Текст книги "Joyland"
Автор книги: Stephen Edwin King
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Ужасы
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Era bellissima, a piedi nudi e con i suoi jeans scoloriti. Avrei voluto prenderla in braccio e sollevarla in aria, portandola verso un futuro radioso.
Invece, la lasciai lì dov’era. Il mondo non funziona così,aveva detto, e quanto aveva ragione.
Quanto aveva ragione.
♥
Un centinaio di metri più avanti, sul lato interno di Beach Row, si stendeva un insieme di negozi con qualche pretesa: una gastronomia, un salone di parrucchiera – CAPELLI DI MEDUSA, recitava l’insegna -, un elegante minimarket, una filiale della Southern Trust, e Mi Casa,un ristorante dove senza dubbio la gente «su» del posto si dava appuntamento per la cena. Non degnai quei locali di una sola occhiata mentre tornavo in auto a Heaven’s Bay e dalla signora Shoplaw. Una prova ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, che non possedevo il dono di Mike Ross e Rozzie Gold.
♥
Va’ a letto presto,mi aveva consigliato Fred Dean, e gli diedi retta. Mi sdraiai con le mani dietro la testa, ascoltando le onde come avevo fatto per tutta l’estate, pensando alle dita di Annie che mi sfioravano, al suo seno sodo, al sapore della sua bocca. Mi concentrai in particolar modo sul suo sguardo e sui capelli sparsi sul cuscino. Non provavo per lei le stesse emozioni che avevo condiviso con Wendy (quel genere di passione, così forte e stupida, si presenta una sola volta nella vita), ma ci andavo vicino. L’amavo allora e il tempo non mi ha fatto cambiare idea. Merito della sua gentilezza e della sua pazienza. Forse altri ragazzi hanno goduto di un’iniziazione migliore ai misteri del sesso, ma di sicuro nessuno ne ha mai avuta una così dolce.
Alla fine mi addormentai.
♥
A svegliarmi, un’imposta che sbatacchiava dabbasso. Sollevai l’orologio dal comodino: l’una meno un quarto. Se non lo avessi fermato, quel frastuono mi avrebbe impedito di ritornare nel mondo dei sogni. Mi vestii e mi incamminai fino alla porta, facendo poi marcia indietro verso l’armadio per acchiappare l’impermeabile. Quando scesi al pianterreno, mi bloccai per un attimo. Nella grande camera da letto in fondo al corridoio che partiva dal salotto, la signora S. ronfava come un ghiro. Quel baccano le faceva un baffo.
Mollai l’impermeabile su una sedia, perché la pioggia non era ancora iniziata. Però soffiava un forte vento, che probabilmente superava i quaranta chilometri all’ora. Il battito lieve e costante della risacca si era trasformato in un ruggito soffocato. Mi chiesi se gli espertoni di meteorologia avessero preso Gilda sottogamba. Pensai con una punta di disagio a Mike e Annie nella villa lungo la spiaggia.
Trovai l’imposta e la riagganciai. Rientrai, raggiunsi il primo piano, mi sfilai i vestiti e mi rimisi a letto. Attesi invano il sonno. I tonfi erano cessati, ma il vento continuava imperterrito a ululare su per i tubi delle grondaie, fischiando acuto a ogni raffica più violenta del solito. E non riuscivo a spegnere il cervello, che funzionava di nuovo a pieno regime.
Non è bianco.Sentivo che il significato di quella frase era a portata di mano, che c’entrava con qualcosa che avevo visto al parco durante la nostra gita.
Un’ombra grava su di te, giovanotto, mi aveva avvertito Rozzie Gold non appena l’avevo incontrata. Mi domandai da quanto tempo fosse a Joyland e dove avesse lavorato in precedenza. Era stata svezzata in un baraccone? Era un particolare importante?
Uno dei due possiede un potere speciale. Non so chi.
Io sì, invece. Mike aveva visto Linda Gray. L’aveva liberata. Le aveva mostrato la porta verso l’aldilà, come dicono i veggenti. Quella che non era stata capace di trovare da sola. Ecco perché l’aveva ringraziato.
Chiusi gli occhi, concentrandomi su Fred davanti al tirassegno, radioso nel suo completo con tanto di cilindro magico. Vidi Lane porgere ad Annie uno dei calibro ventidue legati al bancone con una catenella.
Lei: Quanti colpi?
Lui: Dieci per caricatore.
Lei: Nel caso, posso fare due giri?
Lui: Quanti ne desidera. Oggi è il suo giorno fortunato.
Spalancai gli occhi, con i pezzi del rompicapo che si ricomponevano veloci in testa. Mi alzai, ascoltando il vento e il mare agitato. Accesi la lampada sul soffitto e tirai fuori la cartellina di Erin dal cassetto della scrivania. Sparpagliai di nuovo le foto sul pavimento, con il cuore che mi martellava in petto. Gli scatti erano ottimi ma non c’era abbastanza luce. Mi rivestii per la seconda volta, infilai le immagini nel raccoglitore e tornai di sotto.
In mezzo al salotto, sopra il tavolo consacrato allo Scarabeo penzolava una lampada. Dopo tutte le serate di brutali sconfitte, sapevo quanto fosse accecante. Una porta scorrevole separava la stanza dal corridoio che portava alla stanza della signora S. La chiusi per non rischiare di svegliarla. Accesi la lampada, spostai la plancia dello Scarabeo sopra al televisore, e disposi le fotografie. Ero troppo agitato per sedermi. Mi piegai sul tavolo, risistemando di continuo le immagini. Stavo per farlo per la terza volta di seguito quando mi bloccai. Avevo notato il particolare che cercavo. E avevo visto lui.Una prova che nessun tribunale avrebbe mai accettato, no di certo, ma a me bastava. Mi cedettero le gambe e alla fine fui costretto ad abbandonarmi su una sedia.
All’improvviso suonò il telefono che avevo usato così spesso per raggiungere mio padre, non scordandomi mai di annotare ora e durata della chiamata sul foglio per gli ospiti fissato alla parete. Nel silenzio del primo mattino, rotto solo dal vento, il trillo somigliò a un grido. Balzai in avanti e sollevai la cornetta per zittirlo.
«P-p-pron…» Non mi uscì altro. Avevo il cuore in gola.
«Ah, sei tu», disse la voce dall’altro capo del filo, insieme divertita e piacevolmente sorpresa. «Mi aspettavo che rispondesse la tua padrona di casa. Mi ero già preparato una storia su una grave emergenza in famiglia.»
Cercai di parlare, senza riuscirci.
«Devin? Ci sei?» Mi sfotteva. Amenamente.
«Un… un attimo.»
Appoggiai il ricevitore contro il petto, chiedendomi se fosse in grado di ascoltare anche il battito del mio cuore. Strano come funzioni la mente quando è sottoposta a una tensione improvvisa. Drizzai le antenne: la signora Shoplaw continuava placida a russare. Fortunatamente avevo chiuso la porta scorrevole e in camera sua non c’erano derivazioni. Rialzai la cornetta, accostandola all’orecchio. «Che cosa vuoi? Perché hai chiamato?»
«Credo che tu lo sappia, Devin… e anche in caso contrario, adesso è troppo tardi, non pensi?»
«Pure tu sei un sensitivo?» Una frase stupida, ma in quel momento il mio cervello e la mia bocca seguivano due rotte distinte.
«No, quella è Rozzie. La nostra Madame Fortuna.» Scoppiò a ridere. Dalla voce sembrava rilassato, ma dubito che lo fosse. Gli assassini non si mettono a telefonare nel cuore della notte se sono calmi. Soprattutto quando non sono certi di chi possa rispondere.
Ma si era preparato una storia, mi dissi. Cazzo, peggio di un boy scout, sempre preparato anche se completamente pazzo. Prendiamo il tatuaggio, per esempio. Era quel particolare ad attirare la tua attenzione mentre osservavi le foto. Non la faccia. Non il berretto da baseball.
«So che cosa stavi macchinando, ancora prima che la tua amica ti portasse la cartellina con le fotografie», proseguì. «E poi oggi… con la mammina carina e il piccolo storpio… che gli hai raccontato, Devin? Ti hanno aiutato a trovare la soluzione?»
«Loro sono all’oscuro di tutto.»
Il vento stava salendo d’intensità, anche dal suo capo del filo. Come se si trovasse all’aria aperta. «Chissà se posso crederti.»
«Sì. Assolutamente sì.» Lo sguardo abbassato sulle fotografie. L’uomo tatuato con la mano sul culo di Linda Gray. L’uomo tatuato che l’aiuta a prendere la mira al tirassegno.
Lane: Annie, vediamo se riesce a cavarsela meglio della sua omonima.
Fred: Una vera campionessa!
L’uomo tatuato con il suo berretto dei Mudcats, gli occhiali scuri e il pizzetto biondiccio. Si vedeva il disegno sul dorso della mano perché si era sfilato di tasca i guanti solo quando era entrato con Linda Gray nel Castello del Brivido. Quando erano rimasti da soli al buio.
«Chissà», ribadì lui. «Devin, questo pomeriggio ti sei fermato parecchio nella grande villa sulla spiaggia. Sei rimasto a raccontare alla mammina delle fotografie di Erin Cook o te la sei solo sbattuta? Magari entrambe le cose. È un gran bel bocconcino.»
«Non sanno niente.» Tenevo la voce bassa, fissando la porta chiusa del salotto. Mi aspettavo che si aprisse da un momento all’altro e comparisse la signora S. in camicia da notte, la faccia impiastrata di crema, più bianca di un fantasma. «E io non sono in grado di provare nulla.»
«Probabilmente no, non ora, ma è solo questione di tempo. Cosa fatta capo ha. Conosci questo vecchio detto?»
«Certo, certo.» Non l’avevo mai sentito, ma in quel preciso istante gli avrei dato ragione anche se mi avesse assicurato che il presidente degli Stati Uniti era Bobby Rydell, una vecchia conoscenza dell’auditorium.
«Ecco che cosa farai. Verrai al parco e risolveremo la questione da uomini. Discutendone a quattr’occhi.»
«E perché? Mi pare un’idiozia, se tu sei davvero…»
«Oh, sicuro che lo sono.» Sembrava impaziente. «Se tu andassi dai poliziotti, scoprirebbero che ho cominciato a lavorare a Joyland giusto un mese dopo l’assassinio di Linda Gray. Poi mi collegherebbero allo spettacolo di Wellman, alla Southern Star, e il resto verrebbe di conseguenza.»
«E allora perché non dovrei chiamarli adesso?»
«Hai idea di dove mi trovo?» Una punta di rabbia nella voce; anzi, di astio. «Hai idea di dove mi trovo ora, brutto stronzo ficcanaso?»
«Probabilmente a Joyland. Nell’ufficio dell’amministrazione.»
«Sbagliato. Al centro commerciale su Beach Row, dove le ricche troie vanno a comprare le loro porcherie macrobiotiche. Ricche troie come la tua amichetta.»
Un brivido gelido mi attraversò lento la spina dorsale, dalla nuca al solco tra le chiappe. Restai in silenzio.
«Fuori dal minimarket c’è un telefono a gettoni. Non una cabina, ma non importa, perché non sta ancora piovendo. Tira solo vento. Da qui riesco a vedere la villa della tua amichetta. La cucina è illuminata, probabilmente resta così tutta la notte, ma il resto della casa è buio. Potrei abbassare la cornetta e arrivarci nel giro di un minuto.»
«C’è un antifurto!» Non sapevo se fosse vero o meno.
Scoppiò a ridere. «A questo punto, credi che me ne freghi qualcosa? Non mi impedirà di sgozzarla. Ma prima la obbligherò a guardarmi mentre taglio la gola al suo piccolo storpio.»
Ma non la violenterai. Neanche se ne avessi l’occasione. Probabilmente non ne sei in grado.
Stavo per dirglielo, ma mi fermai in tempo. Ero terrorizzato e mi sembrava che stuzzicarlo fosse una pessima idea.
«Oggi sei stato gentile con loro», continuai, come se servisse a qualcosa. «I fiori… i premi… i giri in giostra…»
«Sì, sì, quelle cazzate che piacciono tanto ai bifolchi. Piuttosto, raccontami un po’ del vagoncino che è schizzato fuori dal tunnel dell’orrore. Che diavolo è successo?»
«Non ne ho idea.»
«Invece sì. Magari ne discuteremo. A Joyland. Conosco la tua Ford, Jonesy. Ha il fanale sinistro difettoso e quella graziosa girandola in cima all’antenna della radio. Se non vuoi che cominci a sgozzare gente, vedi di montare sopra il tuo trabiccolo e di schizzare giù da Beach Row verso Joyland.»
«Io…»
«Chiudi il becco mentre ti sto parlando. Mentre superi il centro commerciale, mi vedrai accanto a uno dei camioncini del parco. Non appena riaggancerò, avrai cinque minuti per arrivare qui. Se non ti farai vivo, amazzerò la donna e suo figlio. Intesi?»
«Io…»
« Intesi?»
«Sì!»
«Ti seguirò fino a Joyland. Non preoccuparti del cancello. È già aperto.»
«Insomma, o uccidi me o uccidi loro. Sono io che devo decidere, giusto?»
«Ucciderti?» Il tono era onestamente sorpreso. «Niente affatto, Devin. Non ho intenzione di aggravare la mia posizione. No, mi limiterò a scomparire. Non sarebbe la prima volta e probabilmente non sarà l’ultima. Voglio solo parlarti. Scoprire come sei arrivato a me.»
«Potrei spiegartelo per telefono.»
Cominciò a sghignazzare. «Senza darti l’occasione di fottermi e di diventare l’Eroico Howie una volta di più? Prima la bambina, poi Eddie Parks, e per il gran finale da brivido la mammina da schianto e il suo figlioletto paralitico. Perché rinunciare a una simile possibilità?» Smise di ridere. «Ti restano quattro minuti.»
«Io…»
Riagganciò. Abbassai lo sguardo sulle foto lucide. Aprii il cassetto del tavolino dello Scarabeo, tirai fuori uno dei blocchetti e cercai a tentoni la matita automatica che Tina Ackerley si intestardiva a usare per segnare il punteggio. Scrissi: Signora S., se sta leggendo queste righe, significa che mi è successo qualcosa. So chi ha ucciso Linda Gray. E anche le altre ragazze.
Aggiunsi il nome del colpevole in lettere maiuscole.
Poi acciuffai l’impermeabile e mi precipitai alla porta.
♥
Il motorino d’avviamento della Ford girò a vuoto e arrancò, senza innestarsi. Alla fine iniziò a rallentare. Durante tutta l’estate mi ero ripetuto di comprare una batteria nuova, ma avevo sempre trovato qualcosa di più importante per cui spendere i soldi.
La voce di mio padre: La stai ingolfando, Devin.
Tolsi il piede dall’acceleratore, restando seduto al buio. Il tempo sembrava passare sempre più in fretta. Una parte di me voleva tornare dentro di corsa e avvertire la polizia. Non potevo chiamare Annie perché non avevo il suo cazzo di numero; di certo non figurava sull’elenco telefonico, considerata la fama del padre. L’assassino lo sapeva? Forse no, ma aveva una fortuna sfacciata. Temerario com’era, quel dannato figlio di puttana si sarebbe meritato di venire catturato già tre o quattro volte, ma non era andata così. Perché il diavolo era dalla sua parte.
Annie lo sentirà entrare di soppiatto e gli sparerà.
Peccato che le armi fossero custodite in cassaforte. Era stata lei a rivelarmelo. Anche se fosse riuscita a prenderne una, quello stronzo l’avrebbe preceduta, premendo il suo rasoio contro la gola di Mike.
Girai di nuovo la chiave. Senza schiacciare l’acceleratore e con il carburatore zeppo di benzina, l’auto partì all’istante. Uscii a marcia indietro dal vialetto e puntai in direzione di Joyland. Il neon rosso che circondava la Ruota del Sud e i ghirigori blu elettrici del Muro del Tuono si stagliavano contro le nuvole basse spinte dal vento. Le luci delle due attrazioni erano sempre accese nelle notti di bufera, in parte come fari per le navi, in parte perché non ci andasse a sbattere contro qualche apparecchio da turismo che volava a bassa quota, diretto all’aeroporto di Parish County.
Beach Row era deserta. Raffiche di vento abbastanza forti da scuotere la Ford sollevavano spesse nuvole di sabbia. Sottili dune si stavano già formando lungo l’asfalto. Sotto i fari dell’auto, sembravano le dita di uno scheletro.
Mentre superavo il centro commerciale, notai un’ombra in mezzo al parcheggio, vicino a uno dei camioncini di Joyland. Mi salutò con un cenno della mano, rigido e solenne.
Subito dopo oltrepassai la casa vittoriana sulla spiaggia. In cucina splendeva una luce. Lui non mi aveva mentito. Probabilmente era la lampada al neon sopra il lavello. Mi tornò in mente Annie che entrava nella stanza con il maglione tra le dita. Il suo ventre abbronzato. Il reggiseno della stessa sfumatura dei jeans. Ti andrebbe di venire su con me, Devin?
Nello specchietto retrovisore apparvero un paio di fanali in avvicinamento. Stava usando gli abbaglianti e non riuscivo a distinguere il veicolo, ma non ne avevo bisogno. Sapevo che era il camioncino della manutenzione, così come ero certo che mi avesse mentito quando mi aveva assicurato che non mi avrebbe ucciso. Al sorgere del sole, la signora Shoplaw avrebbe trovato l’appunto che le avevo lasciato. L’avrebbe letto da cima a fondo, compreso il nome che avevo scritto a grandi lettere maiuscole. L’unica domanda era quanto tempo ci avrebbe messo a crederci. Lui era così affascinante, con le sue tiritere in rima, il sorriso da un milione di dollari, la bombetta sulle ventitré. Sì, tutte le donne adoravano Lane Hardy.
♥
I cancelli erano spalancati, come promesso. Li oltrepassai e cercai di parcheggiare davanti al baraccone ormai chiuso del Tirassegno di Buffalo Bill. Lui diede un colpetto di clacson d’avvertimento, segnalando con gli abbaglianti di proseguire. Non appena raggiunsi la ruota panoramica, nuovo segnale. Stop. Spensi il motore, ben sapendo che forse non l’avrei riacceso mai più. Il neon rosso del montafessi bagnava di luce color sangue la postazione di comando, i sedili e la mia pelle.
I fari del camioncino si spensero. La portiera si aprì e si richiuse. Il vento soffiava tra i montanti. Sembrava l’urlo di un’arpia, accompagnato da uno sferragliare costante e sincopato. La ruota stava oscillando lungo l’asse centrale, spesso come il tronco di una quercia.
L’assassino di Linda Gray (e di DeeDee Mowbray, di Claudine Sharp, di Darlene Stamnacher) raggiunse la mia Ford e bussò al finestrino con la canna della pistola. Con la mano libera mi fece segno di uscire. Aprii la portiera e scesi.
«Hai detto che non mi avresti ucciso», azzardai con un tono debole quanto le mie gambe.
Lane sfoggiò il suo sorriso da sciupafemmine. «Be’, vedremo che piega prenderà la faccenda.»
Aveva la bombetta inclinata verso destra, ben calcata sulla zucca in modo che non volasse via. I capelli gli fluttuavano attorno al collo, il codino di cavallo ormai sciolto dopo la giornata di lavoro. La ruota venne investita da una folata di vento, sprigionando un lamento acuto. Continuò a ondeggiare tra lo sfarfallio dei neon.
«Non aver paura», riprese lui. «Se fosse tutta d’un pezzo verrebbe spazzata via, ma così le raffiche le passano attraverso. Hai ben altro di cui preoccuparti. Raccontami del vagoncino del Castello del Brivido. Mi interessa, sul serio. Hai usato una specie di comando a distanza? Quegli aggeggi mi fanno impazzire. Sono il futuro, sicuro come l’oro.»
«No, nessun telecomando.»
Sembrò non sentirmi. «E perché, poi? Volevi che uscissi allo scoperto? Non ce n’era bisogno. Eccomi qui.»
«È stata lei.»Non sapevo se fosse vero, non esattamente, ma non avevo intenzione di tirare in ballo Mike. «Linda Gray. Non l’hai notata?»
Il sorriso scomparve. «Non sei capace di inventarti niente di meglio? Mi stai rifilando la vecchia storia dello spettro dentro il tunnel dell’orrore? Coraggio, prova a sforzarti.»
E così neanche lui l’aveva vista. Però doveva sapere che c’era qualcosa.Non potrò mai esserne sicuro, ma forse si era offerto di riacciuffare Milo proprio per quel motivo: non voleva che ci avvicinassimo al Castello.
«Oh, lei era proprio lì. Mi è apparso davanti il suo cerchietto per capelli. Ti ricordi che ho sbirciato dentro la vettura? Era sotto il sedile.»
Si mosse con tale velocità che non trovai neppure il tempo di proteggermi con le mani. La canna della pistola mi colpì in fronte, aprendo una ferita superficiale. Vidi tutte le stelle del firmamento. Il sangue mi colò negli occhi, accecandomi. Barcollando, mi appoggiai alla balaustra lungo la rampa che conduceva alla ruota. La strinsi forte per non crollare a terra. Passai sulla faccia la manica dell’impermeabile.
«Non capisco perché voglia prenderti la briga di spaventarmi con una storia dell’orrore. Così tardi, per giunta. E comunque non mi va a genio», continuò. «Hai notato la fotografia del cerchietto nella cartellina che ti ha consegnato quella tua amichetta puttanella e ficcanaso.» Abbozzò un secondo sorriso, totalmente privo di fascino. Era tutto denti. «Prima regola: mai burlarsi di un burlone.»
«Ma tu… tu non hai mai avuto in mano il raccoglitore di Erin.» Ci arrivai anche con la testa rintronata. «Fred. È stato lui.»
«Esatto. Lunedì. Stavamo pranzando nel suo ufficio. Mi ha raccontato che tu e la puttanella vi divertivate a giocare ai piccoli investigatori, anche se non ha usato esattamente questa espressione. Pensava fosse divertente.
Io no, perché ti avevo adocchiato mentre sfilavi i guanti a Eddie Parks dopo che era gli era venuto l’infarto. Lì ho capito che stavate ficcando il becco in faccende che non vi riguardavano. Riguardo alla cartellina… Fred mi ha riferito che la puttanella aveva pagine su pagine di appunti. Sapevo che era solo questione di tempo prima che mi collegasse allo spettacolo di Wellman e alla Southern Star.»