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L'ordine del sole nero
  • Текст добавлен: 21 октября 2016, 20:09

Текст книги "L'ordine del sole nero"


Автор книги: James Rollins


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Триллеры


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Lisa scosse la testa.

Anna incrociò le braccia, soddisfatta. «C’è un vuoto evoluzionistico che anche Darwin fa fatica a colmare.»

«Tuttavia», ribatté Lisa, rifiutandosi di cedere, «colmare quel vuoto mettendo in mezzo Dio non è scienza. Il fatto che non abbiamo ancora una risposta per colmare quel vuoto non significa che ci sia una causa soprannaturale.»

«Non sto dicendo che è soprannaturale. E poi, chi dice che io non ho una risposta per colmare quel vuoto?»

Lisa la guardò a bocca aperta. «Quale risposta?»

«Una cosa che abbiamo scoperto decenni fa, grazie ai nostri studi sulla Campana. Una cosa che altri ricercatori stanno cominciando a esplorare seriamente soltanto adesso.»

«E che cos’è?» Lisa si accorse di avere cambiato posizione sulla sedia, rinunciando a qualsiasi tentativo di nascondere il suo interesse per tutto ciò che aveva a che fare con la Campana.

«La chiamiamo evoluzione quantica.»

«Che cosa c’entrano i quanti con l’evoluzione?»

«Non solo questo nuovo campo dell’evoluzione quantica rappresenta il sostegno più forte alla tesi del disegno intelligente, ma risponde anche alla domanda fondamentale: chi è l’ artefice.»

«Sta scherzando… E chi sarebbe? Dio?»

« Nein.» Anna la guardò dritto negli occhi. «Noi.»

Prima che la donna potesse proseguire nelle sue spiegazioni, da una vecchia radio appesa alla parete proruppe una raffica di crepitìi elettrostatici, dai quali emerse una voce familiare.

Era Gunther. «Abbiamo una traccia del sabotatore. Siamo pronti a intervenire.»

Büren, Germania,

ore 07.37

Gray sorpassò un vecchio autocarro col pianale carico di fieno. Inserì la quinta e imboccò a tutta velocità l’ultimo tornante. Giunto in cima alla collina, dominava la vallata di fronte a lui.

«La valle di Alme», disse Monk, aggrappandosi alla maniglia sopra la portiera.

Gray rallentò, scalando le marce.

Monk lo guardava in cagnesco. «Vedo che Sara ti ha dato lezioni di guida all’italiana.»

«Quando sei a Roma…»

«Ma noi non siamo a Roma.»

Evidentemente no. Di fronte a loro si estendeva un’ampia valle fluviale, una grande conca verde coperta di prati, foreste e campi coltivati. Un tipico villaggio tedesco da cartolina era accoccolato in mezzo alla pianura, con le case di pietra incastonate in mezzo a strade anguste e tortuose.

Ma tutti gli sguardi erano fissi sul castello abbarbicato sulla cresta della collina, all’altra estremità della valle. Circondato dalla foresta, dominava la cittadina dall’alto, con le sue torri protese verso il cielo e le bandiere che sventolavano in cima. Per quanto massiccio e imponente, come molte delle strutture fortificate lungo il fiume Reno, il castello aveva inoltre un che di fiabesco, evocava immagini di principesse incantate e cavalieri su stalloni bianchi.

«Se Dracula fosse stato gay, quel castello avrebbe fatto proprio al caso suo», commentò Monk.

Gray capì cosa intendeva. Quel posto aveva qualcosa di vagamente sinistro, ma forse era soltanto il cielo minaccioso a nord. Ci voleva una buona dose di fortuna per arrivare al villaggio prima del temporale. «Dove andiamo, adesso?»

Dal sedile posteriore si sentì un suono di carta spiegazzata. Fiona stava guardando la cartina che aveva sequestrato a Monk, assumendo il ruolo di navigatore, dato che ancora non aveva rivelato la destinazione finale. Si sporse in avanti e indicò il fiume. «Devi attraversare quel ponte.»

«Sei sicura?»

«Sì, sono sicura, so leggere una cartina.»

Gray si addentrò nella valle, evitando una lunga fila di ciclisti abbigliati con una variopinta gamma di maglie da corridori. Spinse la BMW lungo la strada tortuosa che conduceva al fondovalle ed entrò nel villaggio.

Sembrava uscito da un altro secolo. C’erano vasi colmi di tulipani sui davanzali e tutte le case avevano tetti spioventi con timpani altissimi. Dalla strada principale si dipartivano vie acciottolate. Passarono per una piazza con caffè e birrerie all’aperto tutt’attorno e un palco d’orchestra al centro, dove, Gray ne era certo, un’orchestrina polk suonava ogni sera.

Poi attraversarono il ponte e ben presto si ritrovarono fra campi e piccole fattorie.

«A sinistra!» esclamò Fiona.

Gray dovette frenare di colpo e infilare la BMW in una curva stretta. «La prossima volta avvertimi con un po’ di anticipo.»

La strada si stringeva, fiancheggiata da alte siepi. L’asfalto lasciò il posto all’acciottolato. La BMW sussultava su quella superficie irregolare. Ben presto tra i ciottoli videro spuntare erbacce e davanti a loro comparve un cancello di ferro, aperto.

Gray rallentò. «Dove siamo?»

«Dove volevi arrivare», rispose Fiona. «La tenuta Hirszfeld.»

Gray superò il cancello. Il cielo divenne ancora più scuro e cominciò a gocciolare. Una pioggia leggera, che in un attimo divenne torrenziale.

«Giusto in tempo», osservò Monk.

Oltre il cancello si apriva un ampio cortile, incorniciato su due lati dalle ali di una piccola villa di campagna. La costruzione principale, di fronte a loro, era di due piani, ma il tetto di tegole di ardesia aveva diversi rialzi spioventi, che le conferivano una certa maestosità.

Un fulmine squarciò fragorosamente la coltre nuvolosa, richiamando i loro sguardi al cielo. Il castello che avevano notato in precedenza si ergeva proprio in cima alla collina boscosa dietro la tenuta. Sembrava che incombesse minaccioso sulla villa.

«Ehi!» gridò qualcuno.

Gray si voltò a guardare. Un ciclista che stava cercando di ripararsi dalla pioggia con la sua bicicletta si era quasi fatto investire. Il giovane, che indossava una maglia da calcio gialla e pantaloncini da ciclista, colpì il cofano della BMW a mano aperta e apostrofò Gray: «Guarda dove vai, amico!»

Fiona aveva già abbassato il finestrino posteriore e cacciato fuori la testa. «Vaffanculo, stronzo! Perché non stai attento tu a dove corri con quei pantaloncini da checca!»

Monk scosse la testa. «A quanto pare Fiona si è procurata un appuntamento per questa sera.»

Gray fermò l’auto in un parcheggio vicino alla costruzione principale. C’era soltanto un’altra auto, ma notò una schiera di biciclette da corsa e mountain bike incatenate a rastrelliere. Sotto una tettoia c’era un gruppo di giovani scapigliati, con gli zaini appoggiati a terra. Li sentì parlare mentre spegneva il motore. Spagnoli. Quel posto doveva essere un ostello della gioventù. O almeno lo era diventato. Sentiva praticamente l’odore di patchouli e hashish.

Erano nel posto giusto? Anche se così fosse stato, Gray dubitava che avrebbero trovato qualcosa di utile, lì. Ma avevano fatto tanta strada. «Aspetta qui. Monk, resta con…»

La portiera posteriore si aprì e Fiona scese dall’auto.

«La prossima volta, scegli il modello con la chiusura di sicurezza per i bambini», ironizzò Monk, mentre apriva la portiera.

«E piantala!» Gray la seguì. Con lo zaino in spalla, Fiona avanzava a grandi passi verso la porta principale dell’edificio. Lui la raggiunse sui gradini della veranda e la prese per un braccio. «Rimaniamo uniti. Nessuno si deve allontanare da solo all’improvviso.»

Lei lo guardò in faccia, altrettanto arrabbiata. «Esatto, rimaniamo uniti. Nessuno si deve allontanare all’improvviso. Il che significa che non mi molli su un aeroplano o su un’auto.» Si liberò dalla sua presa e aprì la porta.

Uno scampanio annunciò il loro ingresso.

Un impiegato della reception alzò lo sguardo dal bancone di mogano appena dietro la porta. Nel camino ardeva ancora la brace di un fuoco acceso all’alba, per scacciare il freddo del mattino. L’atrio era di travi cave e mattonelle d’ardesia. Le pareti erano decorate con affreschi sbiaditi, che sembravano antichi di secoli. Nel complesso, però, l’edificio non sembrava ben tenuto: l’intonaco era sgretolato, le travi erano impolverate, i tappeti sfilacciati e scoloriti. Di certo la villa aveva vissuto giorni migliori.

L’impiegato fece loro un cenno di saluto. Era un giovanotto sulla ventina, biondo, con una maglia da rugby e ampi pantaloni verdi. Sembrava una matricola universitaria. « Guten morgen.»

Monk diede un’occhiata in giro, mentre un tuono rimbombava nella valle. «Non è mica tanto gutquesta mattina.»

«Ah, americani», disse l’impiegato, che aveva sentito le lamentele di Monk. Aveva un tono leggermente freddo.

Gray si schiarì la voce. «Ci chiedevamo se questa fosse la vecchia tenuta Hirszfeld.»

L’impiegato sgranò gli occhi. « Ja, aber…È il Burgschloß Hostel da quasi vent’anni, quando mio padre, Johann Hirszfeld, l’ha ereditata.»

Quindi erano nel posto giusto. Gray lanciò un’occhiata a Fiona, che inarcò le sopracciglia, come a chiedergli: Che c’è?Era impegnata a frugare nel suo zaino. Lui pregò che, come aveva detto Monk, non contenesse granate. Poi si rivolse nuovamente all’impiegato: «È possibile parlare con suo padre?»

«A proposito di che cosa?» Era ritornato quel tono gelido, accompagnato da una certa diffidenza.

Fiona spinse da parte Gray. «A proposito di questo.» Sbatté sul bancone un libro dall’aspetto familiare: la Bibbia di Darwin.

Gray l’aveva lasciato nel jet, ben custodito. Anzi non tanto bene, a quanto sembrava.

«Fiona…» l’ammonì.

«È mio», replicò lei.

L’impiegato prese il libro e lo sfogliò, senza riconoscerlo. «Una Bibbia? Non consentiamo di fare proselitismo, qui all’ostello.» Chiuse il libro e lo fece scivolare verso Fiona. «Inoltre mio padre è ebreo.»

Visto che ormai avevano vuotato il sacco, Gray procedette in modo più diretto. «Questa Bibbia apparteneva a Charles Darwin. Crediamo che un tempo facesse parte della biblioteca della sua famiglia. Vorremmo fare a suo padre qualche domanda in proposito.»

Il giovane guardò la Bibbia con un atteggiamento più serio. «La collezione è stata venduta prima che mio padre rilevasse la tenuta. Io non l’ho mai vista. Ho sentito dire dai vicini che era appartenuta alla mia famiglia per secoli.»

Girò attorno al bancone della reception e fece strada, passando davanti al camino e attraversando un arco per entrare in una sala adiacente. Una parete aveva una serie di finestre alte e sottili, che conferivano alla stanza un’atmosfera da chiostro. La parete opposta ospitava un camino abbastanza grande da poterci entrare in piedi. C’erano file di tavoli e panche nella sala, che era vuota, a parte la signora anziana col grembiule che stava spazzando il pavimento.

«Questa sala era l’antica biblioteca di famiglia, ora è il refettorio dell’ostello. Mio padre si è rifiutato di vendere la proprietà, ma c’erano tasse arretrate da pagare. Immagino che la biblioteca sia stata venduta per lo stesso motivo, mezzo secolo fa. Mio padre ha dovuto mettere all’asta gran parte dell’arredamento originario. Con ogni generazione scompare un frammento di storia.»

«Un peccato», commentò Gray.

L’impiegato annuì e cominciò ad allontanarsi. «Vado a chiamare mio padre. Vediamo se è disposto a parlare con voi.»

Qualche minuto dopo, il giovanotto fece loro cenno di raggiungerlo presso una porta a due battenti, da cui si accedeva alla zona privata della tenuta.

Mentre li accompagnava nella parte posteriore della casa, si presentò come Ryan Hirszfeld. Li condusse a una serra di vetro e bronzo, con felci in vaso e bromeliacee lungo le pareti. Su un lato della serra c’erano scaffali sfalsati carichi di campioni vegetali assortiti, alcuni dei quali sembravano erbacce. Contro il lato posteriore si ergeva una palma, con la chioma rasente il soffitto di vetro e qualche fronda ingiallita per mancanza di cure. L’intera serra dava l’idea di essere trascurata e lasciata a se stessa, sensazione acuita dall’acqua che gocciolava in un secchio, da una crepa in una delle finestre.

Al centro, un uomo malaticcio era seduto su una sedia a rotelle, con una coperta sulle gambe, e guardava fuori, verso il cortile sul retro. La pioggia scivolava lungo le superfici esterne, facendo apparire incorporeo e irreale il mondo al di là dei vetri.

Ryan si avvicinò all’uomo con un atteggiamento quasi timido. « Vater. Hier sind die Leute mit der Bibel.»

« Auf Englisch, Ryan, auf Englisch.» L’uomo spinse la carrozzina, facendo perno su una ruota, per voltarsi verso di loro. Aveva una pelle sottilissima e un sibilo nella voce. Probabilmente soffriva di enfisema, pensò Gray.

Ryan, il figlio, aveva un’espressione addolorata. Gray si chiese se ne fosse consapevole.

«Sono Johann Hirszfeld», disse il vecchio. «E così siete venuti a indagare sull’antica biblioteca. Certo che se ne stanno interessando in molti, ultimamente. Non una parola per decenni e adesso due volte in un anno.»

Gray ricordò ciò che gli aveva raccontato Fiona sul signore anziano che era andato alla libreria di Grette a consultare gli archivi. Doveva aver visto la ricevuta e seguito quella traccia sino a lì, come loro.

«Ryan dice che avete uno dei libri.»

«La Bibbia di Darwin», disse Gray.

Il vecchio protese le mani. Fiona fece un passo avanti e gli consegnò il libro. Lui se lo mise in grembo. «Non la vedo da quando ero ragazzo.» Diede uno sguardo al figlio. « Danke, Ryan. È meglio che torni a occuparti della reception.»

Ryan annuì e, riluttante, fece un passo indietro; poi si girò e se ne andò.

Johann attese che suo figlio chiudesse la porta della serra, quindi sospirò, guardando nuovamente la Bibbia. Aprì la copertina ed esaminò l’albero genealogico della famiglia Darwin. «Questo era uno dei beni cui mio padre teneva di più. La Bibbia è stata donata al mio bisnonno nel 1901 dalla British Royal Society. All’epoca mio bisnonno era un insigne botanico.»

Gray sentì una certa malinconia nella voce dell’uomo.

«La nostra famiglia ha una lunga tradizione di studi e scoperte in campo scientifico. Nulla di paragonabile a Herr Darwin, ma ci siamo guadagnati qualche nota a piè di pagina.» Il suo sguardo vagò nuovamente verso l’esterno, sulla tenuta battuta dalla pioggia. «Ormai è tutto finito da un pezzo. Ora credo che dovremo accontentarci di essere noti come albergatori.»

«A proposito della Bibbia, ci può raccontare qualcos’altro? La collezione è sempre stata qui?»

« Natürlich.Quando qualcuno dei miei parenti andava all’estero per motivi di ricerca, a volte portava con sé alcuni dei libri. Ma questo libro ha lasciato la casa solo una volta. Lo so soltanto perché ero presente quando è stato rispedito per posta da mio nonno. La cosa ha creato un gran clamore.»

«Perché?»

«Immaginavo che me lo avrebbe chiesto. È per questo che ho fatto uscire Ryan: è meglio che non sappia.»

«Chiesto che cosa?»

«Mio nonno Hugo lavorava per i nazisti, così come mia zia Tola. Quei due erano inseparabili. In seguito ho scoperto, tramite voci sussurrate con indignazione tra i miei parenti, che erano coinvolti in un qualche progetto segreto di ricerca. Entrambi erano biologi illustri e rinomati.»

«Che tipo di ricerca?» chiese Monk.

«Nessuno lo ha mai saputo. Sia mio nonno sia zia Tola sono morti alla fine della guerra. Ma un mese prima è arrivata una cassa inviata da mio nonno. Conteneva la parte della biblioteca che aveva portato con sé. Forse sapeva che il suo destino era segnato e voleva preservare quei libri. Cinque libri, per la precisione.» L’uomo picchiettò la Bibbia. «Questo era uno di quei libri, anche se nessuno è stato in grado di spiegarmi che cosa se ne facesse della Bibbia come strumento di ricerca.»

«Forse era per sentirsi a casa», disse Fiona, a bassa voce.

Johann sembrò accorgersi finalmente della ragazza. Annuì lentamente. «Forse. Magari rappresentava un legame con suo padre, una specie di approvazione simbolica per quello che stava facendo.» Il vecchio scosse la testa. «Lavorare per i nazisti, che mestiere orribile…»

Gray ricordò ciò che aveva detto Ryan. «Un momento: ma lei è ebreo, vero?»

«Sì, ma deve sapere che la famiglia della mia bisnonna, la madre di Hugo, era purae aveva legami col partito nazista. Perciò, quando sono cominciate le persecuzioni di Hitler, la nostra famiglia è stata risparmiata. Eravamo Mischlinge, mezzosangue. Abbastanza tedeschi per evitare una sentenza di morte. Ma, per provare la propria fedeltà, mio nonno e mia zia finirono per essere reclutati dai nazisti, che stavano raccogliendo scienziati come scoiattoli in cerca di nocciole.»

«Perciò sono stati costretti a collaborare», osservò Gray.

Johann concentrò lo sguardo sul temporale. «Erano tempi complicati. Mio nonno aveva qualche credenza strana.»

«Per esempio?»

Johann parve non aver sentito la domanda, aprì la Bibbia e ne sfogliò le pagine. Gray notò gli appunti scritti a mano. Fece un passo avanti e indicò alcuni di quei segni confusi.


«Ci chiedevamo cosa fossero questi», disse.

«Conoscete la società di Thule?» chiese il vecchio, come se non avesse sentito la domanda.

Gray scosse la testa.

«Era un gruppo estremista di nazionalisti tedeschi. Mio nonno ne era membro dall’età di ventidue anni perché la famiglia di sua madre aveva legami coi fondatori. Credevano profondamente nella filosofia dell’ Übermensch.»

«Il superuomo.»

«Esatto. La società prese il nome dalla mitica terra di Thule, i resti del regno perduto di Atlantide, la terra di una razza superiore.»

Monk emise un verso di scherno.

«Come dicevo, mio nonno coltivava alcune strane credenze», proseguì ansimando Johann. «Ma non era il solo, all’epoca, soprattutto da queste parti. È stato in queste foreste che le antiche tribù tedesche dei teutoni resistettero alle legioni romane, definendo i confini tra la Germania e l’Impero Romano. La società di Thule credeva che questi guerrieri teutonici fossero discendenti di quella razza superiore scomparsa.»

Gray comprendeva quale fosse l’attrattiva di quel mito. Se quegli antichi guerrieri erano superuomini, i loro discendenti, i tedeschi dell’era moderna, ne conservavano ancora il patrimonio genetico. «Era la base della filosofia ariana.»

«Le loro credenze erano mescolate anche a misticismo e simbologia occulta. Non le ho mai capite del tutto. Comunque, secondo i miei familiari, mio nonno era insolitamente curioso. Alla ricerca di cose strane, indagava sui misteri storici. Nel tempo libero era sempre desideroso di affinare il suo ingegno, faceva esercizi di memorizzazione e puzzle. I suoi puzzle… Poi è venuto a conoscenza di alcune storie misteriose e si è messo a cercare la verità che nascondevano. Alla fine era diventata un’ossessione.» Mentre parlava, il vecchio aveva ricominciato a guardare la Bibbia, frugandone le pagine. Raggiunta la fine, cercò qualcosa sulla terza di copertina. « Das ist merkwürdig.»

Merkwürdig.Strano.

Gray si avvicinò. «Che c’è?»

Il vecchio fece scorrere un dito scarno sulla terza di copertina. Tornò alla prima pagina, poi di nuovo all’ultima. «L’albero genealogico della famiglia Darwin non era disegnato soltanto sulla seconda di copertina, ma anche sulla terza. All’epoca ero soltanto un ragazzo, ma lo ricordo chiaramente.» Johann sollevò il libro, mostrandone la parte posteriore. «L’albero genealogico che c’era qui è scomparso.»

«Mi faccia vedere», disse Gray, riprendendo il libro. Esaminò la terza di copertina più attentamente. Fiona e Monk lo affiancarono.

Gray scorse la rilegatura con un dito, poi esaminò attentamente la copertina. «Guardate qui. Sembra che qualcuno abbia tagliato l’ultimo foglio e l’abbia incollato sulla terza di copertina. Sopra il risguardo originale.» Gray si voltò verso Fiona. «Può essere stata Grette?»

«Manco per idea. Piuttosto avrebbe strappato la Gioconda.»

Se non era stata Grette…

Gray guardò Johann.

«Sono certo che nessuno, nella mia famiglia, l’avrebbe fatto. La biblioteca è stata venduta solo qualche anno dopo la guerra. E dubito che in quel lasso di tempo qualcuno abbia toccato la Bibbia.»

Rimaneva soltanto Hugo Hirszfeld.

«Un coltello», disse Gray, dirigendosi verso un tavolo da giardino.

Monk prese il coltellino svizzero dal suo zaino e lo porse a Gray. Con la punta del coltello, Gray incise i bordi del foglio incollato sulla terza di copertina, poi ne sollevò un angolo. Si staccò facilmente, soltanto i bordi erano incollati.

Johann spinse la carrozzina per raggiungerli. Gray non nascose ciò che stava facendo: forse gli sarebbe servito l’aiuto dell’uomo per capire ciò che stava per svelare.

Staccò il foglio e scoprì il risguardo originale. C’era l’altra metà dell’albero genealogico della famiglia Darwin, ben fatto e ordinato. Johann aveva ragione. Ma non c’era soltanto quello.

«Orribile», commentò Johann. «Perché mai il nonno avrebbe fatto una cosa del genere? Sfigurare così la Bibbia?»

Sopra l’albero genealogico era stato disegnato uno strano simbolo, grande quanto l’intera pagina, e sembrava fosse scolpito nel cartone della copertina.


Con lo stesso inchiostro nero, sotto il simbolo era stata scritta una riga in tedesco: Gott, verzeih mir.

Dio, perdonami.

Monk indicò il simbolo. «Cos’è quello?»

«Una runa», spiegò Johann, con un’espressione accigliata. «Un altro esempio della follia di mio nonno. La società di Thule credeva nella magia delle rune. A questi simboli nordici venivano associati antichi riti e poteri. Da Thule i nazisti non derivarono soltanto la filosofia del superuomo, ma assorbirono anche il misticismo legato alle rune.»

«Lei conosce il significato di questo simbolo in particolare?» chiese Gray.

«No. Non è un argomento interessante per un ebreo tedesco. Non dopo la guerra.» Johann girò la sedia a rotelle e guardò fuori. Il temporale imperversava, col rombo di tuoni che sembravano lontani e vicini allo stesso tempo. «Ma so chi potrebbe essere in grado di aiutarvi. Un curatore del museo.»

Gray chiuse la Bibbia e raggiunse Johann. «Quale museo?»

La serra fu illuminata da un lampo. Johann indicò un punto, in alto. Gray allungò il collo. L’imponente castello era illuminato da una luce fievole e velato dalla pioggia.

«Historisches Museum des Hochstifts Paderborn», disse Johann. «È aperto, oggi. All’interno del castello.» Il vecchio scrutava il vicino edificio con sguardo arcigno. «Sapranno certamente che cosa significa quel simbolo.»

«Perché?»

Johann fissò Gray come se fosse un idiota. «E chi meglio di loro? Quello è il castello di Wewelsburg.» Gray non reagì e il vecchio proseguì, con un sospiro. «La Camelot nera di Himmler, la roccaforte delle SS.»

«Quindi era davvero il castello di Dracula…» borbottò Monk.

Johann proseguì: «Nel XVII secolo vi si celebravano processi alle streghe: migliaia di donne sono state torturate e giustiziate. Himmler non fa fatto altro che incrementare il debito di sangue del castello. Durante la ristrutturazione da lui avviata vi sono morti milleduecento ebrei del campo di concentramento di Niederhagen. È un posto maledetto. Dovrebbe essere abbattuto».

«Ma al museo ci sapranno spiegare la runa?» chiese Gray, distraendo Johann dalla crescente rabbia che lo faceva ansimare sempre di più.

Il vecchio annuì. «Heinrich Himmler era un membro della società di Thule, era affascinato dal mito delle rune. In effetti è così che mio nonno si è conquistato le sue attenzioni. Avevano in comune la stessa ossessione.»

Gray intuiva che c’era una convergenza di legami e di eventi, tutti incentrati sulla società occulta di Thule. Ma cosa, esattamente? Gli servivano altre informazioni. Era inevitabile una visita al museo del castello.

Johann si allontanò da Gray, come a chiudere il discorso. «È stato per quegli interessi che aveva in comune con mio nonno che Himmler concesse la grazia alla nostra famiglia, una famiglia di Mischlinge.Ci sono stati risparmiati i campi di concentramento.»

Grazie a Himmler.

Gray capiva l’origine della rabbia di quell’uomo e il motivo per cui aveva chiesto al figlio di uscire. Era un fardello familiare che era meglio non scoprire. Johann guardava il temporale.

Gray raccolse la Bibbia e fece cenno agli altri di uscire. « Danke.»

Johann non lo notò nemmeno, assorbito com’era dal passato.

Ben presto Gray e gli altri raggiunsero la veranda, all’ingresso principale. La pioggia continuava a cadere copiosa dal cielo minaccioso. Il cortile era deserto. Non ci sarebbero state escursioni, quel giorno, né in bicicletta né a piedi.

«Andiamo», disse Gray, incamminandosi sotto la pioggia.

«Una giornata perfetta per assaltare un castello», osservò Monk, sarcastico.

Mentre attraversavano di gran lena il cortile, Gray notò un’altra auto parcheggiata accanto alla loro. Il cofano fumava sotto la pioggia. Doveva essere appena arrivata. Era una Mercedes bianca.


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