo furioso sopra la sua testa. La donna sul ponte aveva trovato il suo fucile e glielo stava puntando contro. Il colpo suonò come la detonazione di una granata. Un cespuglio esplose ai piedi dell’uomo e schizzi di terra si propagarono tutt’attorno. Khamisi arretrò. La donna aggiustò la mira, centrando meglio il bersaglio nel mirino.

Stranamente, il secondo colpo suonò più acuto.

Khamisi girò su se stesso, ma si accorse di essere illeso.

Guardò in alto appena in tempo per vedere la donna cadere dal ponte, il petto devastato e insanguinato.

Una nuova sagoma comparve sul ponte.

Un uomo muscoloso con la testa rasata. Teneva puntata una pistola, con un braccio teso appoggiato sul moncherino dell’altro. Si sporse oltre il cavo d’acciaio e vide il ragazzo, ancora appeso sotto il ponte.

«Ryan…»

Il giovane singhiozzò di sollievo. «Mi porti via di qui.»

«È proprio quello che vorrei fare…» replicò l’uomo, che guardò Khamisi. «Sempre che il nostro amico laggiù conosca una via d’uscita. Io mi sono perso.»

ore 06.44

I due colpi d’arma da fuoco echeggiarono nella foresta.

Un piccolo stormo di pappagalli verdi si sollevò in volo, attraversando la radura con un gran fragore di ali e schiamazzi di protesta.

Gray si acquattò. Avevano trovato Monk?

Ischke doveva aver pensato la stessa cosa, perché si girò nella direzione da cui provenivano i colpi e fece un cenno alle guardie. «Andate a vedere.»

Fucili alla mano, le guardie si lanciarono lungo il percorso circolare verso il punto in cui si trovava Gray, che, colto di sorpresa, si lasciò cadere dal ponte. Di lì a pochi secondi sarebbe stato nella visuale della prima guardia. Tentò di aggrapparsi al cavo d’acciaio, come aveva già fatto prima, ma nella fretta perse l’equilibrio e riuscì a malapena ad afferrarlo con una mano. Dondolò e il fucile gli scivolò dalla spalla. Contorcendosi e allungandosi, riuscì ad arpionare la cinghia di cuoio con un dito. Fece un silenzioso sospiro di sollievo.

Subito dopo le guardie passarono sopra di lui, facendo dondolare e sobbalzare il ponte.

La cinghia del fucile gli sfuggì dalle dita e l’arma cadde, infilandosi tra gli arbusti. Gray afferrò il cavo anche con l’altra mano e rimase lì appeso. Per fortuna il fucile non aveva sparato, cadendo a terra.

L’eco dei passi delle guardie si disperse in lontananza.

Gray sentì Ischke parlare alla radio.

Che fare?

Aveva solo un coltello, mentre la donna aveva una pistola.

Aveva soltanto il vantaggio della sorpresa, che era quasi sempre sopravvalutato.

Muovendo una mano dopo l’altra, Gray raggiunse il percorso circolare. Continuò a spostarsi lungo il bordo esterno, sempre aggrappato al cavo di sostegno, fuori dalla visuale della Waalenberg. Doveva muoversi lentamente, per evitare di far oscillare il ponte e allertare Ischke. Coordinò i movimenti alle occasionali folate di vento che arruffavano le chiome degli alberi.

Ma la sua presenza non passò inosservata.

Fiona si accovacciò nella gabbia, mettendo tutte le sbarre possibili tra sé e Ischke. Evidentemente aveva capito ciò che la donna aveva detto in olandese: Uccidiamo la ragazza, subito!Anche se gli spari l’avevano momentaneamente distratta, prima o poi Ischke sarebbe tornata a occuparsi di lei.

Dalla posizione avvantaggiata in cui si trovava, Fiona vide Gray, un gorilla con la tuta bianca che dondolava sotto il ponte, seminascosto dalle fronde. Sobbalzò per la sorpresa e quasi si alzò, poi si costrinse a rimanere accovacciata. Lo seguì con lo sguardo e si scambiarono un’occhiata.

Nonostante la spavalderia che aveva dimostrato, Gray le lesse il terrore in volto. Sembrava molto più piccola, nella gabbia, con le braccia avvolte attorno al petto, come per proteggersi. Temprata dalla strada, la sua unica difesa contro il panico più completo era urlare insulti. Solo così era riuscita a non crollare, ma ci mancava poco.

Gli fece alcuni segnali, usando i movimenti del corpo. Spostò lo sguardo verso il basso e scosse leggermente il capo, gli occhi sgranati e pieni di paura, avvertendolo che lì sotto non sarebbe stato al sicuro.

Lui scrutò l’erba folta e gli arbusti nella radura. Non vide nulla tra le ombre fitte, ma si fidò del monito di Fiona: Non cadere.

In quel momento era più o meno a ore otto lungo la circonferenza. Ischke si trovava a ore dodici. Gray aveva ancora una certa distanza da percorrere, ma aveva le braccia stanche e le dita doloranti. Doveva accelerare. Le continue soste e ripartenze erano sfiancanti. Tuttavia, muovendosi più rapido temeva di attirare l’attenzione di Ischke.

Evidentemente se ne rese conto anche Fiona. Si alzò e cominciò a prendere a calci le sbarre un’altra volta, scuotendo la gabbia e facendola ondeggiare.

Quell’oscillazione consentì a Gray di aumentare il ritmo. Purtroppo, però, fece anche infuriare Ischke.

La donna mise via la radio e gridò a Fiona: «Basta con le tue stupidaggini, bambina!»

Aggrappata alle sbarre, Fiona continuò a sferrare calci.

Gray passò rapidamente a ore nove.

Ischke si spostò verso il corrimano interno, da dove avrebbe potuto vederlo. Per fortuna era concentrata su Fiona.

La donna estrasse un apparecchio dalla tasca del maglione, allungò l’antenna coi denti e lo indirizzò verso Fiona. «È ora che tu conosca Skuld, che prende il nome dalla dea norrena del destino.»

Premette un bottone.

Quasi direttamente sotto i piedi di Gray, qualcosa ululò di rabbia e di dolore, uscì dimenandosi dalle ombre della giungla ed entrò con passo furtivo nella radura. Era una delle iene mutanti. Doveva pesare almeno centocinquanta chili, tutti muscoli e denti. Emetteva un ringhio sommesso e aveva il pelo irto sulla schiena. Abbaiò e morse l’aria, annusando la gabbia e scoprendo i denti.

Gray si rese conto che per tutto quel tempo il mostro doveva averlo tenuto d’occhio da laggiù. Sospettava già che cosa sarebbe successo.

Accelerò, superando le ore dieci.

Godendosi il terrore della ragazzina e prolungando la crudeltà, Ischke gridò: «Skuld ha un chip nel cervello che ci consente di stimolare la sua sete di sangue».

Premette il bottone un’altra volta. La iena ululò e saltò verso la gabbia, scagliando in aria filamenti di bava, in preda a un’incontrollabile furia assassina.

Era così, dunque, che i Waalenberg controllavano i propri mostri: innesti radiocomandati.

Ancora una volta, avevano soggiogato la natura per i propri scopi.

«È tempo di saziare l’appetito della povera Skuld», ironizzò Ischke.

Gray non sarebbe mai arrivato in tempo, ma fece più presto che poté.

Ore undici.

Mancava così poco…

Ma era troppo tardi.

Ischke premette un altro bottone. Gray sentì un secco rumore metallico: guardò la botola che si apriva sotto i piedi di Fiona e la ragazza che cadeva verso la bestia famelica.

L’uomo stava per lasciarsi andare, per raggiungerla e proteggerla.

Ma Fiona aveva imparato dall’errore di Ryan. Era pronta. Mentre cadeva si aggrappò alle sbarre e rimase appesa. Skuld saltò, cercando di morderle le gambe. Fiona le sollevò e si tirò su con le braccia, così la bestia la mancò e ricadde tra gli arbusti, ululando per la frustrazione.

Arrampicandosi, Fiona si aggrappò all’esterno della gabbia come una scimmia ragno.

Ischke rideva, godendosi il macabro spettacolo. « Zeer goed, meisje.Che intraprendenza! Grootvaderavrebbe potuto prendere in considerazione i tuoi geni per il suo repertorio. Ma purtroppo dovrai soddisfare Skuld.»

Ischke sollevò la pistola.

Gray si spostò sotto di lei, guardando attraverso le assi di legno.

«E ora finiamola…» borbottò la donna, in olandese.

Già, finiamola.

Gray si sollevò con le braccia e slanciò le gambe all’indietro, poi oscillò in avanti sino a portare le gambe sopra il ponte, come un ginnasta alla sbarra. Colpì Ischke al ventre, mentre la donna si sporgeva e puntava la pistola verso Fiona.

Mentre i talloni dell’uomo la colpivano, la pistola esplose un colpo.

Gray sentì il proiettile rimbalzare sul ferro.

Mancata.

Ischke cadde all’indietro, mentre Gray atterrava sull’assito e si alzava con una piroetta, pugnale alla mano. La donna era appoggiata su un ginocchio. La sua pistola era tra loro due.

Entrambi si avventarono sull’arma.

Nonostante il colpo subito, Ischke si rivelò estremamente veloce, come un serpente all’attacco. Fu lei a raggiungere la pistola per prima e ad afferrarla.

Gray le trapassò il polso con la lama del pugnale, che si piantò nell’assito. Lei urlò per la sorpresa, mentre le cadeva la pistola. Gray cercò di afferrarla, ma l’impugnatura rimbalzò sul legno mentre Ischke si dimenava, e l’arma volò giù.

La momentanea distrazione bastò alla donna per liberarsi il polso. Fece perno sull’altra mano e sferrò un calcio alla testa di Gray.

Lui tentò di schivare il colpo, ma lo stinco della donna lo colpì forte sulla spalla, come il paraurti di un’auto lanciata a tutta velocità. Gray si lasciò rotolare. Aveva preso una brutta botta. Quella donna era sorprendentemente forte.

Prima che potesse rialzarsi, lei gli si scagliò addosso, tentando di colpirlo e accecarlo con la punta della lama ancora infilata nel polso. Gray riuscì giusto in tempo a prenderle il braccio e torcerglielo; poi la trascinò verso il bordo del ponte e, senza fermarsi, rotolò giù assieme a lei.

Ma Gray aveva agganciato il ginocchio sinistro attorno a uno dei pali di sostegno. Il suo corpo si fermò di colpo, appeso per la gamba. Ischke si staccò da lui e continuò a cadere.

Appeso a testa in giù, Gray la vide precipitare, spezzando una serie di rami, per poi schiantarsi a terra.

Lui s’issò nuovamente sul ponte e rimase disteso. Incredulo, vide Ischke rimettersi in piedi, zoppicando, con una caviglia slogata e dolorante.

Un rumore accanto a lui lo fece trasalire.

Fiona aveva raggiunto il ponte, arrampicandosi su uno dei cavi cui era appesa la gabbia. Aveva approfittato della lotta per salire fino a lassù. Corse verso di lui, scuotendo la mano sinistra: dalla ferita che le aveva procurato Ischke scorreva ancora il sangue.

Gray guardò di nuovo in basso.

La donna lo fissava con uno sguardo assassino.

Ma non era sola nella radura.

Skuld si avventò su di lei da dietro, col muso basso nell’erba, come uno squalo, seguendo l’odore del sangue.

Le stava bene, pensò Gray.

Ma Ischke non fece altro che protendere il braccio sano verso la bestia. L’enorme iena si fermò di colpo, sollevò il muso grondante di bava e lo sfregò contro la mano della donna, come un pit bull feroce che salutava il suo violento padrone. Con gemiti e guaiti, si distese pancia a terra.

Ischke non aveva mai distolto lo sguardo da Gray.

Avanzò claudicante.

A qualche passo dalla donna, c’era la sua pistola in bella vista.

Gray prese Fiona per una spalla e la spinse in avanti. «Corri!»

La ragazzina non ebbe bisogno di essere incitata oltre: volava, spinta dalla paura e dall’adrenalina.

Fiona girò l’angolo tenendosi a uno dei piloni di sostegno, per non perdere l’equilibrio. Gray seguì il suo esempio. Mentre si metteva in salvo, una scintilla e un rimbalzo metallico accompagnarono un colpo d’arma da fuoco.

Ischke aveva trovato la sua pistola.

Ulteriormente spronati, corsero più veloci lungo il ponte diritto, distanziando la loro inseguitrice zoppa. Gray sperava che sarebbero stati al sicuro entro pochi istanti, mentre si avvicinavano a un bivio. La cautela vinse il panico.

Fece rallentare Fiona nei pressi dello stesso incrocio al quale si era fermato prima. I sentieri si dipartivano in ogni direzione. Da che parte? A quel punto era più che probabile che Ischke avesse dato l’allarme, a meno che la caduta non avesse distrutto la radio, ma non si poteva far affidamento su quello. Bisognava presumere che le guardie stessero già confluendo lì.

E Monk? Che cosa lasciava presagire la sparatoria che aveva attirato le guardie di Ischke? Era vivo o morto? Era stato catturato? C’erano troppe incognite. Gray aveva bisogno di un posto in cui nascondersi, per far raffreddare la sua pista.

Ma dove?

Guardò il sentiero che conduceva al palazzo.

Nessuno li avrebbe cercati lì. Forse poteva raggiungere una linea telefonica esterna e magari scoprire anche qualcosa di utile…

Ma era una vana speranza. Il palazzo era chiuso, come una fortezza.

Fiona capì cosa stava pensando. Lo tirò per un braccio ed estrasse qualcosa da una tasca. Sembravano due carte da gioco appese a una catenella. Gliele mostrò.

Non erano carte da gioco. Erano chiavi magnetiche.

«Le ho fregate a quella stronza glaciale», spiegò Fiona. «Così impara a farmi a fette.»

Gray prese le carte magnetiche e le esaminò. Ricordò che Monk aveva sgridato Fiona per non aver rubato le chiavi al direttore del museo, quando erano intrappolati nella cripta di Flimmler. Sembrava che la ragazza avesse imparato la lezione.

Esaminò ancora una volta il palazzo, scrutandolo con gli occhi semichiusi.

Grazie alla sua piccola borseggiatrice, aveva le chiavi del castello.

Ma che cosa doveva fare?


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