Текст книги "Joyland"
Автор книги: Stephen Edwin King
Жанры:
Ужасы
,сообщить о нарушении
Текущая страница: 16 (всего у книги 17 страниц)
Davanti agli occhi mi comparve la terribile immagine di Lane Hardy su un treno per Annandale, con un rasoio a mano libera in tasca. «Erin non sa nulla.»
«Oh, rilassati. Credi che mi metterei sulle sue tracce? Calmati, bello, e adopera il cervello. Nel mentre, fa’ una passeggiatina su per la rampa, dove la capra non campa. Tu e io partiremo per un giretto, ometto. Su su su, dove il cielo è pulito e il panorama garantito.»
Mi venne voglia di chiedergli se fosse pazzo, ma ormai sarebbe stata una domanda stupida e inutile.
«Che hai da ghignare, Jonesy?»
«Niente, niente. Non avrai davvero intenzione di salire là sopra con questo tempaccio?» Però, il motore della Ruota del Sud stava funzionando a pieno ritmo. Non me ero reso conto, non con il frastuono del vento e delle onde, o con lo stridore che veniva dalla struttura metallica, ma alla fine me ne accorsi. Era un brontolio costante, quasi un ronfare sommesso. Mi venne in mente un particolare piuttosto ovvio: probabilmente, dopo avermi finito, avrebbe usato la pistola contro di sé. Forse avrei dovuto pensarci prima, perché i pazzi lo fanno spesso, come si legge sovente sui giornali. Però, cercate di comprendermi: la tensione era alle stelle.
«La vecchia ruota è solida come una roccia», ribatté. «Ci monterei sopra anche se il vento soffiasse a novanta chilometri orari invece che a quaranta. Ha resistito addirittura alle raffiche di Carla un paio di anni fa, quando hanno spazzato la costa.»
«Come farai ad azionarla non appena saremo entrambi a bordo?»
«Entra e lo vedrai.» Sollevò l’arma. «Oppure ti posso stendere qui. Per me non c’è differenza.»
Mi incamminai su per la pedana. Aprii lo sportello della cabina, ferma nel punto dove di solito salivano i passeggeri. Feci per sistemarmi.
«No, no, no», mi bloccò lui. «Siediti verso l’esterno. La vista è migliore a tutte le ore. Fatti in là, bello. E ficcati le mani in tasca.»
Lane mi passò di fianco, la pistola alzata. Il sangue continuava a gocciolarmi sugli occhi e lungo le guance, ma non trovai il coraggio di muovere le dita e di asciugarlo con l’impermeabile. Lane aveva l’indice premuto contro il grilletto. Alla fine si accomodò nella parte interna.
«Ora tocca a te.»
Mi sedetti. Non avevo scelta.
«E chiudi lo sportello, che è lì per quello.»
«Sembri il dottor Seuss.»
Fece un sorriso storto. «Adularmi non ti servirà a nulla. Chiudilo o ti pianto una pallottola nel ginocchio. Credi che con questo vento qualcuno sentirebbe il colpo? Scommetto di no.»
Gli obbedii. Quando riportai lo sguardo su di lui, con una mano reggeva la pistola e con l’altra uno strano aggeggio metallico con una corta antenna. «Come ti ho detto, adoro questi giocattolini. È un normale apriporta per garage con un paio di piccole modifiche. Invia un segnale radio. L’ho mostrato a Easterbrook la scorsa primavera, assicurandogli che era la soluzione ideale per manovrare la ruota quando non c’erano pivelli o rincitrulli alla postazione di comando. Lui mi ha risposto che non potevamo utilizzarlo perché non era stato approvato dalla commissione di Stato per la sicurezza. Quel vecchio figlio di puttana, così ligio alle regole. Pensavo di brevettarlo, ma ormai è troppo tardi. Forza, prendilo.»
Lo afferrai. Era davvero un apriporta. Mio padre ne aveva uno della stessa marca, quasi identico.
«Vedi il pulsante con la freccia puntata verso l’alto?»
«Sì.»
«Premilo.»
Ci appoggiai sopra il pollice, senza schiacciare. In basso il vento era forte; sarebbe stato peggio lassù, dove il cielo era pulito e il panorama garantito? Stiamo volando!aveva urlato Mike.
«Fallo o ti becchi una pallottola nel ginocchio, Jonesy.»
Di nuovo, obbedii. La ruota panoramica ingranò all’improvviso e la cabina iniziò a sollevarsi.
«Adesso buttalo giù.»
«Cosa?»
«Obbediscimi o ti azzoppo e non ballerai mai più il tip-tap. Conterò fino a tre. Uno… due…»
Lo scagliai in basso. La Ruota del Sud girava nella notte ventosa. A destra la furia delle onde, la spuma dei cavalloni talmente bianca da sembrare fosforescente. A sinistra, la terra ammantata dalle tenebre e stretta nella morsa del sonno. Su Beach Row nemmeno un paio di fari. Le folate aumentarono di intensità. Ciuffi di capelli impastati di sangue mi vennero spazzati via dalla fronte. La cabina traballò. Lane si gettò prima in avanti e poi all’indietro, facendolo oscillare ancora di più. La pistola non si mosse, puntata contro il mio fianco. La canna scintillava rossa sotto la luce al neon.
«Stanotte non sembra più tanto una giostra per nonnine, eh, Jonesy?»
No di certo. La ruota metteva i brividi. Mentre stavamo per toccare la cima, una potente raffica scosse la struttura portante. I supporti di metallo della cabina presero a sferragliare. La bombetta di Lane volò via, inghiottita dall’oscurità.
«Merda! Be’, tanto ne ho una di scorta.»
Come faremo a scendere? La domanda nacque spontanea, ma non la pronunciai ad alta voce. Avevo troppa paura che mi rispondesse che saremmo rimasti lì, che se la tempesta non avesse travolto la giostra e l’energia elettrica non fosse saltata avremmo continuato a girare in tondo, finché Fred non ci avesse trovato al mattino. Due cadaveri sul montafessi di Joyland. La mia pensata successiva non fu delle più originali.
Lane mi sorrise. «Vuoi tentare di disarmarmi, vero? Te lo leggo negli occhi. Come diceva l’ispettore Callaghan in quel film, devi fare a te stesso una domanda: mi sento fortunato?»
Stavamo scendendo. La cabina non oscillava più così tanto. No, non mi sentivo per niente fortunato.
«Quante ne hai ammazzate, Lane?»
«Non sono cazzi tuoi. E comunque, dovrei essere io a porre le domande, visto che ho la pistola in pugno. Da quando lo sai? Da parecchio o mi sbaglio? Almeno dal momento in cui quella puttanella ti ha mostrato le foto. Ma te lo sei tenuto per te, perché volevi portare il tuo amico storpio in gita al parco. Un bello sbaglio, Jonesy. Un classico errore da bifolco.»
«L’ho scoperto stanotte.»
«Bugiardo bugiardino, ti cresce il nasino!»
Superammo la rampa, pronti per un secondo giro. Probabilmente mi sparerà quando arriveremo in cima. Poi si ucciderà oppure mi butterà giù, scivolerà dalla mia parte e salterà sulla pedana quando il vagone si avvicinerà, cercando di non rompersi una gamba o l’osso del collo.Mi sembrava più probabile l’ipotesi dell’omicidio-suicidio, ma prima avrebbe voluto soddisfare la sua curiosità.
«Chiamami pure stupido, ma non bugiardo», affermai. «Ho guardato per ore le fotografie, mi rendevo conto che c’era un dettaglio familiare ma non riuscivo a capire che cosa fosse. Era il cappello. Negli scatti avevi un berretto da baseball, non una bombetta, ma era inclinato da un lato mentre tu e Linda eravate in coda per le Tazze Ballerine, e dall’altro quando le insegnavi a prendere la mira al tirassegno. Ho controllato il resto delle immagini, dove voi due siete sullo sfondo, e ho notato lo stesso particolare. Avanti e indietro, a destra a sinistra, lo fai sempre. Non ci pensi neanche.»
«Tutto qui? Un cazzo di cappello spostato di fianco?»
«No.»
Stavamo raggiungendo la cima per la seconda volta, ma pensai che avrei resistito almeno ancora un giro. Lui era tutt’orecchi. Poi cominciò a piovere, un acquazzone improvviso, quasi avessero aperto il rubinetto di una doccia. Se non altro mi laverà il sangue dalla faccia.Quando fissai Lane, mi resi conto che non stava portando via solo quello.
«Un giorno ti ho guardato senza berretto e ho pensato che i capelli ti stessero diventando bianchi.» Quasi urlavo per farmi sentire sopra l’ululato del vento e lo scrosciare dell’acqua. La pioggia arrivava di traverso, sferzandoci la faccia. «Ieri ti ho sorpreso a strofinarti la nuca. Credevo fosse sporco. Poi stanotte, dopo avere compreso la faccenda del cappello, ho iniziato a riflettere sul tatuaggio fasullo. Erin si era accorta che il sudore lo faceva sbiadire. Immagino che i poliziotti non abbiano prestato attenzione.»
Vedevo la mia Ford e il camioncino della manutenzione farsi sempre più grandi man mano che la carrozza si abbassava. Dietro di loro, qualcosa si muoveva lungo la Passeggiata di Joyland, forse un telone trascinato dal vento.
«Non ti stavi tirando via dello sporco, ma della tintura per capelli. Stava colando, proprio come il tatuaggio. E come sta capitando adesso. Ne hai il collo pieno. Quelle ciocche che ho osservato non erano bianche, ma bionde.»
Lane si passò una mano sulla nuca e fissò la macchia nera sopra il palmo. Fui sul punto di balzargli addosso, ma lui sollevò la pistola e all’improvviso mi ritrovai davanti il foro della canna. Era piccolo ma terribile.
« Una voltaero biondo», rispose, «ma sotto la tintura adesso sono quasi completamente grigio. Ho avuto una vita molto stressante, Jonesy.» Sorrise con un’espressione mesta, quasi avesse fatto una battuta che solo noi due eravamo in grado di comprendere.
Stavamo salendo di nuovo. All’improvviso mi venne in mente: forse la sagoma che avevo visto agitarsi lungo il viale principale, scambiandola per un grande telone, era una macchina con i fari spenti. Era un’idea folle, ma la speranza è sempre l’ultima a morire.
L’acquazzone si accaniva contro di noi. Il mio impermeabile si increspava sotto la forza del vento. I capelli di Lane si agitavano come una vecchia bandiera sfilacciata.
Forse sarei riuscito a non fargli premere il grilletto per un altro giro. O magari due? Possibile ma non probabile.
«Alla fine mi sono convinto che eri l’assassino di Linda Gray. Non è stato facile, Lane, non dopo che mi avevi accolto da amico, insegnandomi i trucchi del mestiere. Però, non appena l’ho fatto, sono svaniti il cappello, il pizzo, gli occhiali da sole. E ho visto te.All’epoca non lavoravi qui…»
«Manovravo un muletto in un magazzino di Florence.» Gli scappò una smorfia. «Un mestiere da bifolchi. Lo odiavo.»
«Avevi un impiego a Florence, lì hai incontrato Linda Gray, ma sapevi tutto del parco di Joyland nella Carolina del Nord. O mi sbaglio? Forse non ci sei nato, ma non sei mai riuscito a stare lontano dai luna park. E quando le hai proposto una gita, lei ha accettato subito.»
«Ero il suo fidanzato segreto. Le ho detto che non poteva essere altrimenti. Perché avevo qualche anno in più.» Sorrise. «Lei c’è cascata, come le altre. Non hai idea di quanto siano credulone le ragazzine.»
Brutto psicopatico di merda.
«Siete arrivati a Heaven’s Bay, avete passato la notte in un motel, e poi l’hai uccisa a Joyland anche se sapevi delle Sirene di Hollyood che ronzavano attorno con le loro macchine fotografiche. Che coraggio sfacciato. Ma faceva parte del divertimento, no? D’altronde, l’hai ammazzata su una giostra zeppa di frollocconi…»
«Di bifolchi», mi corresse. La ruota venne scossa da una raffica più violenta delle precedenti, ma lui non parve sentirla. Certo, era seduto verso l’interno, parzialmente al riparo. «Chiamali con il loro nome. Sono solo bifolchi, tutti quanti. Non vedono niente. È come se avessero gli occhi collegati non al cervello, ma al buco del culo. Se ne stanno lì con lo sguardo perso nel vuoto.»
«Il rischio ti eccita, vero? Per questo sei tornato e ti sei fatto assumere.»
«Nemmeno un mese dopo.» Il sorriso si allargò. «E sono rimasto qui sotto il loro naso per tutto questo tempo. Però mi sono… comportato bene, dopo quella sera nel tunnel dell’orrore. Mi sono lasciato alle spalle le mie malefatte. Forse avrei continuato a rigare dritto. Mi piace Joyland. Mi stavo facendo una nuova vita. Mi ero costruito il mio giocattolino e stavo per brevettarlo.»
«Oh, secondo me prima o poi ci saresti ricascato.» Ancora una volta in cima, con il vento e la pioggia a sferzarci. Ero scosso dai brividi. Avevo i vestiti fradici. Le guance di Lane erano scure di tintura per capelli. Il colore gli scorreva in rivoli lungo la pelle.
La sua mente è così, nera. Nel profondo, dove non sorride mai.
«No. Mi era passata. Devo sbarazzarmi di te, Jonesy, ma solo perché hai ficcato il becco in faccende che non ti riguardano. Peccato, mi piacevi. Non sto scherzando.»
Probabilmente diceva la verità. Il che rendeva ancora più terribile ciò che stava succedendo.
Di nuovo in basso. Il mondo sotto di noi era tormentato dal vento e dalla pioggia. Non c’era mai stata un’auto con i fari spenti, solo un telone in preda alle forti raffiche. La smania di salvezza gioca brutti tiri. Non stavano arrivando i rinforzi. Una simile convinzione avrebbe portato alla mia fine prematura. Ero obbligato a cavarmela senza l’aiuto di nessuno, e per riuscirci avrei dovuto farlo arrabbiare. Arrabbiare sul serio.
«Il rischio ti eccita, ma non la violenza sessuale. In caso contrario, le avresti trascinate in un posticino appartato. Forse quella roba che le tue fidanzate segrete nascondono tra le gambe ti spaventa fino a fartelo ammosciare. Che combini dopo averle uccise? Ti stendi a letto e ti spari una sega pensando quanto sei stato coraggioso ad ammazzare delle povere ragazze indifese?»
«Chiudi il becco.»
«Puoi conquistarle ma non scoparle.» Il vento ululava. La carrozza rischiava di ribaltarsi. Stavo per morire e non me ne fregava un cazzo. Non sapevo se lo stavo facendo arrabbiare, ma ero abbastanza furente per entrambi. «Come mai sei diventato così? Tua madre te lo pinzava con una molletta da bucato quando pisciavi a letto? Tuo zio Stan ti costringeva a succhiarglielo? Oppure…»
«Chiudi il becco!»Si alzò, mezzo rannicchiato, la sbarra di sicurezza stretta in una mano e l’arma puntata contro di me nell’altra. Venne illuminato a giorno da un lampo: occhi vitrei, capelli appiccicati ai lati del volto, la bocca in continuo movimento. E la pistola. «Chiudi quel cazzo di…»
«Devin, giù!»
Non me lo feci ripetere due volte. Sentii uno schiocco simile a un colpo di frusta, seguito da un suono liquido nel mezzo della bufera notturna. Il proiettile passò a un pelo da me ma non me ne accorsi nemmeno, come invece capita ai personaggi dei romanzi. La cabina superò rapida il punto di carico passeggeri e vidi Annie Ross dritta sulla rampa con un fucile tra le braccia. Il furgone le era alle spalle. Aveva i capelli arruffati dal vento e la faccia più bianca di un teschio.
Un nuovo giro. Spostai lo sguardo su Lane. Era immobile, la bocca spalancata. La tintura gli colava giù dalle guance. Gli occhi erano rovesciati e le iridi scomparivano nell’orbita. Gli mancava buona parte del naso. Un lembo di cartilagine penzolava sopra il labbro superiore, ma il resto era un buco nero grande quanto una monetina, circondato da una poltiglia rossa.
Crollò pesantemente sul sedile. Una manciata di denti anteriori gli cascò di bocca. Gli sfilai la pistola di mano, scagliandola nell’oscurità. Non provavo… nulla. Solo nel profondo di me stavo inziando a capire che forse quella notte non sarei morto.
«Oh», mormorò lui. Poi: «Ah». Alla fine chinò il capo in avanti, il mento premuto conto il petto. Pareva immerso in meditazione, mentre valutava le possibilità che gli restavano.
Sulla cima, un altro fulmine illuminò il mio vicino di posto con un bagliore bluastro. Il vento scosse la Ruota del Sud che si lamentò in segno di protesta. Stavamo di nuovo scendendo.
Dabbasso, un urlo che quasi si perse nel boato della tempesta: « Come la fermo, Dev?»
Sulle prime mi venne in mente di dirle di recuperare il comando a distanza, ma in mezzo al temporale avrebbe potuto cercarlo per ore senza scovarlo. Magari era rotto in due o a mollo in una pozzanghera, i circuiti interni danneggiati dall’acqua. E comunque esisteva un sistema migliore.
«Raggiungi il motore!»gridai. « Trova il bottone rosso!
Il bottone rosso, Annie! È quello del freno d'emergenza!»
La superai in volata, notando che aveva gli stessi jeans e lo stesso maglione di poche ore prima, ormai zuppi e incollati al corpo. Niente giubbotto, niente cappello. Era arrivata di fretta e sapevo chi l’aveva mandata. Sarebbe stato tutto molto più semplice se Mike avesse avuto presentimenti su Lane fin dall’inizio. Però nemmeno Rozzie c’era riuscita, pur conoscendolo da anni, e più tardi venni a scoprire che Mike non aveva sospettato di lui una sola volta.
Stavo salendo per l’ennesima volta. Gocce nero inchiostro scendevano dai capelli di Lane, raccogliendosi nel suo grembo. « Aspetta finché non sono tornato giù!»
«Che cosa?»
Non cercai di ripeterlo: le mie parole si sarebbero perse nel vento. Mi augurai che non premesse a fondo il bottone rosso mentre mi trovavo ancora in cima. La carrozza sfidava l’occhio della tempesta e il cielo venne attraversato da un terzo fulmine, per l’occasione accompagnato dal rombo del tuono. Come svegliato dal fragore, Lane sollevò il capo e mi fissò. O almeno ci provava. Le iridi erano ritornate al centro delle orbite, ma puntavano in direzioni opposte. Un’immagine tremenda che non mi ha mai lasciato e che torna a ghermirmi nei momenti più impensati: quando supero un casello autostradale, bevo la prima tazza di caffè mentre la CNN sbraita le cattive notizie della giornata oppure mi alzo a pisciare alle tre del mattino, che qualche poeta ha giustamente soprannominato l’ora del lupo.
Lane aprì la bocca e ne sgorgò un fiotto di sangue. Dalle labbra gli uscì un rumore frusciante, da insetto, simile a quello di una cicala che si fa il buco nel tronco di un albero. Venne scosso da uno spasmo. Per un attimo i suoi piedi ballarono il tip-tap sul pavimento di acciaio della cabina. Poi si bloccarono, e la testa gli cadde di nuovo in avanti.
Adesso muori, una volta per tutte. Per favore.
Mentre la Ruota del Sud ritornava al punto di partenza, un lampo centrò il Muro del Tuono. Per un paio di secondi le rotaie si illuminarono. Avrei potuto fare quella fine, schiattando fulminato.Una raffica violentissima colpì la carrozza. Mi aggrappai alla sbarra di sicurezza con tutte le mie energie. Lane ballonzolò come una grande bambola di pezza.
Abbassai lo sguardo su Annie: la faccia pallida rivolta all’insù, gli occhi socchiusi per ripararli dalla pioggia. Era al di là della balaustra, accanto al motore. Ottimo. Mi circondai la bocca con le mani. «Il bottone rosso!»
«Ce l’ho davanti!»
«Non schiacciarlo finché non te lo dico io!»
La terra si stava avvicinando. Strinsi la sbarra. Quando era ai comandi il fu Lane Hardy (di certo mi auguravo fosse crepato), la ruota panoramica si fermava sempre senza scossoni, con le carrozze più alte che dondolavano dolcemente. Non avevo idea di che cosa aspettarmi da una frenata d’emergenza, ma presto l’avrei scoperto.
«Ora, Annie! Premilo!»
Fortunatamente mi tenni saldo. La mia cabina si bloccò di colpo a tre metri da dove scendevano i passeggeri e a un metro e mezzo dal suolo, inclinandosi bruscamente. Lane venne scagliato in avanti, con la testa e il torace oltre la sbarra di sicurezza. D’istinto, lo afferrai per la camicia e lo tirai verso di me. Mi ritrovai con una delle sue mani in grembo e la spostai con una smorfia di disgusto.
La sbarra era incastrata e ci sgusciai sotto.
«Stai attento, Dev!» Annie era lì accanto, le braccia tese verso l’alto, come ad acchiapparmi al volo. Aveva appoggiato il fucile usato per ammazzare Lane contro l’alloggiamento del motore.
«Tirati indietro», le gridai, sollevando una gamba oltre il bordo della cabina. Altri lampi illuminarono il cielo. Il vento ruggiva e la Ruota del Sud gli rispondeva con la sua aspra voce metallica. Mi appesi a una trave.
Le mani scivolarono sull’acciaio bagnato e piombai a terra, cadendo sulle ginocchia. Nel giro di un secondo Annie mi aiutò ad alzarmi.
«Stai bene?»
«Sì.»
Non era vero. Mi girava la testa e stavo per perdere i sensi. Chinai il capo, mi afferrai le gambe appena sopra le ginocchia e iniziai a fare grandi respiri. Per un attimo mi sentii ancora sul punto di svenire ma poi la situazione iniziò a migliorare. Mi drizzai, attento a non muovermi troppo velocemente.
Era difficile dirlo con la pioggia che scendeva a catinelle, ma il volto di Annie mi sembrò rigato di lacrime. «Ho dovuto sparargli. Stava per ucciderti. Per favore, Dev, rispondimi che è davvero così. Mike ne era sicuro…»
«Non preoccuparti. E comunque non sarei stato la sua prima vittima. Aveva già ucciso quattro donne.» Mi tornarono in mente i ragionamenti di Erin sugli anni in cui non era stato scoperto nessun cadavere. «Forse di più. Moltoprobabilmente di più. Chiamiamo la polizia. C’è un telefono nel…»
Feci per incamminarmi verso il Labirinto di Mysterio, ma lei mi afferrò per il braccio. «No. Non puoi. Non ancora.»
«Annie…»
Avvicinò la faccia alla mia, come per schioccarmi un bacio, anche se di sicuro una simile idea non le passò neanche per l’anticamera del cervello. «Come ho fatto ad arrivare qui? Dovrei spiegare agli agenti che un fantasma è apparso nella stanza di mio figlio in piena notte raccontandogli che, se non fossi venuta subito, saresti morto sulla ruota panoramica? Mike non può restare coinvolto in questa faccenda, e se mi rispondi che mi sto comportando da madre iperprotettiva, io ti… ti ammazzo con le mie stesse mani.»
«No, non te lo dirò.»
«E allora come ne usciamo?»
All’inizio non ne avevo idea. Vi prego di ricordare che ero ancora spaventato. Anzi, di più. Parecchio di più. Ero in stato di shock. Invece che al labirinto, la portai al suo furgoncino, aiutandola a sistemarsi al posto di guida. Poi feci il giro e mi sistemai sul sedile del passeggero. Di colpo mi si presentò una soluzione. Era semplice e secondo me avrebbe funzionato. Chiusi la portiera e sfilai il portafoglio dalla tasca posteriore dei calzoni. Quasi mi cadde a terra quando lo aprii: le mani mi tremavano da impazzire. All’interno, parecchi fogli e foglietti, ma niente con cui scriverci sopra.
«Ti prego, Annie, dimmi che hai una penna o una matita.»
«Forse nel cassetto del cruscotto. Prima o poi sarai obbligato ad avvisare la polizia, Dev. Io devo tornare da Mike. Se mi arrestano per avere lasciato la scena del crimine… o per omicidio…»
«Nessuno ti arresterà. Mi hai salvato la vita.» Mentre parlavo, ero occupato a frugare nello scomparto.
C’erano il libretto d’istruzioni della macchina, mucchi di ricevute della carta di credito per la benzina, un pacchetto di mentine, un sacchetto di M&M’s, persino un opuscolo dei testimoni di Geova che chiedeva se sapevo dove sarei finito dopo la morte, ma niente penne o matite.
«Non puoi aspettare… in una situazione simile… me l’hanno sempre raccomandato.» Le parole le uscivano a spizzichi e bocconi perché le stavano battendo i denti. «Prendi la mira… e premi il grilletto… prima di venire… assalito dal dubbio… Avrei dovuto centrarlo… in mezzo agli occhi… ma il vento… colpa del vento…»
Annie allungò di scatto una mano, stringendomi il braccio fino a farmi male. Gli occhi le luccicavano enormi dentro le orbite.
«Ho ferito anche te, Dev? Hai un taglio sulla fronte e la camicia sporca di sangue!»
«No. È stato lui a colpirmi con la pistola. Ascolta, qui non c’è niente per…»
Alla fine la vidi: una penna a sfera in fondo al cassetto. Sopra c’era stampata la pubblicità di una catena di supermercati, sbiadita ma ancora leggibile: BENVENUTI DA KROGER! Quell’oggetto non solo salvò i Ross da eventuali strascichi giudiziari, ma risparmiò loro una sfilza di domande sul motivo che aveva portato Annie a Joyland in una notte buia e tempestosa.
Le passai la penna e un biglietto da visita preso dal mio portafoglio, dal lato bianco. Poco prima, seduto nella mia Ford e temendo che lei e il figlio sarebbero morti perché avevo sempre rimandato l’acquisto di una batteria nuova, avevo pensato di tornare sui miei passi per avvertirla… solo che non avevo il suo numero di telefono. In quel preciso istante le ordinai di scriverlo. «E sotto, aggiungi: Chiamami per qualsiasi variazione di programma.»
Nel mentre, avviai il motore, sparando al massimo il riscaldamento. Annie mi restituì il biglietto. Lo ficcai di nuovo nel portafoglio, che infilai in tasca, e gettai la penna nello scomparto del cruscotto. Abbracciai Annie e la baciai sulla guancia, fredda come il marmo. I brividi che la scuotevano si placarono leggermente.
«Mi hai salvato la vita», dichiarai. «Adesso assicuriamoci che non capiti niente a te o a Mike per quello che hai fatto. Ascoltami molto attentamente.»
Mi obbedì.
♥
Una settimana dopo, il bel tempo ritornò a Heaven’s Bay per un ultimo saluto. Ideale per un pranzo alla fine della passerella della dimora vittoriana; peccato che fosse impraticabile. Cronisti e fotografi l’avevano cinta d’assedio, dato che la spiaggia non era proprietà privata, a differenza dell’ettaro di terreno che circondava la villa. La storia di come Annie avesse ucciso con un colpo solo Lane Hardy (ormai soprannominato per l’eternità il Killer Del Parco) aveva fatto il giro della nazione.
Non che i titoli dei giornali fossero tremendi. Tutto il contrario. Lo Star-News di Wilmington spianò la strada con LA FIGLIA DEL PASTORE BUDDY ROSS AMMAZZA IL KILLER DEL PARCO. Il New York Postfu più succinto: UNA MAMMA EROICA! Con tanto di foto d’archivio che ritraevano una giovanissima Annie non solo bella, ma addirittura rovente. Inside View,ai tempi il tabloid scandalistico più diffuso, uscì addirittura con un’edizione speciale. Avevano scovato un’immagine di Annie appena diciassettenne, scattata a Camp Perry dopo un torneo di tiro. In jeans aderenti, maglietta dell’NRA e stivaloni da cowboy, se ne stava fiera con una doppietta Purdey piegata sul braccio e un nastro azzurro stretto in mano. Di fianco a lei che sorrideva raggiante, una foto segnaletica di Lane Hardy a ventun anni, dopo essere stato arrestato a San Diego per esibizionismo sotto il suo vero nome, Leonard Hopgood.
Il contrasto tra le due immagini era stupefacente. Titolo: LA BELLA E LA BESTIA.
Essendo anch’io una figura eroica, ma di secondo piano, venni citato nelle pubblicazioni della Carolina del Nord, ma in quasi nessun giornale diffuso nei supermercati. Forse non ero abbastanza attraente.
A sentire Mike, avere una mamma eroica era una vera figata. Annie detestò quell’inutile clamore, aspettando che la stampa si dedicasse alla nuova notizia del giorno. Aveva già avuto montagne di pubblicità gratuita quando era salita agli onori della cronaca quale giovane figlia ribelle di un famoso predicatore, nota per ballare sui banconi di parecchi locali malfamati del Village. Si rifiutò di concedere interviste e organizzammo il nostro picnic d’addio nella cucina della villa. Eravamo in cinque, con Milo sotto il tavolo a mendicare avanzi e Gesù appoggiato alla sedia per gli ospiti. Poco importava che fosse solo un’immagine sul davanti dell’aquilone di Mike.
I bagagli erano nell’entrata. Finito di mangiare, li avrei accompagnati in auto all’aeroporto di Wilmington. Un jet privato gentilmente offerto dalla società Buddy Ross Inc. li avrebbe portati a Chicago e lontano da me. Le autorità di Heaven’s Bay avevano sicuramente altre domande in serbo per Annie, per non parlare della polizia di Stato della Carolina del Nord e forse addirittura dell’FBI, e probabilmente avrebbe dovuto testimoniare davanti a un gran giurì, ma se la sarebbe cavata alla grande. Era la mamma eroica, e grazie alla penna pubblicitaria della catena Kroger scovata in fondo al cassetto del furgone, sul Postnon sarebbe mai comparsa una foto di Mike sotto il titolo: UN MEDIUM EROICO!
La nostra storia era semplice ed eravamo riusciti a lasciare fuori il ragazzino. In poche parole, mi ero interessato all’omicidio di Linda Gray perché si favoleggiava che il suo fantasma infestasse il tunnel dell’orrore di Joyland. Mi ero servito dell’aiuto di Erin Cook, un’amica con il pallino delle ricerche in biblioteca e mia collega di lavoro durante l’estate. Le fotografie di Linda Gray e del suo assassino mi avevano fatto venire in mente qualcuno, ma solo dopo la gita di Mike al parco ero stato colpito da un’illuminazione. Prima che contattassi la polizia, Lane Hardy mi aveva telefonato, minacciando di uccidere i Ross se non mi fossi precipitato a Joyland. Era grosso modo la verità, al di là di una piccola, innocua bugia. Raccontai di avere conservato il numero di Annie, per poterla avvertire se fosse cambiata la data della visita di Mike. Mostrai il biglietto da visita al detective incaricato del caso, che lo degnò appena di uno sguardo. Aggiunsi di avere chiamato Annie dalla casa della signora Shoplaw prima di partire per Joyland, raccomandandomi che sprangasse tutte le porte, avvisasse i poliziotti e non si muovesse dalla villa. Lei aveva seguito solo il primo consiglio, temendo che Hardy mi avrebbe ammazzato all’istante se avesse visto i lampeggianti blu delle forze dell’ordine. Così, aveva tirato fuori dalla cassaforte uno dei fucili, seguendo Lane con i fari spenti e sperando di coglierlo di sorpresa, come in effetti era avvenuto. Proprio una mamma eroica, niente da dire.
«Come l’ha presa tuo padre?» mi domandò Annie.
«Mi ha giurato che è disposto a venire da te a Chicago per lavarti a vita tutte le auto.» Lei scoppiò a ridere, ma papà l’aveva affermato sul serio. «È a posto. Il prossimo mese tornerò nel New Hampshire. Passeremo insieme il giorno del Ringraziamento. Fred mi ha pregato di non tagliare la corda prima di allora, per aiutarlo a sistemare il parco in vista dell’inverno, e ho accettato. Mi servono i soldi.»
«Per l’università?»
«Sì. Credo che mi ripresenterò per il semestre di primavera. Mio padre mi sta inviando un modulo di reiscrizione.»
«Bene. Quello è il tuo posto, non qui a ridipingere le giostre e cambiare le lampadine di un parco giochi.»
«È vero che ci verrai a trovare a Chicago?» chiese Mike. «Prima che cominci a sentirmi troppo male?»
Annie sembrò a disagio, ma non aprì bocca.
«Certo», risposi, indicando l’aquilone. «Altrimenti come farei a restituirtelo? Mi hai detto che è solo un prestito.»
«Magari conoscerai mio nonno. A parte la fissa per Gesù, è un tipo tosto.» Lanciò alla madre un’occhiata in tralice. «O almeno io penso che lo sia. In cantina tiene un fantastico plastico ferroviario.»
«Temo che non gli farebbe piacere vedermi, Mike. A momenti ficcavo tua mamma in un mare di guai.»
«Capirà che non è stata colpa tua. Non hai scelto tu di lavorare con quel tizio.» Il ragazzino aggrottò la fronte. Posò il tramezzino, prese un tovagliolo e ci tossì dentro. «Il signor Hardy sembrava una persona tanto gentile. Ci ha portato sulle giostre.»