Текст книги "Joyland"
Автор книги: Stephen Edwin King
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Ужасы
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Il suo tono mi spinse a sollevare subito lo sguardo. Era più agitato del solito, le gote paonazze. Abbassai il menu.
«Questa faccenda in cui hai coinvolto Erin… ecco, penso sarebbe meglio darci un taglio. Non solo ne è turbata, ma temo stia trascurando gli studi.» Si lasciò sfuggire una risatina, dando un’occhiata fuori dalla finestra al viavai nei pressi della stazione, e poi tornò a fissarmi. «Accidenti, sembro più suo padre che il suo ragazzo.»
«Sei preoccupato, nient’altro. Si vede che ci tieni.»
«Ci tengo?Bello mio, ne sono follemente innamorato. Per me non esiste nulla di più importante. Però mi preme chiarire che non è una questione di gelosia. In parole povere: se vuole trasferirsi di università senza rinunciare ai sussidi per gli studenti, la sua media deve restare alta. Capisci, vero?»
Sicuro. Però intuivo anche qualcos’altro, di cui Tom pareva non rendersi conto. Lui la voleva lontana da Joyland con il corpo e con la mente, perché nel parco gli era capitato un imprevisto che non riusciva a capire. E non aveva la minima intenzione di sforzarsi: un atteggiamento piuttosto sciocco, almeno secondo me. Venni nuovamente assalito da una profonda invidia, che contribuì a farmi restare sullo stomaco il cibo che tentavo di digerire.
Mi sforzai di sorridere; un’impresa non da poco, ve lo assicuro. «Messaggio ricevuto. Per quel che mi riguarda, il nostro piccolo progetto di ricerca è giunto alla fine.» Adesso rilassati, Thomas. Puoi smettere di pensare a quanto accaduto nel Castello del Brivido. Dimenticati quanto hai visto con i tuoi stessi occhi.
«Perfetto. Siamo ancora amici, vero?»
Mi sporsi lungo il tavolo. «Fino alla fine.»
Sigillammo il patto con una salda stretta di mano.
♥
Il teatrino della Borgata Incantata disponeva di tre fondali: il castello del Principe Azzurro, la pianta di fagioli magici di Jack e una notte stellata con il profilo della Ruota del Sud in neon rossi. Durante l’estate si erano tutti scoloriti a causa della luce del sole. Lunedì mattina ero dietro le quinte, occupato a ritoccarli e cercando di non rovinarli (non ero certo van Gogh) quando uno dei rincitrulli che lavoravano a mezza giornata arrivò con una comunicazione da parte di Fred Dean. Mi voleva subito nel suo ufficio.
Ci andai con una certa riluttanza, chiedendomi se mi sarei buscato una strigliata per avere portato Erin nel parco di sabato. La sorpresa fu enorme quando trovai Fred senza la sua solita giacca o il simpatico completo da golf, ma con un paio di jeans e una maglietta di Joyland completamente stinti, le maniche arrotolate per sfoggiare la muscolatura. Attorno alla fronte sfoggiava una fascia con una fantasia cachemire. Non sembrava un contabile o un responsabile delle assunzioni, ma il manovratore di una giostra.
Si accorse del mio stupore e sorrise. «Ti piace la mia mise? A me sì. Mi agghindavo così quando iniziai a lavorare nello spettacolo dei Blitz Brothers nel Midwest. Erano gli anni Cinquanta. Mia madre rispettava i Blitz, ma papà li detestava. E luiera un figlio del carrozzone.»
«Lo so», risposi.
Inarcò le sopracciglia. «Sul serio? A Joyland le notizie viaggiano veloci. Comunque, questo pomeriggio avremo parecchio da fare.»
«Mi dia un elenco delle urgenze. Ho quasi finito di ridipingere i fondali del…»
«Neanche per sogno, Jonesy. Oggi staccherai a mezzogiorno, e non voglio vederti prima di domattina alle nove, quando ti presenterai con i tuoi invitati. Non preoccuparti dei soldi. Verrai pagato anche per le ore di permesso.»
«Che sta succedendo, Fred?»
«È una sorpresa», mi rispose con un sorriso enigmatico.
♥
Era un lunedì caldo e soleggiato; mentre tornavo a Heaven’s Bay, Annie e Mike stavano pranzando alla fine della passerella di legno. Milo mi vide arrivare e mi corse incontro.
«Dev!» gridò il ragazzino. «Vieni a mangiare un tramezzino! Ce ne sono un mucchio!»
«No, grazie, io…»
«Ci permettiamo di insistere», intervenne la madre, per poi corrugare la fronte. «A meno che tu non sia malato. Non voglio che attacchi i germi a Mike.»
«Sto benissimo. Mi hanno solo mandato a casa in anticipo. Il mio capo, il signor Dean, non ha voluto spiegarmene il motivo. Ha detto che era una sorpresa. Credo abbia qualcosa a che vedere con domani.» La fissai con una punta di agitazione. «Siamo sempre d’accordo per martedì, giusto?»
«Sì», confermò lei. «Quando decido di gettare la spugna, non ritorno sui miei passi. Però cercheremo di non stancare Mike, mi auguro.»
« Mamma…» si lamentò il figlio.
Annie non gli prestò attenzione. «Allora, Dev?»
«Sissignora. Niente sfacchinate.» Anche se vedere Fred Dean addobbato come un bellimbusto da fiera, con quell’impensabile sfoggio di muscoli, mi aveva messo a disagio. Gli avevo specificato quanto Mike fosse cagionevole di salute? Immaginavo di sì, ma…
«Bene. Vieni a prenderti un tramezzino», replicò la donna. «Spero ti piaccia l’insalata di uova e maionese.»
♥
Mi toccò una notte agitata, in parte convinto che la tempesta tropicale menzionata da Fred sarebbe arrivata in anticipo, mandando all’aria la gita al parco di Mike. Ma l’indomani il sole si levò senza l’ombra di una nuvola. Alle sette meno un quarto sgattaiolai in salotto e accesi il televisore per non perdermi le previsioni del tempo della WECT, l’emittente di Wilmington. La bufera proseguiva nel suo cammino, ma per il momento i suoi effetti avrebbero interessato solo le comunità costiere della Florida e della Georgia. Mi augurai che il signor Easterbrook si fosse portato dietro un paio di galosce.
«Sei più mattiniero del solito», osservò la signora Shoplaw, facendo capolino dalla cucina. «Stavo preparando uova strapazzate e pancetta. Vieni ad assaggiarle.»
«Non ho molta fame, signora S.»
«Sciocchezze. Sei un ragazzo nel pieno dello sviluppo, Devin, e hai bisogno di mangiare. Erin mi ha raccontato che cosa hai programmato per oggi e credo sia una splendida idea. Andrà tutto bene.»
«Spero abbia ragione», risposi, continuando a pensare a Fred Dean in abiti da fatica. Fred, che mi aveva spedito a casa in anticipo. Fred, che aveva in serbo una sorpresa.
♥
Ci eravamo accordati a pranzo il giorno prima, e quando alle otto e mezzo di martedì mattina il mio catorcio imboccò il vialetto della grande casa vittoriana verde, Annie e Mike erano già pronti per la partenza. E lo era anche Milo.
«Sei sicuro che non darà fastidio a nessuno?» aveva chiesto il ragazzino. «Non voglio creare problemi.»
«A Joyland non è vietato l’ingresso ai cani accompagnatori. E tu sei uno di loro, vero, Milo?»
L’animale aveva piegato il muso di lato, come se il concetto non gli fosse totalmente chiaro.
Quel mattino Mike si era infilato i tutori per le gambe, enormi e ingombranti. Feci per aiutarlo a salire sul furgoncino, ma lui mi allontanò con un gesto della mano, sbrigandosela da solo. Faticò parecchio; mi sarei aspettato un accesso di tosse, che invece non arrivò. Era talmente eccitato che non riusciva a stare fermo. Annie, con le gambe chilometriche fasciate in un paio di jeans affusolati, mi allungò le chiavi del furgone. «Meglio che guidi tu.» E poi, abbassando la voce per non farsi sentire dal figlio: «Io sono troppo nervosa».
Anch’io lo ero. Dopo tutto, mi ero imposto con la forza di uno schiacciasassi. Mike mi aveva dato manforte, ma l’adulto ero io. Se qualcosa fosse andato storto, la colpa sarebbe ricaduta su di me. Non ero un tipo molto religioso, ma mentre caricavo sul retro della macchina le grucce e la sedia a rotelle, pregai che tutto filasse per il verso giusto. Uscii a marcia indietro dal vialetto e svoltai su Beach Row, oltrepassando il cartellone pubblicitario con la scritta PORTATE I VOSTRI PICCOLI A JOYLAND PER UN’ESPERIENZA INDIMENTICABILE!
Annie era accanto a me sul sedile del passeggero. Non era mai stata così bella come quella mattina di ottobre, con i suoi jeans sbiaditi e un maglione leggero, i capelli legati a coda con un nastro blu.
«Grazie per quello che stai facendo, Dev», mi disse. «Spero solo che sia la cosa giusta.»
«Lo è», risposi, cercando di mostrarmi più sicuro di quanto fossi. Perché, una volta raggiunto il mio obiettivo, mi ritrovavo roso dai dubbi.
♥
L’insegna di Joyland era accesa. Fu il primo particolare che notai. Subito dopo mi accorsi che gli altoparlanti stavano diffondendo la musica sbarazzina della passata stagione estiva: una sfilza di tormentoni da classifica degli ultimi anni. Avevo pensato di posteggiare in uno degli spazi della zona A riservati ai disabili, distanti appena una quindicina di metri dall’ingresso del parco. Prima che fermassi il furgone, Fred Dean uscì dal cancello spalancato e ci fece cenno di entrare. Non indossava un banale completo, ma l’abito elegante con il panciotto che teneva da parte per le sporadiche visite delle celebrità degne di un trattamento speciale. Se il vestito gliel’avevo già visto, il cilindro di seta nera come quelli degli uomini di Stato nei vecchi cinegiornali era un’autentica novità.
«È normale tutto questo?» mi domandò Annie.
«Certo.» Mi girava leggermente la testa. Non c’era niente di normale.
Attraversai il cancello, proseguendo lungo la Passeggiata di Joyland e parcheggiando accanto alla panchina della Borgata dove mi ero seduto con il signor Easterbrook dopo la mia prima esibizione nei panni di Howie.
Mike era intenzionato a scendere dal furgone così come ci era salito: senza l’aiuto di nessuno. Gli restai vicino, pronto ad afferrarlo al volo se avesse perso l’equilibrio, mentre Annie era impegnata a scaricare la sedia. Milo era accucciato ai miei piedi, scodinzolante, le orecchie tese, gli occhi vispi e luminosi.
Non appena Annie aprì il trabiccolo a rotelle, Fred le si avvicinò in una nuvola di dopobarba. Era… radioso. Non esiste altro aggettivo per definirlo. Si levò il cappello, salutò la donna con un inchino e le tese la mano. «La madre di Mike, immagino.»
Dovete sapere che a quei tempi esisteva ancora una rigida distinzione tra signora e signorina; nervoso com’ero, ci impiegai un attimo per apprezzare l’abilità con cui Fred aveva evitato il rischio dell’imbarazzo.
«Sì, sono io.» Pareva disorientata, forse per il garbo inaspettato dell’uomo o per la differenza del loro abbigliamento, lei in tenuta sportiva per una gita a un parco e lui agghindato da ambasciatore in missione ufficiale. Comunque, lo salutò con una forte stretta. «E questo giovanotto…»
«… è Michael.» Fred Dean porse la mano al ragazzino con gli occhioni sgranati e le gambe imprigionate nei tutori d’acciaio. «Grazie per esserci venuto a trovare.»
«Prego… cioè, no, sono ioa ringraziarvi. Per averci invitati.» Gli strinse le dita tra le sue. «Questo posto è gigantesco.»
Non lo era, naturalmente. Non sembrava certo Disney World. Ma a un ragazzino di dieci anni che non era mai stato in un parco divertimenti, doveva fare quell’impressione. Per un attimo riuscii a guardare Joyland con i suoi occhi, come se non l’avessi mai visto prima, e i miei dubbi sull’opportunità di trascinarlo lì dentro iniziarono a svanire lentamente.
Fred si appoggiò le mani sulle ginocchia, chinandosi a osservare il terzo membro della famiglia Ross. «E tu sei Milo!»
Il cane abbaiò.
«Sì, anch’io sono felice di conoscerti.» L’uomo tese la mano, aspettando che Milo sollevasse la zampa. Quando lo fece, gliela strinse.
«Come mai sa il suo nome?» gli chiese Annie. «Gliel’ha detto Dev?»
Fred Dean si drizzò con un sorriso. «Niente affatto. Ne sono a conoscenza perché questo è un posto magico, mia cara. Per esempio…» Mostrò i palmi vuoti, per poi nasconderli dietro la schiena. «Destra o sinistra?»
«Sinistra», rispose Annie, stando al gioco.
Lui gliela porse, aprendola. Era vuota.
La donna alzò gli occhi al cielo, sorridendo. «E va bene, destra.»
Fred tirò fuori all’improvviso un mazzo di rose. Vere, non di plastica. Annie e Mike sussultarono di sorpresa.
Io non fui da meno. Dopo tutto il tempo che è passato, ancora non ho capito il trucco.
«Joyland è per i bambini, mia cara, e siccome oggi non ce n’è nessuno oltre a Mike, il parco è solo per lui. Queste, però, sono per lei.»
Annie afferrò il mazzo come in un sogno, affondando il volto tra i fiori, annusandone il dolce nettare rosso.
«Vado a metterle sul furgone», le dissi.
Lei le strinse ancora per un istante e poi me le consegnò. «Mike», proseguì Fred, «hai idea di che cosa vendiamo qui?»
Il ragazzino restò perplesso. «Biglietti per le giostre e i giochi?»
«Noi vendiamo divertimento.Ne vuoi un po’?»
♥
Ricordo ancora la giornata di Mike e di Annie al parco come se fosse ieri, ma ci vorrebbe un narratore molto più dotato di me per farvi capire che cosa provai e per spiegarvi perché da quel momento in poi Wendy Keegan non fu più padrona del mio cuore e delle mie emozioni. Posso solo confermarvi un fatto risaputo: certi giorni valgono più dell’oro. Non sono molti, ma nel corso di quasi ogni vita ne esistono almeno un paio. Quello fu uno dei miei e ogni volta che sono giù di corda e il mondo non mi sorride e tutto mi sembra finto e dozzinale come la Passeggiata di Joyland in un pomeriggio di pioggia, io ritorno con la memoria a quel martedì di ottobre, anche solo per ricordare a me stesso che la nostra esistenza non è sempre un gioco da spennapolli. Talvolta i premi sono reali. Talvolta hanno un valore immenso.
Naturalmente non tutte le attrazioni erano in funzione, e si rivelò un bene, perché ce n’erano parecchie da cui Mike sarebbe dovuto stare lontano. Però quella mattina più di metà parco era in piena attività: luci, musica, una manciata di baracconi dove una decina di rincitrulli smerciavano popcorn, patatine fritte, bibite, zucchero filato e Cucciolotti Golosi. Non avevo idea di come Fred e Lane ce l’avessero fatta nel giro di un solo pomeriggio, ma c’erano riusciti.
Iniziammo dalla Borgata, dove Lane ci stava aspettando di fianco alla locomotiva del trenino Ciuffolo. In testa non aveva la bombetta ma un berretto con visiera da macchinista, sempre sulle ventitré (e come, se no?). «In carrozza! Non perdete la corsa dove i bimbi son felici, perciò lesti, amici! I cani non pagano, le mamme nemmeno, i mocciosi stanno con chi guida il treno!»
Indicò prima Mike e poi il sedile accanto al proprio. Il ragazzino si alzò dalla sedia a rotelle e imbracciò le grucce, muovendosi traballante. Annie si affrettò ad aiutarlo.
«No, mamma, nessun problema, posso farcela.»
Senza perdere l’equilibrio, raggiunse Lane con un rumore di ferraglia, un ragazzo in carne e ossa ma con gambe da robot, e si lasciò caricare sul sedile del passeggero. «È la corda che aziona il fischio a vapore? Posso tirarla?»
«È lì apposta», rispose Lane. «Però sta’ attento ai porcellini sulle rotaie. In giro c’è il lupo cattivo e loro hanno una fifa boia.»
Annie e io ci accomodammo su uno dei vagoni. Le luccicavano gli occhi. Le guance erano più colorate delle rose. Le labbra erano serrate ma non smettevano di tremarle.
«A posto?» le chiesi.
«Sì.» Mi prese la mano, intrecciando le dita tra le mie, stringendole così forte che quasi mi fece male. «Sì. Sì. Sì.»
«Spie verdi accese sul pannello di comando!» urlò Lane. «Me lo confermi, Michael?»
«Confermato!»
«A che cosa devi stare attento sulle rotaie?»
«Ai porcellini!»
«Bimbo, hai uno stile magico per niente tragico! Tira la corda e partiamo!»
Mike eseguì l’ordine. Il fischio lacerò l’aria. Milo prese ad abbaiare. I freni pneumatici sibilarono e il treno iniziò la sua corsa.
Il Ciuffolo era un’attrazione per poppanti, ovvero un biberon su ruote, poco ma sicuro. Lo erano tutte quelle della Borgata, adatte per bambini tra i tre e i sette anni. Dovete però ricordarvi che Mike Ross usciva molto di rado, in particolar modo dopo la polmonite dell’anno prima, e che aveva trascorso un’eternità seduto con la madre alla fine della passerella di legno, ascoltando le urla felici e il frastuono delle attrazioni riecheggiare lungo la spiaggia, con l’amara consapevolezza che non erano roba per lui. Ad attenderlo, il fiato sempre più corto e i polmoni che cedevano, continui colpi di tosse, la graduale impossibilità di camminare anche con l’aiuto delle stampelle e dei tutori, e alla fine il letto dove sarebbe morto, con un pannolino sotto il pigiama e una maschera a ossigeno sulla faccia.
La Borgata Incantata era quasi disabitata, senza i pivelli che interpretavano i personaggi delle fiabe, ma Fred e Lane avevano riattivato le parti meccaniche: la pianta di fagioli magici che spuntava di botto dal terreno in uno sbuffo di vapore, la strega che ridacchiava gracchiante davanti alla casa di marzapane, il tè del Cappellaio Matto, il lupo cattivo con la cuffia da notte acquattato in uno dei sottopassaggi che balzava fuori al passaggio del treno. Mentre aggiravamo l’ultima curva, superammo tre casette che tutti i bambini conoscono a menadito: una di paglia, una di legno e una di mattoni.
«Attento!» gridò Lane, e in quel preciso istante i porcellini attraversarono i binari ballonzolando e lanciando grugniti debitamente amplificati. Mike se la fece sotto dalle risate e tirò la corda del fischietto. Come sempre, i tre animali salvarono la cotenna… per un pelo.
Quando rientrammo in stazione, Annie mi lasciò la mano, precipitandosi alla locomotiva. «Come ti senti, tesoro? Vuoi il tuo inalatore?»
«No, sto da favola.» Il ragazzino si voltò verso Lane. «Grazie, signor macchinista!»
«Prego!» L’uomo gli tese il palmo. «Dammi il cinque, bello, e sei mio fratello.»
Mike gli obbedì con entusiasmo. Credo non si fosse mai sentito così vivo.
«Devo schizzare via», soggiunse Lane. «Oggi ho parecchi compiti da sbrigare, tanti quanti i miei cappelli.» Mi strizzò l’occhio.
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Annie proibì al figlio di salire sulle Tazze Ballerine, ma gli permise con una certa apprensione di provare i seggiolini volanti. Mi strinse il braccio ancora più forte della mano non appena il sedile di Mike si librò a una decina di metri da terra, iniziando a inclinarsi, ma allentò la presa quando lo sentì ridere.
«Dio!» esclamò la donna. «Guardagli i capelli! Gli svolazzano dietro come una coda!» Sorrideva e piangeva insieme, ma non se ne rendeva conto. Non sembrava accorgersi neanche del mio braccio che le circondava i fianchi.
Fred era ai comandi, attento a mantenere una velocità media, senza spingersi fino alla massima potenza; in quel caso Mike si sarebbe ritrovato parallelo al suolo, sostenuto unicamente dalla forza centrifuga. Quando il ragazzino riatterrò, gli girava troppo la testa per reggersi in piedi. Annie e io lo prendemmo sottobraccio, conducendolo verso la sedia a rotelle. Fred si occupò delle grucce.
«Oh, cribbio!» Non sembrava riuscire a dire altro. «Oh, cribbio! Oh, cribbio!»
Dopo fu la volta dei Battelli Ubriachi, un’attrazione che non si svolgeva in acqua a dispetto del nome. Mike solcò le onde di cartapesta insieme con Milo ed entrambi si divertirono un mondo. Annie e io ci imbarcammo su un secondo battello. Anche se lavoravo a Joyland da più di quattro mesi, non ero mai stato su quella giostra, e mi sorpresi a urlare la prima volta che la nostra prua sembrò schiantarsi contro l’imbarcazione di Mike e Milo, solo per cambiare direzione all’ultimo secondo.
«Fifone!»mi urlò Annie dentro l’orecchio.
Quando scendemmo, il ragazzino ansimava ma non stava tossendo. Lo trasportammo in sedia a rotelle lungo la Strada del Segugio e ordinammo tre bibite. Il rincitrullo si rifiutò di accettare il cinquone di Annie. «Offre la casa, signora.»
«Posso prendermi un hot dog, mamma? E dello zucchero filato?»
Lei si accigliò, poi tirò un sospiro stringendosi nelle spalle. «E va bene. Però devi capire che quella robaccia ti è comunque proibita, bello mio. Oggi fa eccezione. E basta con le giostre troppo veloci.»
Girando le ruote con le mani, Mike puntò al chiosco dei Cucciolotti Golosi seguito dal suo terrier, goloso pure lui. Annie si voltò verso di me. «Non credere sia fissata con l’alimentazione sana. Se gli viene la nausea, rischia di vomitare, che è pericolosissimo per i bambini nelle sue condizioni. Rischiano di…»
La baciai, sfiorandole appena le labbra. Fu come ingoiare una goccia di un liquido incredibilmente dolce. «Zitta. Ti pare stia male?»
Lei sgranò gli occhi. Per un attimo fui certo che mi avrebbe mollato un ceffone per poi eclissarsi. La giornata sarebbe finita in malo modo e sarebbe stata solo colpa mia, accidenti. Poi sorrise, fissandomi con uno sguardo interessato che mi fece sentire un brivido nello stomaco. «Scommetto che potresti combinare di meglio, se ti lasciassi fare.»
Prima che riuscissi a trovare una risposta, si gettò alla rincorsa del figlio. Anche se fosse rimasta non sarebbe cambiato nulla, perché ero totalmente sconcertato.
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Annie, Mike e Milo si stiparono in una cabina della Teleferica Stellare, che passava sopra l’intero parco in diagonale. Fred Dean e io li seguimmo da terra in uno dei trabiccoli elettrici, con la sedia del ragazzino ripiegata nella parte posteriore.
«Mi sembra un bambino formidabile», commentò Fred.
«Lo è, ma non mi sarei mai aspettato un’accoglienza del genere.»
«È per lui ma anche per te. Hai fatto più bene al parco di quanto ti renda conto, Dev. Quando ho comunicato al signor Easterbrook che volevo esagerare, mi ha subito dato il via libera.»
«L’ha chiamato?»
«Certo.»
«Il trucco delle rose… come c’è riuscito?»
Fred tese le braccia, sfoggiando i polsini e abbozzando un’aria modesta. «Un prestigiatore non svela mai i suoi segreti. Non lo sapevi?»
«Quando lavorava per i Blitz Brothers, trafficava con le carte, i conigli e i cappelli a cilindro?»
«Nossignore. Per i Blitz manovravo le attrazioni e facevo l’imbonitore. Poi, anche se non avevo la patente adatta, ogni tanto guidavo un camion quando eravamo obbligati a schizzare via come schegge da un paesino di bifolchi in piena notte.»
«E dove ha imparato i trucchi?»
Fred allungò la mano dietro il mio orecchio, tirando fuori una moneta d’argento da un dollaro e lasciandomela cadere in grembo. «Qua e là, a zonzo per la città. Tira il collo a questo macinino, Jonesy. Ci stanno superando.»
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Dalla Stazione Stellare, dove terminava il viaggio della teleferica, ci spostammo alla giostrina dei cavalli. Lane Hardy era lì ad aspettarci. Aveva abbandonato il berretto da macchinista, ritornando alla solita bombetta. Gli altoparlanti ci stavano ancora rintronando con vari pezzi rock, ma sotto la volta di quella che nella Parlata è nota come la giannetta, la loro musica era sovrastata dalle note di organetto di Daisy Bell.Era registrata, ma conservava la dolcezza dei tempi andati.
Prima che Mike guadagnasse la sua postazione, Fred si appoggiò a terra con un ginocchio e lo squadrò con un’espressione severa. «Non puoi salire sulla giannetta senza un berretto di Joyland. Noi li chiamiamo cancappelli. Ne hai uno?»
«No», replicò il ragazzino. Ancora non tossiva, ma aveva il volto segnato da occhiaie bluastre. A parte le gote rosse per l’eccitazione, era molto pallido. «Non sapevo che…»
Fred si levò il copricapo, sbirciò al suo interno e lo rivolse verso di noi. Era vuoto, come tutti i cilindri da prestigiatore quando vengono mostrati al pubblico. Controllò una seconda volta e gli brillò lo sguardo. «Ah!» Fece comparire un cancappello nuovo di zecca e lo calcò in testa a Mike. «Perfetto. Dunque, su quale animale vuoi salire? Non ci sono solo cavalli, anche se è la loro giostra! Preferisci un unicorno? Lena la sirena? Leo il Leone?»
«Sì, sì, il leone, per favore!» gridò il ragazzino. «Mamma, mettiti sulla tigre vicino a me!»
«Ci puoi scommettere», rispose lei. «Ho sempre desiderato cavalcarne una.»
«Ehi, campione della settimana», intervenne Lane, «lascia che ti dia una mano a montare sulla pedana.»
Nel mentre, Annie si indirizzò a Fred abbassando la voce. «Basta così, direi. È stato stupendo e non dimenticherà mai questa giornata, ma…»
«Si sta stancando. Capisco.»
La donna salì a cavalcioni della tigre con gli occhi verdi e le fauci spalancate in un ruggito, proprio di fianco al leone del figlio. Milo si accucciò tra i due, sorridendo un sorriso da cane. Non appena la giostra cominciò a girare, Daisy Belllasciò il posto a Twelfth Street Rag.Fred mi appoggiò una mano sulla spalla. «Rivediamoci alla Ruota del Sud. Sarà la sua ultima corsa, ma prima devi filare in sartoria. Muoviti.»
Feci per chiedergliene il motivo, ma poi mi accorsi di non averne bisogno. Mi diressi verso la mia meta. E di corsa.
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Quel martedì mattina dell’ottobre del 1973 indossai il costume di Howie per l’ultima volta. Me lo infilai in sartoria e attraversai la Sotterranea per ritornare a metà del parco, tirando il collo a uno dei trabiccoli elettrici, con la maschera che mi ballonzolava sulla spalla. Sbucai appena in tempo dietro al baraccone di Madame Fortuna. Lane, Annie e Mike stavano risalendo lungo il viale principale. Lane spingeva la sedia a rotelle. Nessuno di loro mi sorprese a sbirciare da dietro l’angolo; erano troppo occupati a fissare la ruota panoramica con il collo teso all’insù. Invece Fred mi vide. Sollevai una zampa. Lui annuì, si voltò e alzò la sua, di zampa, per lanciare un segnale a chiunque ci stesse osservando dalla piccola cabina di regia sopra il centro di accoglienza visitatori. Un attimo dopo, i classici motivetti da Howie fuoriuscirono dagli altoparlanti. Per primo, Hound Dogcantato da Elvis Presley.
Uscii allo scoperto, impegnandomi nel solito balletto, una specie di folle tip-tap canino. Mike restò a bocca aperta. Annie si strinse la testa tra le mani, quasi fosse caduta improvvisamente vittima di una tremenda emicrania, e poi scoppiò a ridere fragorosamente. A seguire, quella che ritengo una delle mie migliori esibizioni. Saltellai e balzellai attorno alla sedia a rotelle, accorgendomi appena che Milo mi stava imitando girando dalla parte opposta. Hound Doglasciò il posto alla versione dei Rolling Stones di Walking the Dog.Un pezzo breve, per mia fortuna: non mi ero accorto di quanto fossi fuori forma.
Per il gran finale, spalancai le braccia strillando: «Mike! Mike! Mike!»Howie non aveva mai parlato prima di allora, e a mia difesa devo confessare che somigliava più a un latrato.
Il bambino si alzò, allargò a sua volta le braccia e si tuffò in avanti. Sapeva che l’avrei afferrato al volo, e così accadde. Marmocchi con la metà dei suoi anni mi avevano stropicciato per tutta l’estate, ma nessun abbraccio mi aveva mai mandato in brodo di giuggiole quanto il suo. Mi sarebbe piaciuto rigirarmi Mike tra le mani e stringerlo forte come avevo fatto con Hallie Stansfield, costringendolo a sputare fuori il male che l’affliggeva quasi fosse stato un boccone di hot dog andato di traverso.
«Sei un Howie fantastico, Dev», mormorò il ragazzino con il volto affondato nel pelo del costume.
Gli accarezzai la testa con la zampa, scalzandogli via il cancappello. Nei panni di Howie non ero autorizzato a rispondergli, e mi ero già spinto fin troppo in là ululando il suo nome, ma pensai ugualmente: Un bravo bambino si merita un bravo cane. Milo può dirlo.
Mike alzò lo sguardo, fissando gli occhioni azzurri di rete della mascotte di Joyland. «Vieni anche tu sul montacarichi?»
Annuii con enfasi esagerata, strofinandogli di nuovo il capo. Lane raccolse il cancappello e glielo rimise sulla cocuzza.
Annie si avvicinò. Teneva le mani giunte in grembo, con un atteggiamento composto e riservato, ma gli occhi sprizzavano allegria. «Le abbasso la cerniera, signor Howie?»
Per me poteva, eccome, ma non era consentito. Ogni spettacolo ha le sue regole e quella di Joyland, rigorosa e inflessibile, sanciva che il Simpatico Howie non doveva maiessere altro che se stesso. Guai a levarsi il costume in presenza dei frollocconi.
♥
Ritornai di soppiatto nella Sotterranea, lasciando il travestimento nella macchinetta elettrica, e mi ricongiunsi a Mike e Annie sulla pedana che saliva alla Ruota del Sud. Annie sollevò lo sguardo con una punta di agitazione. «Ne sei proprio sicuro, tesoro?»
«Sì! È la mia preferita!»
«Allora va bene. O almeno lo spero.» Poi, rivolgendosi a me: «Non soffro di vertigini, ma le grandi altezze non mi fanno esattamente impazzire».
Lane stava tenendo aperto lo sportello di una cabina. «Tutti a bordo! Vi spedirò su, dove il cielo è pulito e il panorama garantito.» Si chinò, dando una grattatina a Milo giusto dietro alle orecchie. «Stavolta resterai a terra, bello.»
Mi sistemai in fondo, vicino alla ruota. Annie si piazzò in mezzo e Mike verso l’esterno, dove si godeva della vista migliore. Lane abbassò la sbarra di sicurezza e si riposizionò ai comandi, spostandosi di lato la bombetta. «Che la meraviglia abbia inizio!» urlò, e cominciammo a salire lentamente, come a incoronare un sogno.
A poco a poco, il mondo sottostante si svelò davanti ai nostri occhi: prima il parco, poi l’oceano blu cobalto sulla sinistra e i bassopiani della Carolina del Nord sulla destra. Quando arrivammo in cima, Mike mollò la sbarra di sicurezza, alzò le braccia sopra la testa e si mise a gridare. «Stiamo volando!»
Una mano sulla mia coscia. Era quella di Annie. La fissai e lei sillabò in silenzio un’unica parola: grazie.Non so quanti giri facemmo. Mi sembrò una corsa più lunga del solito, ma non ne sono certo. Mi ricordo soprattutto il viso di Mike, pallido ed estasiato, e le dita di Annie lungo la gamba, calde e quasi brucianti. Le spostò solo quando ci fermammo.
«Ora so come si sente il mio aquilone», affermò il ragazzino voltandosi verso di me.
A dire il vero, lo sapevo anch’io.
♥
Quando Annie comunicò al figlio che la pacchia stava per finire, lui non si oppose. Era a pezzi. Mentre Lane lo caricava sulla sedia, Mike gli tese il palmo. «Dammi il cinque, bello, e sei mio fratello.»
L’uomo obbedì con un sorriso. «Torna a trovarci quando vuoi, piccolo.»
«Grazie. È stato fantastico.»
Lane e io lo spingemmo su per la Passeggiata. I chioschi su entrambi i lati avevano chiuso i battenti, ma uno sparaspara era ancora aperto: il Tirassegno di Buffalo Bill. Davanti al bancone dove venivano rastrellati i verdoni dei bifolchi, dove Pop Allen aveva passato l’intera estate, c’era Fred Dean nel suo completo con panciotto. Alle sue spalle, sagome di papere e di conigli scorrevano lungo un binario in direzioni opposte. Sopra di loro, pulcini di ceramica giallo brillante, immobili ma minuscoli.