Текст книги "Joyland"
Автор книги: Stephen Edwin King
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Ужасы
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«Per oggi basta e avanza», affermò Lane. «Portami il cartellino da firmare.»
Indicai l’orologio, per sottolineare che erano solo le cinque e un quarto.
Lui scosse la testa, sorridendo. «Non ho problemi a scriverci sopra che sei uscito alle sei. Ci hai dato dentro ed è come se avessi lavorato almeno dodici ore, bamboccio.»
«Va bene, ma non usare più quella parola. Luimi chiama così.» Indicai il Castello del Brivido con un cenno del capo.
«Lo terrò a mente. Portami il cartellino e poi fila via.»
♥
Nel corso del pomeriggio il vento si era calmato, ma quando mi incamminai lungo la spiaggia spirava ancora una brezza calda. Mentre tornavo in città, di solito mi divertivo a guardare la mia lunga ombra stagliarsi sulle onde, ma quella sera quasi non riuscivo a sollevare la testa. Ero esausto. Non desideravo altro che un tramezzino al prosciutto e formaggio di Betty’s Bakerye un paio di birre del supermercato accanto. Sarei salito nella mia stanza, stravaccandomi sulla sedia davanti alla finestra, e mentre mangiavo mi sarei dedicato a Tolkien. Ero impegnato nella lettura de Le due torri.
La voce del ragazzino mi spinse ad alzare lo sguardo. Con il vento a favore, lo sentii chiaramente. «Più in fretta, mamma! Ce l'hai quasi fa…»Fu costretto a interrompersi per un accesso di tosse. E poi: «Ce l’hai quasi fatta!»
Quella sera la madre di Mike non era sotto l’ombrellone ma sulla spiaggia. Stava correndo nella mia direzione ma non si accorse di me, troppo presa a fissare l’aquilone che reggeva sopra la testa. Era il ragazzino a stringere il capo del filo, dalla sedia a rotelle alla fine della passerella di legno.
Stai andando nel verso sbagliato, mammina cara, pensai.
Mollò l’aquilone, che si alzò per una cinquantina di centimetri, ballonzolando capriccioso, per poi crollare a terra in picchiata. Il vento aumentò di intensità, trascinandolo con sé. La donna si mise a rincorrerlo.
«Ancora!»gridò Mike. «L’ultima volta…»Nuovi colpi di tosse, forti e profondi. « L’ultima volta ci eri quasi riuscita!»
«Non è vero», ribatté lei. Aveva la voce stanca e seccata. «Quel maledetto affare ce l’ha con me. Torniamo in casa per la ce…»
Milo era accucciato accanto alla sedia a rotelle e si stava godendo lo spettacolo con i suoi occhietti vispi. Non appena mi notò, partì a razzo abbaiando. Quando lo vidi arrivare, mi ricordai della predizione di Madame Fortuna nel giorno del nostro incontro: Nel tuo avvenire scorgo una bambina e un ragazzino. Lui ha un cane.
«Milo, qui!» urlò la donna. Dopo i tentativi con l’aquilone, i capelli si erano sciolti e le penzolavano davanti al volto in ciocche disordinate. Se li scostò dagli occhi con il dorso delle mani, l’espressione abbattuta.
Il terrier non le diede retta. Mi si bloccò di fronte scivolando sulla spiaggia, le zampe anteriori a spruzzare sabbia dappertutto, e improvvisò il suo solito giochetto. Scoppiai a ridere e gli accarezzai la testa. «Fattelo bastare, bello; stasera niente croissant.»
Mi abbaiò contro e poi ritornò zampettando dalla madre di Mike, immobile nella sabbia che le arrivava alle caviglie, il respiro affannato e lo sguardo diffidente.
«Visto?» ansimò lei. «Per questo non voglio che gli dia da mangiare. È un mendicante nato, disposto a fare amicizia con chiunque gli offra un boccone.»
«Be’, in effetti io sono un tipo amichevole.»
«Buono a sapersi, ma non gli dia più niente.» Indossava un paio di pinocchietti e una vecchia maglietta azzurra con una stampa sbiadita sul davanti. A giudicare dalle chiazze di sudore, stava cercando di fare partire l’aquilone da un bel po’, senza risparmiarsi. E perché no? Se avessi avuto un figlio inchiodato su una sedia a rotelle, anch’io gli avrei regalato qualcosa da far volare.
«Sta sbagliando direzione», le risposi. «E comunque non c’è bisogno di correre. Non capisco perché tutti ne siano convinti.»
«Sono certa che lei sia un esperto, ma è tardi e devo preparare la cena a Mike.»
«Per favore, mamma, lascialo provare», intervenne il ragazzino.
Lei non si mosse per una manciata di secondi, la testa bassa, i capelli arruffati e sudaticci incollati alla nuca. Poi sospirò, porgendomi l’aquilone. Riuscii a leggere la scritta sulla sua maglietta: TORNEO DI CAMP PERRY, 1959 – POSIZIONE PRONA. L’immagine sopra l’aquilone si rivelò molto più interessante, strappandomi una risata. Era il volto di Gesù.
«È una specie di scherzo», dichiarò lei. «Cose nostre.»
«Certo.»
«Ha un solo tentativo a disposizione, signor Joyland, e dopo porterò dentro mio figlio per cena. Non può rischiare di prendere freddo. L’anno scorso si è ammalato e non si è ancora rimesso, anche se lui afferma il contrario.»
Non le feci notare che in riva all’oceano c’erano almeno ventiquattro gradi; non mi pareva dell’umore giusto per essere contraddetta una volta di troppo. Preferii ripeterle che mi chiamavo Devin Jones. Lei sollevò le mani per poi abbandonarle lungo i fianchi. Come vuoi, bello.
Spostai lo sguardo sul ragazzino. «Mike?»
«Sì?»
«Recupera il filo. Ti avvertirò io quando fermarti.»
Mi obbedì. Mi spostai insieme con l’aquilone e, arrivato all’altezza della sedia a rotelle, fissai Gesù.
«Volerà stavolta, signor Salvatore?»
Mike sghignazzò divertito. La madre restò quasi impassibile, le labbra appena percorse da un fremito.
«Dice di sì», gli riferii.
«Bene, perché…» Un ennesimo accesso di tosse. La donna aveva ragione: di qualsiasi cosa si trattasse, non si era ancora ristabilito. «Perché finora è stato solo bravo a conficcarsi nella sabbia.»
Sollevai l’aquilone sopra la testa, rivolto verso Heaven’s Bay. Il vento iniziò subito a strattonarlo. La plastica sottile si increspò. «Mike, quando lo lascio andare, ricomincia ad avvolgere il filo.»
«Ma…»
«Funzionerà, fidati. Preoccupati di essere attento e veloce.» La misi giù più dura del dovuto perché volevo si sentisse un vero campione non appena quell’aggeggio fosse partito. Mi augurai che la brezza non mollasse: la madre non intendeva scherzare quando mi aveva detto che disponevo di un unico tentativo. «Si alzerà in volo e allora dovrai srotolare lentamente lo spago, tenendolo sempre un po’ teso. Se inizia a cadere…»
«Lo tiro verso di me. Ho capito, capito, accidenti.»
«Va bene. Pronto?»
«Sì!»
Milo era accucciato tra me e la madre di Mike, lo sguardo sollevato in alto.
«Perfetto. Tre, due, uno… decollo!»
Il ragazzino era curvo e le gambe coperte dai pantaloncini sembravano fragili come stecchi, ma sapeva usare le mani e seguire le mie istruzioni. Recuperò il filo e l’aquilone partì all’istante. Poi cominciò a svolgerlo, all’inizio con troppa fretta; il giocattolo si afflosciò, ma lui riuscì a rimediare, facendolo risalire. Rise di gioia. «Lo sento! Lo sento tra le dita!»
«È il vento», gli risposi. «Bravo così, Mike. Non appena prenderà quota, verrà catturato dalla brezza, e dovrai solo impegnarti a non mollarlo.»
Continuò a srotolare lo spago e l’aquilone si librò prima sopra la spiaggia e poi sull’oceano, sempre più alto nel tramonto di settembre. Lo osservai e dopo mi azzardai a fissare la donna. La sua intera attenzione era concentrata sul figlio. Non avevo mai visto un’espressione tanto amorevole e felice. Felice per la gioia di Mike.Al ragazzino brillavano gli occhi, la tosse ormai scomparsa.
«Mamma, sembra vivo!»
Lo è, pensai, ricordandomi di quando mio padre mi aveva insegnato a farne volare uno nel parco municipale. Avevo la stessa età di Mike, con il vantaggio di potermi reggere su un paio di gambe robuste. Lo è davvero, finché si trova lassù, nel suo elemento naturale.
«Vieni a sentirlo!»
La madre salì sulla piccola duna che portava alla passerella e gli si fermò accanto. Con gli occhi fissi in alto, gli accarezzò i capelli castano scuro. «Sei sicuro, tesoro? È tuo, dopo tutto.»
«Sì, ma devi provare. È incredibile!»
Lei afferrò il rocchetto e lo tenne davanti a sé. Era molto meno spesso di prima: lo spago si era srotolato e l’aquilone aveva preso quota, diventando un piccolo rombo nero in cima al cielo, il volto di Gesù ormai invisibile. La donna per un attimo parve a disagio, ma subito dopo sorrise. Quando la corda si tese per un’improvvisa folata e il giocattolo virò prima a babordo e poi a tribordo sopra la cresta delle onde, le labbra si aprirono in un largo sorriso.
Lo manovrò finché Mike non le suggerì di passarmelo.
«No, grazie, va bene così», risposi.
Mi porse ugualmente il rocchetto. «Ci permettiamo di insistere, signor Jones. In fondo è lei il capitano di volo.»
Pizzicai lo spago tra le dita, provando il vecchio, consueto brivido di eccitazione. Dava leggeri strattoni, come un filo da pesca quando ha abboccato una grande trota, ma il bello era che in quel caso nessun animale ci rimetteva la vita.
«Quanto salirà ancora?» domandò Mike.
«Non ne ho idea, ma credo che per stasera basti. Lassù il vento è molto forte e rischia di strapparlo. E comunque voi due dovete cenare.»
«Il signor Jones può fermarsi a mangiare da noi, mamma?»
La donna sembrò sorpresa, quasi infastidita. Sapevo però che non si sarebbe opposta perché ero riuscito a far decollare l’aquilone.
«Non importa», replicai. «Grazie dell’invito, ma oggi al parco è stata una giornataccia. Ci stiamo preparando all’inverno e sono sporco dalla testa ai piedi.»
«Puoi lavarti in casa», ribatté Mike. «Abbiamo, tipo, settanta bagni.»
«Michael Ross, non è vero!»
«In effetti forse sono settantacinque, ognuno dotato di vasca per idromassaggio.» Iniziò a ridacchiare: un suono allegro e contagioso, almeno finché non si trasformò in un accesso di tosse convulsa. Poi, proprio quando la madre cominciava a sembrare molto preoccupata (io lo ero già da un pezzo), riuscì a smettere.
«Sarà per un’altra volta.» Gli consegnai il rocchetto di spago. «Mi piace il tuo aquilone di Gesù. Anche il tuo cane non è male.» Mi chinai, accarezzando Milo sulla testa.
«Oh. D’accordo. Un’altra volta. Ma non deve passare troppo tempo, perché…»
La madre si affrettò a intervenire. «Signor Jones, perché domattina non esce in anticipo?»
«Oh, certo.»
«Se il tempo è bello, potremmo berci un frullato qui fuori. I miei sono eccellenti.»
Non avevo dubbi. E così non avrebbe corso il rischio di accogliere in casa uno sconosciuto.
«Verrai?» mi chiese Mike. «Sarebbe figo.»
«Volentieri. Porterò un sacchetto di dolci di Betty’s Bakery.»
«Non è il caso…»
«Si figuri, signora.»
«Oh!» esclamò quasi imbarazzata. «Ho paura di non essermi mai presentata. Sono Ann Ross.» Mi tese la mano.
«Gliela stringerei con piacere, signora Ross, ma sono davvero sporco.» Le mostrai i palmi. «Probabilmente ho insozzato l’aquilone.»
«Avresti dovuto fare i baffi a Gesù!» urlò Mike, ridacchiando e tossendo.
«Il filo è poco teso», gli feci notare. «Meglio riavvolgerlo.» Mentre eseguiva le mie istruzioni, diedi un ultimo buffetto a Milo, riprendendo la strada del ritorno.
«Signor Jones», gridò la donna.
Mi girai. Stava ben dritta e non teneva più il capo chino. Aveva la maglietta appiccicata addosso dal sudore e sfoggiava un seno da brivido.
«SignorinaRoss, per la precisione. Ma visto che ormai ci siamo presentati formalmente, perché non mi chiama Annie?»
«Certo.» Indicai la maglietta. «Posizione prona?»
«È la maglietta di un torneo di tiro. Significa sparare appoggiando la pancia a terra», spiegò il figlio, come se stesse imbracciando un fucile.
«Roba di secoli fa», replicò lei bruscamente, per sottolineare che considerava chiuso l’argomento.
Niente da obiettare. Salutai Mike con un cenno della mano che lui ricambiò. Stava sorridendo a trentadue denti. Gli riusciva benissimo.
Dopo una cinquantina di metri, mi voltai per un’altra occhiata. L’aquilone stava scendendo, ma era ancora governato dal vento. Lo fissavano entrambi, lo sguardo all’insù. La donna teneva la mano appoggiata sopra la spalla del figlio.
Signorina e non signora, rimuginai. Ci sarà anche un signor vattelapesca nella grande vecchia casa vittoriana con settanta bagni? Solo perché non l’avevo mai visto, non significava che non esistesse, anche se ne dubitavo. Ero quasi sicuro che là dentro abitassero solo loro due.
♥
La mattina seguente non ottenni nessuna spiegazione da Annie Ross, ma Mike si sprecò in chiacchiere. Il frullato era delizioso, con yogurt fatto in casa e uno strato di fragole fresche arrivate da chissà dove. Avevo portato i croissant e qualche muffin ai mirtilli. Il ragazzino evitò i dolci, ma si scolò un bicchiere di frullato e pretese il bis. Dallo stupore della madre, immaginai si trattasse di una magnifica novità.
«Sicuro di volerne un altro?»
«Magari solo metà. Che problema c’è, mamma? Sei stata tu a dirmi che lo yogurt mi aiuta ad andare di corpo.»
«Non credo sia necessario discutere delle tue abitudini intestinali alle sette del mattino.» La donna si alzò, lanciandomi un’occhiata sospettosa.
«Non preoccuparti di lui», replicò allegro Mike. «Se solo prova a smanazzarmi, gli scateno contro Milo.»
La donna arrossì all’istante. «Michael Everett Ross!»
«Scusami», replicò lui, pur non sembrando assolutamente dispiaciuto. Gli brillavano gli occhi.
«Porgi le tue scuse al signor Jones, non a me.»
«Accettate, accettate.»
«Mi farebbe il favore di sorvegliarlo un attimo, Jones? Non ci metterò molto.»
«Solo se mi chiami Devin.»
«D’accordo.» Si affrettò su per la passerella, fermandosi a metà e voltandosi. Forse aveva tutte le intenzioni di tornare indietro, ma non voleva perdere l’occasione di imbottire di preziose calorie il corpo scheletrico del figlio, e prosegui per la sua strada.
Mike sospirò, osservandola salire i gradini che portavano alla veranda sul retro della villa. «E ora sarò obbligato a berlo.»
«Be’, sì. Non l’hai chiesto tu?»
«Solo per parlarti senza lei tra i piedi. Le voglio molto bene, ma si intromette sempre. Come se la mia malattia fosse questo grande scandaloso segreto da non rivelare a nessuno.» Alzò le spalle. «Ho la distrofia muscolare, punto e basta. Per questo mi ritrovo su una sedia a rotelle. Posso ancora camminare, ma i tutori per le gambe e le stampelle sono un vero strazio.»
«Mi dispiace. Che fregatura.»
«Probabile, però almeno non ricordo come sia nonaverla. Purtroppo è una forma particolare della malattia. Si chiama distrofia di Duchenne. Chi ne viene colpito in genere schiatta nell’adolescenza o appena dopo i venti.»
Allora, ditemi un po’: che cosa avreste risposto a un ragazzino di dieci anni che vi ha appena rivelato di essere condannato a una morte prematura?
«Però…»Sollevò l’indice con aria dottorale. «Ricordi quando lei parlava di quanto sono stato male lo scorso anno?»
«Mike, non sentirti costretto a raccontarmi niente.»
«No, mi fa piacere.» Mi fissava con notevole intensità, quasi con insistenza. «Perché vuoi e devi saperlo.»
Ripensai a Madame Fortuna. Una bambina con un cappello rosso e un ragazzino con un cane. Mi aveva predetto che uno di loro possedeva un potere speciale, ma non era certa chi fosse dei due. Forse l’avevo appena scoperto.
«Mamma sostiene che io sono sicuro di essermi ripreso. Secondo te?»
«Hai una brutta tosse», azzardai, «ma comunque…» Non trovai il modo di terminare la frase. Comunque le tue gambe sono due stecchi? Comunque sei talmente magro che tua madre e io potremmo legarti a un filo e farti volare come un aquilone? Comunque, se dovessi scommettere chi vivrà più a lungo tra te e Milo, punterei tutto sul cane?
«Mi sono beccato la polmonite appena passato il giorno del Ringraziamento. Quando non sono migliorato dopo due settimane in ospedale, il medico ha avvisato mia madre di prepararsi al peggio e che probabilmente sarei morto.»
Ma non gliel’ha detto in tua presenza, pensai. Non lo fanno mai.
«Però ne sono uscito», continuò con un certa fierezza. «Mio nonno ha chiamato la mamma e si sono parlati per la prima volta da secoli. Non ho idea di come lo fosse venuto a sapere, ma lui ha spie dappertutto. Avrebbe potuto riferirglielo chiunque.»
Lui ha spie dappertuttosuonava leggermente paranoico, ma non aprii bocca. In seguito venni a sapere che Mike non stava esagerando. Suo nonno aveva davvero legioni di fedeli disseminati per il Paese, devoti a Dio, alla bandiera e alle armi, ma non necessariamente in quell’ordine.
«Secondo il nonno, ero sopravvissuto grazie a un intervento celeste. Mamma gli ha risposto che erano un sacco di stronzate, come la sua teoria secondo cui la Duchenne era una punizione dell’Altissimo. Io ero un osso duro e Dio non c’entrava niente, fine della storia. Poi gli ha appeso il telefono in faccia.»
Mike doveva avere sentito le parole della madre, ma non quelle del nonno, ed ero quasi certo che lei non gliele avesse riferite. Però non sospettavo che se le stesse inventando. Con mia sorpresa, sperai che Annie non si affrettasse a ritornare. Era diverso dall’ascoltare Madame Fortuna. Dopo tutti gli anni che sono passati, sono ancora convinto che Rozzie possedesse una briciola di autentiche facoltà paranormali, amplificate da una scaltra consapevolezza della natura umana e abbellite con un fracco di chiacchiere da circo. Il dono di Mike era più limpido. Più semplice. Più puro.Non come vedere lo spettro di Linda Gray, ma ci andavamo vicino. Come toccare un altro mondo.
«Mamma aveva giurato che non avrebbe mai rimesso piede in questa casa, ma eccoci qui. Perché io desideravo andare in spiaggia, giocare con un aquilone e anche perché non arriverò mai ai dodici anni, figuriamoci ai venti. Mi hanno dato del cortisone, e mi ha fatto bene, ma questa cazzo di polmonite insieme con la Duchenne mi ha fottuto per sempre cuore e polmoni.»
Mi scrutò con un’infantile aria di sfida, per verificare come avrei reagito a quella che ora viene pudicamente definita «parolaccia con la effe». Naturalmente restai impassibile. Ero troppo occupato a digerire il suo discorso per preoccuparmi di quello.
«In sintesi, mi stai suggerendo che un frullato in più non ti salverà la vita», affermai.
Mike gettò indietro la testa e scoppiò in una sonora risata, che si trasformò nel peggiore accesso di tosse fino a quel momento. Spaventato, mi avvicinai, dandogli un paio di pacche sulla schiena, molto delicate. Sembrava ci fossero solo ossa di pollo, là sotto. Milo abbaiò, appoggiandogli le zampe sulle gambe rattrappite.
Sul tavolo c’erano una caraffa d’acqua e una di spremuta d’arancia. Mike indicò la prima e gli riempii un bicchiere. Quando feci per reggerglielo, mi lanciò uno sguardo insofferente e se la cavò da solo, anche nel bel mezzo dell’attacco. Si sbrodolò, ma riuscì a bere una lunga sorsata, e la tosse parve calmarsi.
«Questo è stato davvero tosto», ansimò, massaggiandosi il petto. «Ho il cuore che batte come un cazzo di tamburo. Non andare a raccontarlo a mamma.»
«Credi che non lo sappia?»
«Secondo me sa fin troppo. Per esempio, sa che mi restano altri tre mesi decenti e poi quattro o cinque da schifo, durante i quali mi limiterò a succhiare l’ossigeno delle bombole e guardare in tivù MASHe il ciccione Albertone?L’unico suo dubbio è se lasciar partecipare al mio funerale il nonno e la nonna.» Aveva tossito con tale violenza da farsi lacrimare gli occhi, ma non lo scambiai per un pianto disperato. Era triste ma padrone di sé. La sera prima, quando l’aquilone era salito in cielo e lui aveva sentito strattonare lo spago, mi era sembrato molto più giovane della sua età. Ora lo vedevo lottare per essere più adulto. E ci riusciva sorprendentemente bene. Mi fissò dritto negli occhi. «Lei lo sa, ma non sa che io lo so.»
La porta sul retro sbatacchiò. Annie attraversò il portico, diretta alla passerella.
«E perché dovrei esserne informato anch’io, Mike?»
Scosse il capo. «Non ne ho la minima idea. Però non metterti a discuterne con mamma. La butta giù. Io sono tutto quello che le resta.» Pronunciò l’ultima frase non con orgoglio ma con cupo realismo.
«D’accordo.»
«Oh, un’ultima sciocchezza. A momenti me ne dimenticavo.» Lanciò un’occhiata alla madre, accorgendosi che era appena a metà strada, e si rigirò verso di me. «Non è bianco.»
«Che significa?»
Mike Ross parve disorientato. «Mah. Quando mi sono svegliato stamattina, mi sono ricordato che saresti venuto a colazione e mi sono saltate in mente queste parole. Pensavo che tul’avresti saputo.»
Arrivò Annie. Aveva versato un minifrullato in un bicchierino. A guarnirlo, una sola fragola.
«Gnam! Grazie, mamma!»
Lei notò la maglietta bagnata del figlio ma restò in silenzio. Mi chiese se volevo dell’altra spremuta e Mike mi strizzò l’occhio. Le risposi che l’avrei accettata volentieri. Mentre era impegnata a servirmi, il ragazzino ingozzò Milo con due enormi cucchiaiate di frullato.
Annie si voltò di nuovo verso Mike, osservando il bicchiere semivuoto. «Accidenti, sei davveroaffamato!»
«Te l’avevo detto.»
«Di che cosa stavate chiacchierando tu e il signor Jones… anzi, tu e Devin?»
«Niente di importante. Era giù di umore, ma adesso sta meglio.»
Non aprii bocca, ma di sicuro le guance mi si colorarono di rosso. Quando trovai il coraggio di guardare Annie, lei mi sorrise.
«Benvenuto nel mondo di Mike, Devin!» esclamò la donna, e probabilmente feci un’espressione buffa perché lei scoppiò in una fragorosa risata. Era un gran bel suono.
♥
Quella sera, tornando da Joyland, la trovai ad aspettarmi alla fine della passerella di legno. Per la prima volta la vidi con una camicetta e una gonna, e senza il figlio.
«Devin? Hai un minuto?»
«Certo.» Superai la duna e la raggiunsi. «Dov’è Mike?»
«Fa fisioterapia tre volte alla settimana. Lo segue Janice, che di solito arriva al mattino, ma l’ho avvertita di venire stasera, perché avevo bisogno di parlarti a quattr’occhi.»
«Lui ne è al corrente?»
Annie sorrise con una punta di amarezza. «Quasi sicuramente. Mike sa molto più di quanto dovrebbe. Non voglio chiederti l’argomento delle conversazioni di stamattina, dopo che lui si era liberato di me, ma immagino che le sue… rivelazioni… non ti abbiano sorpreso più di tanto.»
«Mi ha spiegato perché si ritrova su una sedia a rotelle, tutto qui. E mi ha raccontato che ha avuto la polmonite per il Ringraziamento.»
«Volevo ringraziarti per l’aquilone, Dev. Le notti di mio figlio sono parecchio agitate. Non sente dolore, non esattamente, ma quando è addormentato respira male. Una specie di apnea. È obbligato a riposare stando quasi seduto, e questo certo non l’aiuta. Talvolta rischia di soffocare e, quando capita, viene svegliato da un allarme. Ma la notte scorsa, dopo avere giocato con l’aquilone, è riuscito a farsi un lungo sonno ristoratore. Sono persino entrata in camera sua, intorno alle due del mattino, per controllare che il rilevatore funzionasse a dovere. Dormiva come un angioletto. Non si rigirava irrequieto nel letto, non era afflitto dai soliti incubi e non si lamentava.
Merito dell’aquilone. È stato capace di appagarlo più di tutto il resto. Certo, non vedrebbe l’ora di entrare in quel tuo disgraziatissimo parco divertimenti, ma non se ne discute neanche.» Si interruppe un attimo, per poi sorridere. «Oh, cazzo, ti sto rintronando di chiacchiere.»
«Non preoccuparti», le risposi.
«La verità è che non ho molta gente con cui parlare. C’è la donna di servizio, una brava signora di Heaven’s Bay, e poi Janice, naturalmente, ma non è la stessa cosa.» Tirò un lungo sospiro. «Però non ho ancora finito. In parecchie occasioni sono stata sgarbata con te, senza un valido motivo. Mi dispiace.»
«Signora… signorina…» Ah, merda! «Annie, non ti devi scusare di niente.»
«E invece sì. Quando mi hai visto in difficoltà con l’aquilone, avresti potuto benissimo tirare dritto, e Mike non avrebbe passato una notte così tranquilla. Il problema è che fatico a fidarmi delle persone.»
Adesso mi invita a cena, pensai. Ma non lo fece, forse per colpa di ciò che dissi dopo.
«Però Mike potrebbevenire a Joyland. Non sarebbe difficile da organizzare e avremmo il parco tutto per noi, ora che è chiuso.»
Il viso di Annie si chiuse come una mano stretta a pugno. «Oh, no. Assolutamente no. Se credi sia possibile, ti ha nascosto la gravità della sua malattia. Per favore, a costo di essere categorica, non suggerirglielo neanche.»
«D’accordo, ma se dovessi cambiare idea…»
Lasciai morire la frase. Non sarebbe mai successo. Annie controllò l’ora e un sorriso nuovo di zecca le attraversò il volto. Era talmente smagliante che quasi non ti accorgevi che non includeva gli occhi. «Oddio, quanto è tardi. Dopo la fisioterapia Mike avrà parecchia fame e io non ho preparato niente per cena. Devo scappare.»
«Nessun problema.»
La guardai correre sulla passerella che saliva verso la casa vittoriana verde, nella quale probabilmente non avrei mai messo piede grazie alla mia boccaccia. Però, l’idea di portare Mike a Joyland mi era sembrata così naturale. Durante l’estate, c’era capitato di accogliere bambini disabili e con vari tipi di problemi: invalidi, ciechi, malati di cancro e handicappati psichici (che nei rozzi anni Settanta definivamo «ritardati»). Non è che avessi intenzione di piazzare Mike nella carrozza di testa del Delirio Cosmico, facendolo schizzare in orbita. Anche se non fosse stato messo a riposo per l’inverno, non ero un completo idiota.
La giostrina dei cavalli però funzionava ancora, e lui non avrebbe avuto problemi a salirci. Lo stesso discorso valeva per il trenino che attraversava la Borgata Incantata. E probabilmente Fred Dean mi avrebbe permesso di fargli da guida attraverso il Labirinto di Mysterio. E invece no. Assolutamente no. Lui era un delicato fiore di serra, e tale sarebbe sempre rimasto per la madre. L’aquilone era stata un’eccezione alla regola e le scuse l’amaro calice che Annie aveva scelto di bere.
Ciò nonostante, non potevo fare a meno di ammirarne l’agilità, l’eleganza e la grazia nei movimenti, qualità di cui il figlio purtroppo sarebbe sempre stato sprovvisto. Osservando le gambe di Annie spuntare nude dalla gonna, non pensai nemmeno per un istante a Wendy Keegan.
♥
Avevo il fine settimana libero, e potete immaginarvi che cosa capitò. L’idea che piova sempre durante i weekend sarà anche falsa, ma di certo non lo sembra; provate a chiederlo a qualsiasi impiegato che abbia progettato di andare in campeggio o a pesca in un giorno festivo.
Be’, mi restava Tolkien. Sabato pomeriggio ero sulla sedia davanti alla finestra e mi stavo addentrando nelle montagne di Mordor in compagnia di Frodo e Sam, quando la signora Shoplaw bussò alla porta e mi chiese se avevo voglia di scendere in salotto per giocare a Scarabeo con lei e Tina Ackerley. Non si è mai trattato del mio passatempo preferito: ero stato costretto a patire infinite umiliazioni per mano delle mie zie Tansy e Naomi, provviste di un vocabolario illimitato di quelle che ho sempre amato definire «bestemmie da Scarabeo», roba tipo suk, krisse bhoot(uno spirito indiano, se proprio vi interessa saperlo). A ogni modo, le risposi che avrei accettato volentieri. Emmalina Shoplaw era la mia padrona di casa e un po’ di diplomazia non fa mai male.
«Aiutiamo Tina ad allenarsi», mi confidò lungo le scale. «È una fuoriclasse. Il prossimo fine settimana parteciperà a un torneo ad Atlantic City, e penso proprio che ci sia un premio in denaro.»
Non ci impiegai più di quattro turni a scoprire che la nostra bibliotecaria in carica avrebbe fatto mangiare la polvere alle mie zie. Quando la signorina Ackerley compose nubilato,sfoderando il sorrisetto di scuse tipico dei campioni (probabilmente si esercitano a farlo davanti allo specchio), arrivò a distaccare di ottanta punti la signora Shoplaw. Quanto a me… be’, lasciamo perdere.
«Per caso sapete qualcosa di Annie e Mike Ross?» domandai durante una pausa. Entrambe avevano l’abitudine di scrutare a luuungola plancia prima di appoggiarci sopra anche una sola tessera. «Abitano su Beach Row in una grande casa vittoriana color verde.»
La signorina Ackerley si bloccò, la mano ancora infilata nel sacchetto marrone delle lettere. Le lenti spesse le ingrandivano ancora di più gli occhi sgranati per lo stupore. «Li hai incontrati?»
«Sì, la madre cercava di far volare un aquilone e l’ho aiutata. Sono molto gentili. Solo che mi chiedevo… quei due, tutti soli in una casa enorme… lui è messo parecchio male…»
Si scambiarono uno sguardo incredulo. Provai il desiderio di non avere mai affrontato l’argomento.
«Lei ti ha parlato?» domandò la signora Shoplaw. «La Regina delle Nevi ha parlato con te?Sul serio?»
Sicuro, e mi ha offerto un frullato. Mi ha ringraziato.
Si è persino scusata.Ma evitai di dirlo. Non solo perché Annie era diventata un pezzo di ghiaccio quando mi ero spinto troppo in là, ma anche perché mi sarebbe sembrato sleale nei suoi confronti.
«Be’, un pochino. Le ho dato una mano con l’aquilone, niente di più.» Ruotai la plancia di gioco. Era il modello girevole da professionisti, di esclusiva proprietà di Tina. «Forza, signora S., tocca a lei. Forse si inventerà qualcosa che fa parte del mio lessico.»
«Posizionata nel modo giusto, lessicopuò valere abbastanza punti. Specialmente se lessisi interseca con una parola contenente la sillaba co»,sottolineò Tina Ackerley.
La signora Shoplaw non prestò attenzione alla plancia o al suggerimento. «Hai idea di chi sia il padre della donna?»
«No, non esattamente.» Però sapevo che Annie lo detestava.
«Buddy Ross? Quello del programma L’ora del potere? Non ti ricorda nulla?»
Molto vagamente. Forse avevo sentito di sfuggita un predicatore di nome Ross alla radio mentre ero in sartoria. Poteva essere. Durante una delle mie trasformazioni lampo, di punto in bianco Dottie Lassen mi aveva chiesto se avevo trovato Cristo. D’istinto, mi era venuta voglia di risponderle che non sapevo si fosse perso, ma ero riuscito a trattenermi.
«È uno di quei tipi che declamano ai quattro venti i versetti della Bibbia?»
«Nel suo campo è una vera potenza, allo stesso livello di Oral Roberts e Jimmy Swaggart», replicò la signora S. «Ha gli studi in una chiesa gigantesca di Atlanta, che ha battezzato ‘la roccaforte di Dio’. Il suo programma radiofonico viene trasmesso in tutta l’America, e lui compare sempre più spesso in televisione. Non so se le stazioni gli concedano spazio gratis o se debba comprarselo. Di certo è in grado di permetterselo, specialmente nel cuore della notte, quando i vecchietti sono ancora svegli per colpa di acciacchi e dolori vari. I suoi spettacoli consistono per metà in guarigioni miracolose e per il resto nell’accorata richiesta di continue donazioni.»