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Joyland
  • Текст добавлен: 9 октября 2016, 19:10

Текст книги "Joyland"


Автор книги: Stephen Edwin King


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Ужасы

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Le ubbidii. Sopra gli scarponcini gialli da lavoro, un paio di jeans (con doverosi guanti di cuoio a spuntare dalla tasca posteriore) e una camicia azzurra di tela grezza, sbiadita ma non troppo sporca. In testa, un cancappello elegantemente malconcio, per un indispensabile tocco di classe.

«E allora?» Stavo incominciando a innervosirmi.

«Sbaglio o ti ballano addosso?» domandò Lane. «Prima non succedeva. Quanti chili hai perso?»

«Ma che ne so. Forse dovremmo chiederlo a Wally Ciccia.» Wally Ciccia gestiva il baraccone di indovina-il-peso.

«Non fai ridere», ribatté Fortuna. «Non puoi indossare quello stupido travestimento da cane per mezza giornata sotto il sole cocente di luglio, ingollando come pasto un paio di compresse di sale. Piangi il tuo amore perduto finché ti pare, ma nel frattempo preoccupati di mangiare. Mangia,accidenti!»

«Chi ti ha raccontato tutto? Tom?» No, impossibile. «Erin. È stata lei. Non avrebbe dovuto impicciarsi…»

«Nessuno mi ha spifferato niente.» Nonostante la bassa statura, la donna sembrò sovrastarmi. «Io possiedo il dono della vista.»

«Questo non lo so, ma di sicuro hai una bella faccia tosta.»

Di colpo Fortuna ritornò a essere Rozzie. «Non il potere psichico, bimbo. Parlo di intuito femminile. Credi che non sia capace di riconoscere un innamorato con il cuore infranto quando ne incontro uno? Dopo tutti gli anni passati a leggere la mano e a scrutare nella sfera di cristallo? Ah!»Si avvicinò, preceduta dalle sue considerevoli tette. «Non me ne frega niente della tua vita sentimentale, ma non voglio che ti portino in ospedale il quattro luglio, quando la temperatura toccherà i trenta-cinque all’ombra, steso da un colpo di calore o qualcosa di peggio.»

Lane si tolse la bombetta, ci guardò dentro, e se la riappoggiò in testa inclinata dalla parte opposta. «Rozzie non riesce a dirtelo chiaramente perché deve proteggere la sua secolare reputazione di scorbutica, ma qui piaci a tutti. Impari in fretta, obbedisci senza discutere, sei onesto, non combini guai, e quando hai addosso la pelliccia i bambini ti adorano alla follia. Però, dovresti essere cieco per non vedere che qualcosa non va. Secondo Rozzie è colpa di una ragazza. Forse ha ragione o forse no.»

La donna lo fulminò con uno sguardo sprezzante; non le andava a genio che le sue parole venissero messe in discussione.

«Magari i tuoi genitori stanno divorziando. I miei l’hanno fatto, e a momenti ci resto. Oppure hanno messo in galera tuo fratello per spaccio…»

«Mia madre è morta e sono figlio unico», risposi imbronciato.

«Non mi importa chi tu sia nel mondo normale», continuò Lane. «Questa è Joyland. Questo è il nostro parco.E tu sei uno di noi. Ci sentiamo obbligati a prenderci cura di te, che ti vada o no. Quindi, fammi il favore di mangiare.»

«Di mangiare un sacco»,intervenne Rozzie. «Mattina, mezzogiorno, fino a sera. Ognigiorno. E cerca di non sgranocchiare solo cosce di pollo fritto, se ci tieni a non crepare d’infarto. Va’ all’ Aragosta Rocke prenditi una razione da asporto di pesce e insalata. Doppia! Impegnati a prendere peso, per non rischiare di somigliare allo Scheletro Vivente.» Spostò lo sguardo su Lane. «Sicuro che c’è di mezzo una ragazza. Lo capirebbe chiunque.»

«In ogni caso, smettila di tormentarti così, e che cazzo!» esclamò lui.

«Non si usa un linguaggio simile in presenza di una signora», obiettò Rozzie. Si esprimeva di nuovo come Madame Fortuna. Presto se ne sarebbe uscita con un kvesta è la volontà degli zpiritio roba del genere.

«Ah, falla finita!» replicò Lane, ritornando alla ruota.

Non appena sparì, guardai Rozzie. Come figura materna non valeva molto, ma non avevo di meglio. «Roz, lo sanno tutti

Lei scosse la testa. «Nah. Per la maggior parte di noi vecchi dipendenti, sei soltanto un pivellino tuttofare… solo leggermente più esperto di tre settimane fa. Però molti qui ti vogliono bene e vedono che qualcosa non va.

I tuoi amici Erin e Tom, per esempio.» Pronunciò amicicome se facesse rima con fichi.«Anch’io mi considero tua amica e, in quanto tale, ti assicuro che solo il tempo potrà sanare le ferite del tuo cuore. Però sei in grado di rimettere in sesto il resto del tuo corpo. Mangia!»

«Sembri una madre ebrea uscita da una barzelletta.»

«Sonouna madre ebrea. Non sto scherzando.»

«E io sono la barzelletta. Non faccio che pensare a lei.»

«È inevitabile, almeno per adesso. Però, non devi dare retta a quelle altre idee che ogni tanto ti vengono.»

Probabilmente restai a bocca aperta, anche se lo non ricordo con precisione. Di sicuro sgranai gli occhi. I veggenti con l’esperienza secolare di Rozzie Gold (gli sfogliapalmi, secondo la Parlata, per l’abilità nel leggere la mano) usano determinate tecniche per frugarti nel cervello e far passare quello che dicono come frutto di telepatia, quando invece è solo il risultato di un’attenta osservazione.

Non sempre, però.

«Non capisco…»

«Metti via quei dischi che parlano di morte. Mi sono spiegata?» Mi guardò in faccia con un’espressione severa, per poi ridere del mio sguardo attonito. «Rozzie Gold sarà anche una mamma e una nonna ebrea, ma a Madame Fortuna non sfugge nulla.»

Proprio come alla mia padrona di casa. Dopo avere visto la signora Shoplaw pranzare con la veggente in uno dei suoi rari giorni liberi, venni a scoprire che le due erano amiche di antica data. Emmalina spolverava la mia camera e passava l’aspirapolvere sul pavimento una volta alla settimana; non potevano esserle sfuggiti i miei gusti musicali. In quanto ai miei saltuari propositi di suicidio, una donna che aveva passato la maggior parte della vita studiando la psicologia umana alla ricerca di indizi (di messaggi,come si dice sia nella Parlata sia nel gergo del poker) era certamente in grado di indovinare che un giovane sensibile, mollato da poco dalla fidanzata, meditasse di farla finita inghiottendo una manciata di pillole, impiccandosi o gettandosi tra i flutti dell’oceano.

«Mangerò», le promisi. Di lì allo svegliarino avevo un milione di incombenze da sbrigare, ma soprattutto non vedevo l’ora di allontanarmi dalla chiromante prima che se ne uscisse con qualcosa di veramente inspiegabile, tipo zi chiama Vendy e penzi ancora a lei kvando ti mazz-turbi!

«E non scordarti di bere un bicchierone di latte prima di andare a letto.» Alzò un dito in segno di avvertimento. «Kvelloti aiuterà a dormire. Niente caffè.»

«Ci proverò.»

Tornò nei panni di Roz. «Quando ci siamo incontrati, mi hai chiesto se nel tuo futuro vedevo una bella ragazza con i capelli castani. Te lo ricordi?»

«Sì.»

«E che cosa ti ho risposto?»

«Che lei apparteneva al passato.»

Rozzie annuì una sola volta, solenne e decisa. «Ed è così. E quando la chiamerai implorandola di concederti una seconda possibilità, perché lo farai di sicuro, non comportarti da mollaccione. Cerca di avere un po’ di amor proprio. E non scordarti che le interurbane costano parecchio.»

A chi lo dici, pensai. «Senti, Roz, ora devo assolutamente scappare. Il lavoro mi chiama.»

«Sì, oggi è una giornataccia per tutti noi. Però, prima di andartene, un’ultima cosa: hai già incontrato il ragazzo? Quello con il cane? O la bambina con il cappello rosso e la bambola sottobraccio? Quando ci siamo visti, ti ho parlato anche di loro.»

«Roz, mi sono passati sotto gli occhi miliardi di piccoletti nelle ultime…»

«Allora la risposta è no. Va bene. Ti capiterà.» Sporse in avanti il labbro inferiore, sbuffando per scostare la ciocca di capelli che scappava dal foulard. Poi mi afferrò per il polso. «Vedo del pericolo in serbo per te, Jonesy. Dolore e pericolo.»

Per un attimo pensai che avrebbe sussurrato qualcosa alla Buck Owens, tipo: «Bada allo sconosciuto vestito di nero…» magari aggiungendo: «… che guida un monociclo!» Invece mollò la presa e indicò il Castello del Brivido. «A quale gruppo è toccato quel buco infernale? Non al tuo, mi auguro.»

«No, alla Squadra Dobermann.» I Dob si occupavano anche delle attrazioni vicine: il Labirinto di Mysterio e il Museo delle Cere. Il timido omaggio di Joyland alle case del terrore dei vecchi luna park.

«Perfetto. Stanne lontano. È stregato, e un ragazzo con brutti pensieri per la testa ha bisogno di un posto simile come dell’arsenico nel collutorio. Mi sono spiegata?»

«Certo.» Guardai l’orologio.

Lei capì l’antifona e si allontanò. «Prima o poi incontrerai quei due. E stai attento: un’ombra grava su di te, giovanotto.»

Senza dubbio, Lane e Rozzie mi misero addosso una bella paura. Non accantonai subito i dischi dei Doors, ma mi sforzai di mangiare di più, scolandomi tre frappé al giorno. Cominciai a sentirmi pieno di nuova energia, come se qualcuno avesse azionato un interruttore, e ne feci buon uso il pomeriggio del giorno dell’indipendenza. Joyland era svalvolata e avrei dovuto indossare il costume dieci volte in una sola giornata, un primato assoluto.

Fu Fred Dean in persona a consegnarmi la tabella di marcia, insieme con un messaggio del signor Easterbrook.

Se non ce la fai, fermati immediatamente e avvisa il tuo caposquadra di trovare un sostituto.

«Non mi succederà niente», affermai.

«Può darsi, ma assicurati che Pop veda questo appunto.»

«D’accordo.»

«Tu piaci a Brad, Jonesy. Succede di rado. In genere nota un pivello solo quando combina un guaio.»

Anche a me piaceva Easterbrook, ma non lo confessai a Fred. Non mi andava di passare per un leccaculo.

Tutte le mie esibizioni del quattro luglio erano di dieci minuti; non una grande fatica, anche se molte sfiorarono poi il quarto d’ora, però il caldo era soffocante.

Trentacinque all’ombra, aveva predetto Roz, ma a mezzogiorno il termometro appeso fuori dalla centrale operativa del parco segnava trentanove gradi. Fortunatamente Dottie Lassen aveva fatto riparare la seconda tuta extra large, dandomi l’opportunità di giostrarmi tra le due. Mentre ne indossavo una, lei stendeva l’altra al rovescio davanti a tre ventilatori, asciugando l’interno zuppo di sudore.

Almeno avevo imparato a togliermi il travestimento senza l’aiuto di nessuno. La zampa destra di Howie in realtà era un guanto e, una volta scoperto il trucco, abbassarsi la cerniera lampo partendo dal collo era uno scherzo. Una volta sfilata la maschera, il resto veniva da sé. Niente male, perché così ero in grado di cambiarmi dietro una tenda, senza mostrare alle costumiste i miei boxer fradici e semitrasparenti.

Mentre il pomeriggio di festa proseguiva in un trionfo di bandiere, venni dispensato da ogni altro compito. Facevo la mia apparizione e poi mi ritiravo sottoterra, stramazzando sul vecchio divano sgangherato del pulciaio per qualche minuto, assaporando la frescura dell’aria condizionata. Quando ritornavo in me, raggiungevo la sartoria attraverso i passaggi in mezzo ai baracconi e cambiavo il costume, restituendo quello appena usato. Tra un’esibizione e l’altra, tracannavo litri d’acqua e caraffe di tè freddo senza zucchero. Anche se rischia di sembrare incredibile, mi divertivo un mondo. Quel giorno mi adorarono persino i mocciosi più pestiferi.

Allora: le quattro meno un quarto del pomeriggio. Sto ballando lungo la Passeggiata di Joyland, il cuore pulsante del parco, mentre gli altoparlanti sopra di me sparano a pieno volume Chick-A-Boomdi Daddy Dewdrop. Distribuisco abbracci a tutti i bambini e buoni sconto agli adulti per il nostro Agosto da Sballo, visto che gli incassi scendono in picchiata verso la fine dell’estate. Mi metto in posa per un miliardo di fotografie (alcune scattate dalle Sirene di Hollywood, ma la maggior parte da genitori armati di apparecchio, scottati dal sole e grondanti sudore), tirandomi dietro code di piccoletti adoranti come la più brillante delle stelle comete. Sto anche adocchiando l’entrata più vicina per la Sotterranea, perché mi sento esausto. Mi rimane solo un ultimo spettacolo: il Simpatico Howie non si fa mai vedere dopo il tramonto con i suoi occhioni azzurri e le sue orecchie dritte. Un’antica tradizione del posto. Chissà perché.

Secondo voi mi accorsi della bambina con il cappello rosso prima che crollasse sussultando sull’asfalto rovente della Passeggiata? Credo di no, ma non ne sono sicuro.

Il passare del tempo aggiunge falsi ricordi, modificando quelli veri. Di certo non avrei mai potuto notare il Cucciolotto che brandiva o il suo cancappello; in un parco giochi una marmocchietta con un hot dog in mano non è una rarità, e quel giorno avremmo venduto migliaia di berretti rossi di Howie. Se davvero la vidi, fu grazie al pupazzo che stringeva al petto con la mano non impegnata a reggere il salsicciotto spalmato di senape. Era una tipica bambola di pezza con il grembiule a quadri e i capelli di lana. Pochi giorni prima Madame Fortuna mi aveva messo in guardia e forse ero pronto. O magari stavo solo pensando di telare via prima di crollare a terra svenuto. Comunque, il problema era l’hot dog che lei era intenta a divorare, non la bambola.

Pensodi ricordarla correre verso di me (come facevano tutti, del resto), ma so quel che successe dopo, e anche il perché. In bocca aveva un pezzo di Wurstel, che le andò di traverso quando prese fiato per gridare: Howieeee.Gli hot dog: il cibo perfetto con cui strozzarsi. Per sua fortuna, un po’ delle stronzate di Rozzie Gold mi erano rimaste nella zucca e mi mossi senza esitare.

Quando alla bambina cedettero le ginocchia e la sua espressione entusiasta si fece dapprima sorpresa e poi terrorizzata, mi ero già sfilato la zampa e mi stavo abbassando la cerniera lampo. La maschera ricadde di colpo, ciondolando di lato, portando allo scoperto il volto paonazzo e i capelli arruffati e sudati del signor Devin Jones. La piccola lasciò cadere per terra la bambola di pezza e iniziò a stringersi il collo, il cappello ormai rotolato via.

«Hallie?» gridò una donna. «Hallie, che ti succede?»

Grazie a un’ulteriore botta di fortuna, non solo sapevo che cosa stesse capitando ma anche come intervenire. Spero vi sia ben chiara la casualità del tutto. Stiamo parlando del 1973 e Harry Heimlich avrebbe pubblicato il saggio sull’omonima manovra per liberare le vie aeree solo l’anno successivo. Però era sempre stata la tecnica più sensata per risolvere un caso di soffocamento; noi studenti l’avevamo imparata nel nostro primo e unico corso di addestramento prima di iniziare il lavoro nella mensa universitaria. Ce la insegnò un veterano della ristorazione che aveva perso la sua tavola calda di Nashua nella battaglia contro McDonald’s.

«Ricordatevi, perché funzioni dovete metterci tutta la vostra forza», si raccomandava. «Se qualcuno vi sta morendo davanti, non preoccupatevi di rompergli una costola.»

Quando la bambina diventò cianotica, le sue costole furono il mio ultimo pensiero. L’avvolsi in un enorme abbraccio peloso, premendole contro lo sterno la zampa sinistra che manovrava la coda. Diedi una sola, potente stretta e un pezzo di Wurstel macchiato di giallo, lungo quasi cinque centimetri, le uscì di bocca con uno schiocco come un tappo da una bottiglia di champagne, atterrando un metro più in là. E, nossignori, non le spezzai manco un osso. I bambini sono fatti di gomma, grazie al cielo.

Non mi accorsi che io e Hallie Stansfield (la bimba si chiamava così) eravamo circondati da una folla di adulti sempre più folta. E neanche che ci fotografarono decine di volte; lo scatto di Erin Cook venne pubblicato dal foglio settimanale di Heaven’s Bay e da molti altri giornali più importanti, compreso lo Star-Newsdi Wilmington. Conservo ancora una copia incorniciata della foto dentro uno scatolone in soffitta. Nell’immagine, la piccola penzola dalle zampe di uno strano incrocio tra un uomo e un cane con la seconda testa a ciondolargli dalla spalla. Lei ha le braccia tese verso la mamma, immortalata dalla macchina a soffietto di Erin mentre ci cade davanti in ginocchio.

Ho un ricordo confuso dell’episodio, ma chiarissimo della madre che solleva la figlia in un abbraccio e del padre che mi dice: «Ragazzo, credo che tu le abbia salvato la vita.» E mi rammento perfettamente della bambina che mi fissa con i suoi occhioni azzurri e commenta: «Oh, povero Howie, ti è caduta la testa».

Un titolo da prima pagina, come tutti sanno, è uomo morde un cane. Lo Star-News non poteva eguagliarlo ma si impegnò fino in fondo, stampando sotto la fotografia scattata da Erin: CANE SALVA UNA BAMBINA A UN PARCO DIVERTIMENTI.

Tanto per ripicca, mi venne in mente di ritagliare l’articolo e inviarlo a Wendy Keegan. L’avrei persino fatto, se nell’immagine di Erin non fossi somigliato così tanto a un gatto bagnato. Invece lo mandai a mio padre, che mi chiamò per dirmi che andava orgoglioso di me. Da come gli tremava la voce, capii che era sul punto di scoppiare in lacrime.

«Dio ti ha messo nel posto giusto al momento giusto, Dev», dichiarò.

Dio o Rozzie Gold, anche conosciuta come Madame Fortuna. Oppure entrambi.

Il giorno dopo venni convocato nell’ufficio del signor Easterbrook, una stanza con le pareti rivestite da pannelli di legno e tappezzata da fotografie e manifesti di vecchie fiere paesane. Ad attirare la mia attenzione, l’immagine di un imbonitore con un cappello di paglia e un paio di eleganti baffi davanti a un baraccone misura-la-tua-forza. Aveva le maniche della camicia bianca rimboccate ed era appoggiato a una mazza come se fosse stata un bastone da passeggio: un vero damerino. In cima all’asta graduata, accanto al campanello, un cartello recitava: BACIALO, RAGAZZA, È UN VERO UOMO!

«È lei nella foto?»

«Sì, ma ho presto abbandonato quel genere di lavoro. Non mi piaceva, come tutti gli imbrogli. Preferisco giocare pulito. Vuoi una Coca o qualche altra bibita?»

«No, signore, sono a posto.» In effetti, lo stomaco gorgogliava per i frappé del mattino.

«Vengo subito al punto. Ieri pomeriggio ci hai regalato almeno ventimila dollari di pubblicità gratuita, ma non sono in grado di darti neanche un incentivo. Se solo sapessi… ma non importa.» Si piegò in avanti. «Però ti devo un favore. Chiedimelo in qualsiasi momento. Se rientra nelle mie possibilità, te lo concederò. Ti basta?»

«Certo.»

«Bene. E saresti disposto a fare un’ultima apparizione nei panni di Howie con la bambina? I suoi genitori volevano ringraziarti in privato, ma una dimostrazione pubblica sarebbe di grande aiuto per Joyland. La decisione spetta a te, naturalmente.»

«Quando?»

«Sabato. Dopo la sfilata di mezzogiorno. Monteremo un palco all’incrocio tra la Passeggiata e la Strada del Segugio. Inviteremo la stampa.»

«Volentieri.» Non mi dispiaceva affatto l’idea di comparire di nuovo sui giornali. Ultimamente la mia autostima e il mio amor proprio avevano preso una bella batosta e già pregustavo una possibile inversione di rotta.

Easterbrook si alzò, cauto e rigido come sempre, tendendomi la mano. «Ancora grazie. Da parte della bambina ma anche dell’intero parco. Quei contabili che mi stanno addosso peggio delle zecche andranno in brodo di giuggiole.»

Quando uscii dalla struttura, situata insieme con altri uffici in quello che chiamavamo il cortiletto, trovai l’intera squadra ad aspettarmi. Era venuto persino Pop Allen. Erin, elegantissima nella sua divisa verde da Sirena di Hollywood, avanzò verso di me con una corona luccicante fatta di lattine di zuppa Campbell. «Per te, mio eroe», disse, appoggiandosi a terra su un ginocchio.

Nonostante fossi scottato dal sole, tutti notarono le mie gote rosse di emozione. «Per l’amor di Dio, alzati.»

«Gloria a te, soccorritore di bambine indifese», intervenne Tom Kennedy. «E hai anche salvato il nostro posto di lavoro, impedendo che facessero causa al parco e lo costringessero a chiudere i battenti.»

Erin scattò in piedi e mi appoggiò sulla testa quella ridicola corona, stampandomi sulla guancia un enorme bacio con tanto di schiocco. La Squadra Bracchetto esultò al gran completo.

«E va bene», affermò Pop non appena ritornò la calma. «Siamo tutti d’accordo che sei il nostro cavaliere senza macchia e senza paura, Jonesy. Però, non sei neanche il primo ad avere impedito che un bifolco tirasse le cuoia in mezzo al parco. Forza, al lavoro!»

Non me lo feci ripetere due volte. Non mi dispiaceva essere famoso, ma avevo capito il significato recondito della corona di latta: attento a non montarti la testa.

Quel sabato indossai la pelliccia sul palco improvvisato al centro di Joyland. Ero contento di riabbracciare Hallie e lei era sicuramente felice di trovarsi lì. La bambina venne immortalata miliardi di volte mentre dichiarava il suo amore per il suo cagnetto preferito e io la baciai a più riprese per la gioia dei fotografi.

Per un po’ Erin si aggiudicò la prima fila, armata di macchina a soffietto, ma gli inviati dei giornali erano tutti omaccioni nerboruti. Nel giro di breve tempo la relegarono in una posizione meno favorevole, cercando di ottenere quello che lei si era già guadagnata in precedenza: una mia fotografia senza la maschera da Howie. Non mi sarei mai scoperto la faccia, pur con la certezza che Fred, Lane o il signor Easterbrook non se la sarebbero presa. Sarebbe stato contrario alla tradizione del parco: Howie non si faceva maivedere senza costume. Sarebbe risultato un tradimento, un po’ come svelare chi è davvero la fatina dei denti. Ero stato costretto a liberarmi del travestimento quando Hallie Stansfield stava soffocando, un’eccezione necessaria. Non avrei mai infranto di proposito una legge vecchia di anni. Forse, dopo tutto, facevo davvero parte del mondo di Joyland, pur non essendo un figlio del carrozzone.

Più tardi, dopo essermi rivestito, incontrai Hallie e i genitori al centro di accoglienza. Osservando la madre da vicino, mi accorsi che era incinta, anche se probabilmente aveva ancora tre o quattro mesi davanti con le voglie di gelato e sottaceti. Mi abbracciò, versando tutte le lacrime che ancora le restavano. Hallie non sembrava troppo preoccupata. Dondolava i piedi su una delle sedie di plastica, occupata a sfogliare vecchie copie di Screen Timee a leggere i nomi delle varie celebrità con la voce altisonante di un ciambellano che annuncia la visita a corte di un nobile. Tranquillizzai la donna con una serie di lievi pacche sulle spalle. Il padre non scoppiò a piangere, ma si avvicinò con gli occhi lucidi porgendomi un assegno di cinquecento dollari con sopra il mio nome. Quando gli domandai del suo lavoro, mi rispose che aveva avviato l’anno prima una piccola azienda. Ancora ridotta, ma stiamo crescendo, mi informò. Ci pensai sopra, calcolai che i due avevano già un bambino, più un secondo in arrivo, e strappai l’assegno. Gli dissi che non potevo accettare denaro per qualcosa che faceva semplicemente parte dei miei compiti.

Vi prego di ricordare che avevo appena ventun anni.

Per i dipendenti stagionali non esistevano fine settimana; avevamo libero un giorno e mezzo ogni nove, senza scadenze fisse. C’era una tabella dove segnarsi e Tom, Erin e io spesso riuscivamo a prenderci insieme una meritata pausa. Ecco perché quel mercoledì sera, primo agosto, eravamo seduti attorno a un falò sulla spiaggia e con una cena che poteva risultare soddisfacente solo per chi è ancora giovane: birra, hamburger, patatine al gusto barbecue e insalata capricciosa. Per dolce, biscotti ripieni di toffoletta e cioccolato, riscaldati da Erin sulla griglia presa in prestito al banco delle cialde del Pirata Peter.Erano deliziosi.

Altri fuochi, piccoli come il nostro o giganteschi, si stendevano lungo la spiaggia fino alla scintillante metropoli di Joyland, tracciando un meraviglioso diadema di fiamme. Probabilmente simili falò sono vietati in questo secolo; le autorità costituite hanno il vizio di proibire parecchie belle iniziative della gente comune. Non ne conosco la ragione, ma è così.

Mentre mangiavamo, raccontai le predizioni di Madame Fortuna, secondo cui avrei incontrato una bambina con un cappello rosso e una bambola, nonché un ragazzino in compagnia di un cane. «La prima si è verificata; non rimane che la seconda», conclusi.

«Accidenti!» esclamò Erin. «Forse ha davverodei poteri paranormali. Me l’hanno assicurato in parecchi, ma non credevo che…»

«Tipo chi?» la interruppe Tom.

«Be’, tipo Dottie Lassen, la responsabile della sartoria.

O Tina Ackerley, la bibliotecaria che Dev va a trovare tutte le notti strisciando lungo il corridoio.»

Le mostrai il dito medio e lei iniziò a ridacchiare.

«Due non sono molti», obiettò Tom con il suo tono da professorone.

«Con Lane Hardy saliamo a tre», affermai. «Secondo lui, le profezie di Rozzie hanno lasciato di stucco un sacco di persone.» Non volendo nascondere niente, mi sentii obbligato ad aggiungere: «Ha anche detto che per il novanta per cento sono stronzate».

«Credo che ci avviciniamo di più al novantacinque», continuò il professorone. «Predire la sorte è mestiere da imbroglioni, ragazzi miei. Una truffa baruffa, secondo la Parlata. Il berretto, per esempio. I cancappelli sono di tre colori: blu, giallo e rosso, che va per la maggiore. Quanto alla bambola, quasi tutti i bambini si trascinano dietro il giocattolo preferito a un parco divertimenti. Serve a rassicurarli in un posto cosi strano. Se a Hallie non fosse andato di traverso l’hot dog mentre ti era davanti, se si fosse limitata ad abbracciare Howie e tirare dritto, avresti visto qualche altra bambina con un cancappello rosso e avresti esclamato: ‘A-ha! Madame Fortuna è veramentecapace di prevedere il futuro! Le passerò un dollaro d’argento sul palmo e di sicuro mi rivelerà dell’altro.’»

«Sei un tale cinico», lo sgridò Erin, tirandogli una gomitata. «Rozzie Gold non cercherebbe mai di derubare un collega.»

«Non ha voluto soldi», soggiunsi, pensando però che il ragionamento di Tom non faceva una grinza. Roz aveva indovinato (o almeno così mi era parso) che la mia ragazza con i capelli castani apparteneva al passato, ma forse si era trattato di una semplice congettura basata sul calcolo delle probabilità… o sulla mia espressione quando gliel’avevo chiesto.

«Certo che no», proseguì Tom, afferrando un ennesimo biscotto farcito. «Ti ha usato per fare pratica. Per mantenersi in forma. Scommetto che ha raccontato un fracco di palle pure ad altri pivelli.»

«Te compreso?» gli domandai.

«Be’, no, ma non significa nulla.»

Guardai Erin, che scosse la testa.

«Roz sostiene anche che il Castello del Brivido è stregato», affermai.

«Sì, ho sentito pure questo», replicò Erin. «È infestato dallo spettro di una ragazza uccisa lì dentro.»

«Che cazzata!» gridò Tom. «Tra un po’ salterà fuori che il mostro è l’Uncino, e si nasconde all’ombra del Teschio Urlante. Tutte leggende metropolitane.»

«C’è stato davvero un omicidio», precisai. «La vittima si chiamava Linda Gray e veniva da Florence, nella Carolina del Sud. Hanno fotografato lei e il suo assassino al tirassegno e in coda per le Tazze Ballerine. Lo sconosciuto non aveva un uncino, ma il tatuaggio di un falco o di un’aquila sul dorso della mano.»

La mia risposta zittì Tom, almeno per un po’.

«A sentire Lane Hardy, Rozzie pensache il Castello sia abitato da un fantasma, perché non ci è mai voluta entrare per scoprirlo. Non ci si avvicina neanche, se riesce a evitarlo. Lane ritiene che sia abbastanza ironico, dato che secondo lui lo spettro esiste sul serio.»

Erin spalancò gli occhi e si avvicinò al fuoco, in parte per fare scena ma soprattutto perché Tom le cingesse le spalle con il braccio. «Lane ha visto?…»

«Non ne ho idea. Mi ha consigliato di chiederlo alla signora Shoplaw, che mi ha riferito l’intera storia.» Decisi di raccontarla: era perfetta per una notte stellata, con le onde che lambivano la battigia e il falò quasi ridotto a un mucchietto di brace. Persino Tom sembrò restarne affascinato.

«E la nostra amica Shoplaw che ne pensa? Le è apparso lo spirito, sì o no?» domandò lui non appena ebbi concluso.

Cercai di ricordare esattamente il discorso di quando mi aveva affittato la stanza. «Non credo. In caso contrario me ne avrebbe parlato.»

Tom annuì, soddisfatto. «Una lezione perfetta su come funzionano queste faccende. Tutti conosconoqualcuno che ha visto un UFO e tutti conosconoqualcuno che ha visto un fantasma. Testimonianze indirette che nessun tribunale accetterebbe come prove. Io non sono diverso da san Tommaso, che non crede finché non ci mette il naso. Avete capito la battuta? Tom Kennedy, il san Tommaso…»

Erin gli tirò una seconda gomitata, molto più decisa della precedente. «Sì, sì, l’abbiamo capita.» Fissò i resti del fuoco con un’espressione assorta. «Volete sapere la verità? L’estate è quasi finita e non sono mai stata nel tunnel dell’orrore di Joyland, neanche nella prima parte, dedicata ai ragazzini. Brenda Rafferty ci ha detto che è vietato scattare fotografie perché molte coppiette vanno lì dentro a limonare.» Spostò lo sguardo su di me. «Perché stai sogghignando?»

«Oh, niente.» Stavo pensando al defunto signor Shoplaw intento a raccogliere mutandine nel tunnel dopo il coprifuoco, ovvero la chiusura.

«Voi due ci siete mai entrati?»

Scuotemmo entrambi il capo. «Sono i Dob a occuparsi del Castello», puntualizzò Tom.

«Andiamoci domani. Tutti e tre, in un solo vagoncino. Magari ci apparirà il fantasma.»

«Passare a Joyland il nostro giorno libero quando potremmo divertirci sulla spiaggia?» domandò Tom. «Una forma raffinatissima di masochismo.»

Invece di sferrargli una gomitata, Erin gli piantò un dito tra le costole. Probabile che dormissero già insieme: ultimamente non facevano che toccarsi. «Che cazzo ce ne frega? Siamo dipendenti del parco e abbiamo diritto di entrare gratis. E poi, quanto dura il giro? Cinque minuti?»

«Un po’ di più, nove o dieci», risposi. «Senza contare la parte dedicata ai ragazzini. In tutto, un quarto d’ora.»

Tom appoggiò il mento sopra la testa di Erin, osservandomi attraverso la sua chioma vaporosa. «Che cazzo ce ne frega, dice lei. Ecco una ragazza che frequenta l’università con profitto: prima che si mettesse con quelle della confraternita, non sarebbe andata oltre un che cacchio

«Preferirei morire di crepaculo piuttosto che farmi scoprire in giro con quel branco di troie semianoressiche vestite a casaccio!» Per qualche motivo, quel turpiloquio mi divertì moltissimo, forse perché Wendy abbinava sempre gli abiti alla meno peggio. «Thomas Patrick Kennedy, hai solo paura che lo vedremoe che sarai costretto a rimangiarti i tuoi bei discorsetti su Madame Fortuna e i fantasmi e gli UFO e…»


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