Текст книги "Joyland"
Автор книги: Stephen Edwin King
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Ужасы
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Intanto, Pop ci scrutava.
«Già che parliamo di ragazze graziose, mi pare che ce ne sia una tra noi.»
Erin sorrise con modestia.
«Sei una Sirena di Hollywood, tesoro?»
«Sì, da quanto mi ha detto il signor Dean.»
«Allora andrai a trovare Brenda Rafferty. È il secondo in comando e la mamma delle Sirene. Ti darà uno di quei bei vestitini verdi. Dille che lo vuoi super corto.»
«Col tubo, vecchio maiale!» esclamò Erin, per poi unirsi subito a Pop quando lui gettò indietro la testa scoppiando in una risata fragorosa.
«Vivace! Sfacciata! Mi sfagiola? Certo che sì! Quando non sei occupata a scattare foto ai frollocconi, vieni dal tuo caro Pop e ti troverò qualcosa da fare… ma prima cambiati la divisa, perché non si sporchi d’unto e di segatura. Kapish?»
«Sì», rispose Erin, di nuovo seria.
Pop Allen buttò un occhio all’orologio. «Il parco apre tra un’ora, fanciulli, e imparerete lavorando. Inizierete con le giostre.» Ci indicò uno per uno, assegnandoci le varie mansioni. A me toccò la Ruota del Sud e ne restai soddisfatto. «Ho ancora tempo per due domande, non una di più. Vi serve altro o siete pronti a filare?»
Alzai la mano. Lui annuì e chiese come mi chiamavo.
«Devin Jones, signore.»
«Dammi ancora del signore e sei fuori, giovane.»
«Devin Jones, Pop.» Di certo non lo avrei chiamato figliodibuonadonna, non ancora. Magari quando ci saremmo conosciuti meglio.
«Così va bene», rispose con una smorfia di approvazione. «Che cosa desideri, Jonesy? A parte questo splendore con i capelli rossi, naturalmente.»
«Qual è il significato preciso di ‘figlio del carrozzone’?»
«Che sei come il vecchio Easterbrook. Suo padre lavorava nelle fiere durante la Depressione e suo nonno quando ancora facevano gli spettacoli con gli indiani farlocchi.»
«Ma stai scherzando?»esplose Tom.
Pop lo fulminò con lo sguardo costringendolo a rientrare nei ranghi, un’impresa non da poco. «Fanciullo, sai che cos’è la storia?»
«Uhm… la roba che è successa tanti anni fa?»
«Sbagliato.» Pop si risistemò il borsello di tela per le monetine legato alla cintola. «La storia è tutta la merda collettiva e ancestrale della razza umana, un grande mucchio di sterco che continua a crescere. Adesso noi siamo in cima, ma presto saremo sepolti sotto quella delle generazioni a venire. Ecco perché i vestiti dei tuoi genitori ti sembrano così buffi nelle vecchie fotografie, tanto per fare un esempio. E, visto che tra non molto sarò ricoperto dalla cacca dei tuoi figli e dei tuoi nipoti, credo che dovresti mostrarmi un pochino più di rispetto.»
Tom aprì la bocca, probabilmente per una battuta brillante, ma poi saggiamente la richiuse.
«Anche tu sei un figlio del carrozzone?» intervenne George Preston, un altro membro della Squadra Bracchetto.
«No. Mio padre allevava bestiame nell’Oregon. Adesso è mio fratello a mandare avanti la baracca. Io sono la pecora nera della famiglia e ne vado orgoglioso. Bene, se non c’è altro, finiamola di cazzeggiare e rimbocchiamoci le maniche.»
«Posso fare un’ultima domanda?» chiese Erin.
«Solo perché sei carina.»
«Che cosa vuol dire esattamente ‘indossare la pelliccia’?»
Pop Allen sorrise, appoggiando le mani sul bancone dove rastrellava la grana. «Senti, signorina, hai una vaga idea di cosa potrebbesignificare?»
«Be’, sì.»
Il sorriso si allargò in un ghigno, evidenziando le zanne ingiallite del nostro caposquadra. «Allora probabilmente hai ragione.»
♥
Che cosa combinai a Joyland quell’estate? Di tutto e di più. Staccai biglietti. Spinsi un baracchino del popcorn. Spacciai zucchero filato, frittelle e un fantastiliardo di Cucciolotti Golosi, ovvero di hot dog (che tra di noi chiamavamo howie dog). Fu per un Cucciolotto che finii sul giornale, anche se non fui io a venderlo, ma George Preston. Lavorai come bagnino, sulla spiaggia e al Lago Burlone, la piscina coperta nella quale si gettava lo scivolo del Tuffo del Capitano Nemo. Mi improvvisai ballerino con i miei compagni di squadra nella Borgata Incantata, seguendo le coreografie di Bird Dance Beat, Does Your Chewing Gum Lose Its Flavor on the Bedpost Overnight? e decine di altri capolavori dell’assurdo. Prestai la mia opera anche come vigilatore, senza nessuna autorità per farlo e non annoiandomi quasi mai. Nella Borgata, quando si incontrava un bambino frignone, la parola d’ordine era: «Cancelliamo subito quel musetto triste!» Non solo mi divertivo, ma ero pure bravo. Lì decisi che sarebbe stata un’ottima idea avere dei figli in futuro, al di là dei sogni a occhi aperti ispirati da Wendy.
Come il resto degli Allegri Aiutanti, imparai a schizzare da un capo all’altro del parco in zero secondi, usando i passaggi tra baracconi, tendoni, giostre e chioschi, oppure servendomi delle tre gallerie di servizio note come la Sotterranea di Joyland, il Sottosegugio e il Corso. Alla guida di una macchinetta elettrica trasportai tonnellate di spazzatura giù da quest’ultimo, un inquietante tunnel rischiarato da vecchie luci al neon che ronzavano tremolanti. Talvolta lavorai persino come tecnico del suono, caricandomi in spalla altoparlanti e casse spia quando uno dei gruppi arrivava in ritardo e senza manovalanza al seguito.
Imparai la Parlata. Alcuni termini arrivavano dalla tradizione delle fiere di paese ed erano vecchi di secoli, tipo cuccagna per uno spettacolo gratuito o tiracuoia per una giostra in panne. Altri, come bignè per le ragazze graziose e piattolazza per chi si lamentava sempre, erano tipici di Joyland. Immagino che altri parchi abbiano il loro gergo, ma alla fin fine le radici sono sempre le stesse. Un martello pneumatico è un frolloccone (in genere una piattolazza) che si inalbera perché deve rispettare la fila. L’ultima tirata prima della chiusura (dalle dieci alle undici di sera, a Joyland) era la scorreggia finale. Un frolloccone che vuole indietro i dollari persi al tirassegno è un piangisoldi. Il cacatanto è il bagno. Quindi: «Ehi, Jonesy, fila al cacatanto vicino al Razzo Lunare: qualche stupida piattolazza ha appena riempito di vomito uno dei lavandini».
La maggior parte di noi era in grado di occuparsi dei chioschi (noti come gli spacci). In realtà, chiunque sappia dare un resto è capace di stare al baracchino dei popcorn o alla cassa di un negozio di souvenir. Manovrare un’attrazione non era tanto più complicato, anche se all’inizio rischiava di mettere paura: la vita di molte persone, bambini compresi, era nelle tue mani.
♥
«Sei arrivato per la lezione?» mi domandò Lane Hardy quando lo raggiunsi alla Ruota del Sud. «Bene, appena in tempo. Il parco apre i battenti tra venti minuti. Noi seguiamo il metodo della marina: osserva, sperimenta e insegna. Proprio adesso il tipo robusto che ti era di fianco…»
«Tom Kennedy.»
«Ecco, ora Tom si sta dedicando ai Bolidi Infernali. Tra non molto, forse già oggi, lui ti insegnerà come funzionano e tu gli spiegherai come manovrare questo trabiccolo. Che tra l’altro è una ruota panoramica australiana, perché gira in senso antiorario.»
«È un particolare fondamentale?»
«No, solo interessante. Negli Stati Uniti non ne esistono molte. Ha due velocità: lento e lentissimo.»
«È una giostra per nonnine.»
« Exactamente.» Badando che prestassi attenzione, mosse la lunga leva del cambio con in cima la manopola da bicicletta, come aveva fatto il giorno della mia assunzione. Poi venne il mio turno. «La senti scattare quando ingrana?» mi chiese.
«Sì.»
«Così si ferma.» Appoggiò la mano sopra la mia e drizzò completamente la leva. La seconda volta, lo scatto fu più sonoro e l’enorme ruota si bloccò all’istante, le cabine a ondeggiare tranquille. «Finora ci sei?»
«Credo di sì. Davvero non ho bisogno di un permesso, di un’autorizzazione o di roba simile per manovrare questo aggeggio?»
«Hai la patente, no?»
«Sì, una patente di guida del Maine, ma…»
«Nella Carolina del Sud non ti serve altro. Prima o poi aggiungeranno nuove leggi, come sempre, ma almeno per quest’anno sei in regola. Ora stai attento, perché arriva la parte più importante. Vedi la striscia gialla sul lato della base?»
Sì. Era a destra della pedana che portava alla ruota.
«Ogni cabina ha un adesivo del Simpatico Howie sullo sportello. Quando ti accorgi che il suo muso è allineato con la striscia, alza la leva e la carrozza si fermerà nel punto giusto per far salire i passeggeri.» Me lo mostrò di nuovo. «Capito?»
Annuii.
«Finché la ruota non è svalvolata…»
«Come?»
«Al completo. Svalvolata significa al completo. Non chiedermene il motivo. Allora, finché non è svalvolata, alterna tra lentissimo e stop. Non appena sarà piena, che capita spesso quando la stagione è buona, passa alla velocità di crociera. Un giro dura quattro minuti.» Indicò la radio portatile. «Quella è mia, ma chi si occupa della giostra sceglie anche i brani musicali. Meglio evitare il rock duro prima di sera. Niente Who, Led Zeppelin, Rolling Stones o simili, d’accordo?»
«Certo. E per far scendere i frollocconi?»
«Stesso discorso. Lentissimo, stop. Lentissimo, stop. Allinea la striscia gialla con l’adesivo di Howie e ti ritroverai con una cabina davanti alla rampa. Dovresti riuscire a tenere una media di dieci giri completi all’ora.
Se la ruota è sempre svalvolata, sono più di settecento passeggeri, per un incasso complessivo di quasi cinque faccioni verdi.»
«In altre parole?»
«Cinquecento dollari.»
Lo fissai perplesso. «Devo proprio? Insomma, è la tua ruota.»
«È di proprietà di Bradley Easterbrook, bello, come tutto il resto. Io sono uno dei tanti dipendenti, anche se lavoro qui da qualche anno. Manovro questo trabiccolo spesso ma non sempre.E poi, datti una calmata. In certi luna park se ne occupano motociclisti mezzi ubriachi coperti di tatuaggi; se ci riescono loro, te la caverai anche tu.»
«Speriamo.»
Lane indicò un punto imprecisato. «Ecco, si sono aperti i cancelli e i frollocconi si stanno riversando lungo la Passeggiata. Per i primi tre giri ti darò una mano. Più tardi, terrai una lezione per il resto della tua ciurma, compresa la Sirena di Hollywood. Va bene?»
No, proprio per niente. Pensava davvero che avrei spedito dei poveretti a cinquanta metri da terra dopo una spiegazioncina di cinque minuti? Era pura follia.
Mi strinse forte la spalla. «Ce la farai, Jonesy. Lascia perdere quello ‘speriamo’. Dimmi che va bene.»
«Sì, come vuoi.»
«Bravo.» Accese la radio, collegandola al filo di un altoparlante in cima ai montanti della ruota. Le Hollies presero a cantare Long Cool Woman in a Black Dresse Lane si sfilò i guanti di cuoio grezzo dalla tasca posteriore dei jeans. «Procuratene un paio, ne avrai bisogno. E già che ci sei, comincia a lavorare sulla tua parlantina.» Si piegò, tirò fuori un microfono portatile, appoggiò un piede sull’immancabile cassa arancione e iniziò ad attirare l’attenzione della folla.
«Ehi ehi ehi gente, che giornata vuota, tempo di un giro sulla ruota, in fretta in fretta in fretta, l’estate non aspetta, venite su, dove il cielo è pulito e il panorama garantito, il divertimento inizia qui, fatevi avanti, forza, così.»
Abbassò il microfono, strizzandomi l’occhio. «Questo è il discorsetto base; dopo un paio di bicchieri, migliora decisamente. Dovrai trovartene uno anche tu.»
La prima volta che manovrai la ruota mi tremavano le mani dalla fifa, ma alla fine della settimana ero diventato un vero professionista, anche se Lane sosteneva che come imbonitore valevo ancora poco. Imparai a cavarmela pure con le Tazze Ballerine e i Bolidi Infernali. A dire il vero, per la seconda attrazione bastava premere il pulsante verde PARTENZA, il rosso STOP e disincastrare le vetture quando i bifolchi le ammassavano contro il bordo di gomma della pista, come capitava almeno quattro volte ogni giro di quattro minuti. Solo che nel caso dei Bolidi non si chiamava giro, ma volata.
Imparai la Parlata e a conoscere il parco, di sopra e di sotto. A gestire un chiosco e a mandare avanti uno sparaspara, assegnando in premio i peluche ai bignè più carini. Ci impiegai una settimana ad apprendere tutto e almeno un paio prima di acquistare una certa disinvoltura. Invece, indossai la pelliccia alle dodici e trenta del primo giorno, e fortuna (o cattiva sorte) volle che Bradley Easterbrook si trovasse alla Borgata Incantata proprio a quell’ora, seduto su una panchina con il suo solito pranzo a base di tofu e germogli di soia. Non esattamente leccornie da luna park, ma bisognava considerare che il sistema digerente del vecchio risaliva ai tempi del gin fatto in casa e delle maschiette.
Dopo essermi calato alla bell’e meglio nei panni del Simpatico Howie, non mi liberai più del travestimento. Perché ero bravo e il signor Easterbrook lo sapeva. Un mese dopo, proprio mentre interpretavo la mascotte del parco, feci la conoscenza della bambina con il cappello rosso lungo la Passeggiata di Joyland.
♥
Il primo giorno fu un vero manicomio. Lavorai con Lane fino alle dieci, poi da solo per un’ora e mezzo mentre lui correva su e giù raffreddando gli animi dei soliti scalmanati. Ormai ero certo che la ruota non sarebbe impazzita, sfuggendo al mio controllo come la giostra dei cavalli in quel vecchio film di Alfred Hitchcock. A impressionarmi di più, la fiducia che la gente riponeva in me. Nessun genitore con figli al seguito mi si avvicinò per chiedermi se sapevo ciò che facevo. Ero così concentrato su quella dannata striscia gialla che mi venne il mal di testa e non totalizzai il massimo dei giri, ma feci sempre il tutto esaurito.
Erin passò a salutarmi, deliziosa nel suo vestitino verde da Sirena di Hollywood, scattando fotografie alle famiglie che aspettavano di salire. Ne fece una pure a me, che ho ancora da qualche parte. Quando la ruota ricominciò a girare, mi afferrò per il braccio, la fronte imperlata di sudore, le labbra allargate in un sorriso, gli occhi luccicanti.
«Non è fantastico?» mi chiese.
«Certo, se non uccido nessuno.»
«Se un bambino dovesse cadere da una cabina, prendilo subito al volo.» Poi, dopo avermi regalato un nuovo pensiero su cui rimuginare, corse via alla ricerca di nuove vittime da ritrarre. Pochi resistevano alla tentazione di mettersi in posa per una rossa da schianto in un meraviglioso sabato mattina. E comunque aveva ragione: era davvero fantastico.
Lane tornò verso le undici e mezzo. Ormai me la sbrigavo talmente bene che gli passai la rudimentale leva di controllo con una certa riluttanza.
«Chi è il tuo caposquadra, Jonesy? Gary Allen?»
«Esatto.»
«Schizza al suo sparaspara e vedi se ha bisogno di qualcosa. Con un po’ di fortuna, ti manderà a pranzare nel pulciaio.»
«E che diavolo sarebbe?»
«È dove vanno i dipendenti quando sono in pausa. In molte fiere paesane è il parcheggio o lo spazio oltre i camion, ma Joyland offre di meglio. C’è una comoda saletta dove il Corso si unisce al Sottosegugio. Scendi le scale tra il baraccone del tiro ai palloncini e la tenda del lanciatore di coltelli. Ti piacerà, ma prima di mangiare fatti autorizzare da Pop. Non voglio venire ai ferri corti con quel vecchio figlio di puttana. Tu fai parte della sua squadra; io ho già la mia. Hai un cestino per il pranzo?»
«Non sapevo di doverlo portare.»
Lane sfoderò un ghigno. «Con il tempo imparerai. Oggi fermati al chiosco del pollo fritto di Ernie, quello con il grande gallo di plastica sul tetto. Mostragli il tesserino di Joyland e avrai lo sconto per il personale.»
Alla fine assaggiai il pollo di Ernie, ma solo alle due del pomeriggio. Pop aveva altri progetti per me. «Vai in sartoria. È la roulotte tra la manutenzione e la falegnameria. Ricordati di dire a Dottie Lassen che ti mando io. È talmente agitata che prima o poi le scoppierà il bustino.»
«Vuoi che prima ti aiuti a ricaricare?» Anche lo sparaspara era svalvolato, il bancone affollato di liceali smaniosi di vincere gli imprendibili peluche. Disposti su tre file, altri bifolchi (come ormai mi ero abituato a chiamarli) aspettavano il loro turno. Mentre mi parlava, Pop Allen non smise mai di muovere le mani.
«Voglio che metta le gambe in spalla e fili via. Faccio questo cazzo di lavoro da ben prima che tu nascessi. Comunque, sei Jonesy о Kennedy? Di sicuro non sei il citrullo con il cappello da scolaretto, ma per il resto non ricordo.»
«Sono Jonesy.»
«Perfetto. Giovane, stai per passare un’ora molto divertente nella Borgata Incantata. Divertente per i bambini, intendiamoci, ma forse non per te.» Scoprì i denti gialli nel suo classico ghigno, quello che lo faceva somigliare a uno squalo in pensione. «Indossare la pelliccia sarà uno spasso.»
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Anche la sartoria era una gabbia di matti, strapiena di donne che correvano da tutte le parti. Dottie Lassen, una tipa secca che aveva bisogno di un bustino quanto io ne avevo di scarpe con il rialzo, mi agguantò non appena varcai la soglia. Ficcandomi i lunghi artigli nell’avambraccio, mi trascinò oltre completi da clown, da cowboy, un gigantesco vestito da Zio Sam (con un paio di trampoli appoggiati alla parete), alcuni abiti da principessa, una rastrelliera di divise da Sirena di Hollywood e un’altra di vecchi costumi da bagno fine Ottocento… che scoprii avrei dovuto indossare prestando servizio alla piscina. In fondo al piccolo e caotico regno di Dottie, una decina di tute da cane. Tanti Howie scuciati, con i loro sorrisi stupidi e soddisfatti, gli occhioni azzurri, le orecchie ritte e pelose. Il dorso era attraversato da una cerniera lampo che andava dal collo alla base della coda.
«Cristo, sei una pertica!» esclamò la donna. «Meno male che hanno rabberciato l’extra large la settimana scorsa. L’ultimo ragazzo l’aveva strappata sotto le ascelle. Anche il didietro era bucato. Quel tipo doveva essersi abbuffato di piatti messicani.» Sganciò il costume dalla rastrelliera, gettandomelo tra le braccia. La coda mi si avvolse attorno alla gamba come un pitone. «Non perderti in chiacchiere e vola alla Borgata. Se ne sarebbe dovuto occupare Butch Hadley, ma mi ha detto che la sua squadra è incasinata con un giringiro.» Non mi lasciò il tempo di domandarle il significato dell’ultima frase. «Se ti stai chiedendo che fretta c’è, pivello, te lo spiego subito: il signor Easterbrook pranza sempre alla Borgata il giorno dell’inaugurazione. Se non vedrà Howie, se la prenderà parecchio.»
«Al punto da licenziarmi?»
«No, ma ne resterà amareggiato. Quando ti sarai fatto le ossa, capirai che è già un bel guaio. Nessuno vuole deluderlo perché è un grand’uomo. In più, è anche una brava persona, e in questo mestiere tipi del genere sono rari come i diamanti.» Mi fissò, emettendo un sottile lamento, come un animaletto con la zampa presa in una tagliola. «Cristo santo, sei proprio una stanga. E un novellino fatto e finito. Ma non c’è rimedio.»
Avevo un miliardo di domande, ma la lingua era paralizzata. Mi limitai a osservare Howie, che ricambiò lo sguardo. Sapete, mi sentivo come James Bond nel film dove Connery è legato a una specie di folle macchina di tortura. Si aspetta che io parli? chiede a Goldfinger, e l’altro gli risponde con un ghigno sardonico: No, io mi aspetto che lei muoia!Nel mio caso si trattava di un divertimento e non di un supplizio, ma non era poi tanto diverso. Quel giorno sembrava impossibile reggere il ritmo, per quanto mi sforzassi.
«Porta la pelliccia giù nel pulciaio. Spero che tu sappia dov’è.»
«Certo.» Grazie a Dio Lane mi aveva informato.
«Be’, è già qualcosa. Appena arrivato, spogliati e resta in mutande. Nient’altro, altrimenti creperai di caldo. E… conosci la prima legge del nostro mondo?»
Probabilmente sì, ma preferii non aprire bocca.
«Tieni sempre d’occhio il portafoglio. Fortunatamente questo parco è diverso dalle fogne dove ho lavorato nel fiore della giovinezza, ma è una regola comunque valida. Dammelo, te lo custodirò io.»
Glielo consegnai senza azzardarmi a protestare.
«Adesso scappa via. Però, prima di svestirti, bevi tanta acqua, fino a gonfiarti la pancia. E non mangiare nulla, anche se hai una fame da lupi. Alcuni ragazzini si sono beccati un colpo di calore, vomitando dentro le tute, con pessimi risultati. Abbiamo quasi sempre dovuto buttarle nella spazzatura. Allora, bevi, spogliati, infilati il travestimento, fatti aiutare con la cerniera, e poi corri giù dal Corso verso la Borgata. Segui l’indicazione e non ti sbaglierai.»
Fissai perplesso gli occhioni azzurri di Howie.
«Sono di rete sottile. Non preoccuparti, ci vedrai benissimo.»
«Ma che cosadevo fare?»
Mi scrutò con un’aria seria. Poi un ghigno le illuminò l’intera faccia, accompagnato da una strana risatina nasale. «Te la caverai.» Tutti continuavano a ripetermi frasi simili. «Devi calarti nei panni di Howie, figliolo. Trova il tuo cane interiore.»
♥
Quando raggiunsi il pulciaio, una decina di nuovi assunti e un gruppo di vecchi dipendenti stavano consumando il pranzo. Tra i novellini c’erano due Sirene di Hollywood, ma avevo troppa fretta per restarne imbarazzato. Dopo avere bevuto grandi sorsate dalla fontanella dell’acqua, mi sbarazzai dei vestiti, restando in boxer e scarpe da ginnastica. Srotolai la tuta e la indossai, assicurandomi di infilare bene i piedi nelle zampe posteriori.
«La pelliccia!» gridò uno della vecchia guardia, e diede una gran manata sul tavolo. «Pel-lic-cia! Pel-lic-cia! Pel-lic-cia!»
Gli altri lo imitarono e il pulciaio risuonò del loro vociare mentre io me ne stavo in mutande con la tuta abbassata alle caviglie. Sembrava di essere dentro una mensa carceraria in rivolta. Raramente mi ero sentito tanto stupido… o curiosamente eroico. Era il mondo dello spettacolo, dopo tutto, e stavo per diventarne parte. Per un attimo non mi importò di ignorare che cazzo stessi facendo.
«Pel-lic-cia! Pel-lic-cia! Pel-lic-cia!»
«Qualcuno mi tiri su questa fottuta cerniera!»urlai. «Devo schizzare giù alla Borgata!»
Una delle ragazze fu così gentile da aiutarmi. Compresi immediatamente perché indossare quella roba non fosse uno scherzo. Il pulciaio era provvisto di aria condizionata, come tutta la parte sotterranea di Joyland, ma ero già madido di sudore.
Uno dei vecchi dipendenti si avvicinò, sferrandomi una pacca amichevole sulla testa coperta dalla maschera. «Ti darò un passaggio. Il mio macinino è laggiù. Salta a bordo.»
«Grazie.» La voce risuonò soffocata.
«Bau bau, Fido», aggiunse qualcuno, e tutti scoppiarono a ridere.
Sfrecciammo lungo il Corso tra lo sfarfallio spettrale delle luci al neon, un vecchio raggrinzito in divisa verde da spazzino e un enorme pastore tedesco con gli occhi azzurri al suo fianco. Si fermò davanti alle scale segnalate da una freccia, con l’indicazione BORGATA INCANTATA dipinta sulla parete di cemento. «Non parlare mai», mi suggerì. «Howie sta sempre zitto, limitandosi ad abbracciare i piccoli e accarezzarli sulla testa. Buona fortuna, e se inizia a girarti la cocuzza, taglia la corda. Ai bambini non piacerebbe se il loro eroe crollasse a terra, stecchito da un colpo di calore.»
«Non ho idea di che cosa devo fare», confessai. «Nessuno me l’ha spiegato.»
Forse quel tipo non era un figlio del carrozzone, ma su Joyland sembrava saperla lunga. «Non importa. I piccolini adorano Howie. Ci penseranno loro.»
Scesi dal trabiccolo, quasi inciampai nella coda e me la levai di torno dando un forte strattone al filo fissato alla zampa sinistra. Caracollai su per le scale, armeggiando con la maniglia della porta in cima. Sentivo la musica, un motivo di quando ero bambino. Alla fine riuscii a uscire. La vivida luce di giugno colpì gli occhi di rete della maschera, abbagliandomi per un istante.
Il suono si fece più forte, diffuso dagli altoparlanti sopra di me, e riconobbi la canzone. Era l’hokey pokey, la filastrocca ballata in tutti gli asili della nazione. Attorno a me, altalene, dondoli, scivoli, una complicata struttura di metallo su cui arrampicarsi e una piccola giostra azionata a forza di braccia da un pivello con lunghe orecchie pelose da coniglio e una coda a batuffolo appiccicata sul sedere.
Il Ciuffolo, un trenino in grado di raggiungere l’inaudita velocità di sei chilometri orari, girava in tondo sbuffando fumo, carico di bambini che salutavano i genitori intenti a fotografarli. Miliardi di ragazzini correvano in ogni direzione, sorvegliati da un buon numero di lavoranti stagionali e da un paio di dipendenti a tempo pieno che forseavevano un’abilitazione come vigilatori. I due, un uomo e una donna, indossavano una felpa con la scritta CI PIACCIONO I CUCCIOLI FELICI. Davanti a me la Cuccia di Howie, l’edificio dove i piccoli venivano accuditi.
Scorsi il signor Easterbrook. Era seduto su una panchina sotto un’ombrellone pubblicitario di Joyland, con il suo completo da impresario di pompe funebri e un paio di bacchette per il pranzo. Non mi notò subito, intento a osservare una doppia fila di marmocchi condotta verso la Cuccia da un paio di pivelli. Come scoprii con il passare del tempo, i genitori potevano lasciarli lì dentro per un massimo di due ore mentre accompagnavano i ragazzini più grandi sulle attrazioni o mangiavano un boccone all’ Aragosta Rock.
In seguito venni a sapere che nella Cuccia di Howie erano ammessi i bambini da tre a sei anni. Molti di quelli che si stavano avvicinando in quel momento erano piuttosto tranquilli, forse perché abituati a essere affidati alla cura di estranei mentre i genitori lavoravano. Altri non sembravano così contenti. Magari all’inizio avevano fatto gli ometti, all’annuncio che mamma e papà sarebbero ritornati nel giro di un’ora o due (come se un microbo di quattro anni avesse davvero la nozione del tempo), ma adesso si ritrovavano tutti soli in un mondo caotico pieno di volti sconosciuti, con il padre e la madre scomparsi nel nulla. Alcuni stavano piangendo. Soffocato dal costume, sudato come un maiale, osservai attraverso gli occhi di rete una forma di violenza sui minori tipicamente americana. Perché una persona sana di mente avrebbe dovuto trascinare nella baraonda del parco i propri figli (i propri figli piccoli, Dio santo!) per poi sbolognarli a una strana compagine di babysitter, anche se per poco?
I pivelli vedevano chiaramente le lacrime dei poverini (l’ansia da abbandono è una vera malattia infantile, non diversa dal morbillo), ma era chiaro che non sapevano come reagire. Era inevitabile. Si trattava del loro primo giorno, ed erano stati gettati allo sbaraglio senza alcuna preparazione; mi ero trovato nella stessa situazione quando Lane Hardy si era volatilizzato, affidandomi l’incarico di manovrare una gigantesca ruota panoramica. Almeno i ragazzini sotto gli otto anni non possono salirci senza un adulto, pensai. Questi piccolini sono soli soletti.
Anch’io non avevo idea di come comportarmi, ma non avevo intenzione di restare con le mani in mano. Mi incamminai verso la fila di bambini, alzando le zampe anteriori e dimenando vorticosamente la coda (non ero in grado di vederla ma riuscivo a sentirla). Non appena i primi due o tre mi scorsero e mi indicarono, venni colto da un’ispirazione. Merito della musica. Mi fermai all’incrocio tra Via Toffoletta e Corso Caramella, esattamente sotto due altoparlanti al massimo del volume. Alto quasi due metri, dalle zampe posteriori alle orecchie a punta, dovevo fare una certa impressione. Salutai con un inchino i marmocchi, che mi fissavano con la bocca spalancata e gli occhioni sgranati, e cominciai a ballare l’hokey pokey.
La tristezza e lo sgomento provocati dalla fuga dei genitori vennero presto dimenticati. I miei piccoli spettatori scoppiarono a ridere, alcuni con le lacrime che ancora luccicavano sul volto. Mentre ero impegnato nella mia goffa danza, non trovarono il coraggio di farsi sotto, ma mi accerchiarono in massa. Avevano lo sguardo scintillante di stupore, non di paura. Tutti loro conoscevano Howie; quelli che abitavano in Carolina seguivano religiosamente il suo programma pomeridiano, e anche chi veniva da posti lontani come St. Louis e Omaha aveva visto i volantini promozionali e le pubblicità durante i cartoni animati del sabato mattina. Sapevano che era un cane grossoma buono.Non li avrebbe mai morsi: era un loro amico.
Mi stavo impegnando: zampa sinistra dentro, zampa sinistra fuori, poi di nuovo dentro, per scuoterla co-sì. Ballai l’hokey pokey e mi girai, oh-sì, perché il gioco è tutto-qui, come conosceva a memoria qualsiasi bimbette d’America. Dimenticai la temperatura bollente e la sensazione di soffocare. I boxer mi si erano infilati tra le chiappe, ma non ci badai. Dopo, per colpa del caldo, sarei stato torturato da un mal di testa formato gigante, ma in quel momento me la godevo davvero. E sapete la novità? Non pensai nemmeno una volta a Wendy Keegan.
Quando si passò alla sigla di Sesamo apriti, mi bloccai e appoggiai a terra il ginocchio imbottito del costume, spalancando le braccia come Al Jolson ne Il cantante di jazz.
«Howieeee!»gridò una bambina. Dopo tutto il tempo che è passato, ho ancora nelle orecchie il tono estasiato della sua voce. Mi corse incontro, la gonnellina rosa che le svolazzava attorno alle ginocchia paffute. Il resto venne di conseguenza. La doppia fila ordinata si sciolse all’improvviso.
I piccolini adorano Howie. Ci penseranno loro.Quel dipendente ci aveva visto giusto. Prima mi saltarono addosso, buttandomi a terra, poi mi circondarono, abbracciandomi e ridendo. La fan vestita di rosa mi coprì il muso di baci, continuando a strillare: «Howie, Howie, Howie!»
I genitori che si erano avventurati nella Borgata per scattare qualche fotografia si avvicinarono, stregati dallo stesso fascino. Mi dimenai per farmi un po’ di spazio, mi girai su un fianco e mi alzai, prima che mi schiacciassero con il loro affetto che peraltro ricambiavo. Era una giornata torrida ma mi sentivo fresco come rosa.
Quasi non vidi il signor Easterbrook infilare una mano nella giacca del completo da becchino, tirare fuori una ricetrasmittente e pronunciare un paio di parole. Mi accorsi solo che la musica veniva interrotta di colpo per lasciare di nuovo spazio all’hokey pokey. Zampa destra dentro, zampa destra fuori. I bambini mi seguirono a ruota, gli occhioni fissi su di me per non perdersi la mossa successiva e non restare indietro.
Nel giro di un attimo, ci ritrovammo tutti a ballare. I pivelli si unirono a noi e, credeteci o no, persino alcuni genitori. Mi spinsi a improvvisare un «coda lunga dentro, coda lunga fuori». Ridendo come matti, i miei piccoli amici si girarono, sculettando come se avessero avuto veramente la coda.








