Текст книги "Joyland"
Автор книги: Stephen Edwin King
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Ужасы
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«Prima di andartene, ti andrebbe di sfoggiare la tua abilità di tiro?» domandò Fred. «Oggi non ci sono perdenti, solo vin-ci-to-ri.»
Mike si girò verso Annie. «Posso, mamma?»
«Certo, tesoro. Ma non metterci troppo, d’accordo?»
Il ragazzino provò ad alzarsi, ma non ci riuscì. Era distrutto. Lane e io lo sollevammo per le braccia, uno per parte. Mike afferrò un fucile e sparò un paio di colpi, ma gli era difficile reggere l’arma, per quanto fosse leggera. I pallini tondi di acciaio raggiunsero il fondo di tela, scivolando con un tintinnio nella canaletta in basso.
«Troppo scarso», commentò, abbassando lo schioppo.
«Be’, non hai fatto faville», ammise Fred. «Però, come promesso, oggi ci sono solo vincitori», soggiunse, consegnando a Mike l’Howie più grande dello scaffale, uno dei peluche che neanche i tiratori più esperti sarebbero riusciti a guadagnarsi senza spendere otto o nove dollari in ricariche.
Il ragazzino lo ringraziò, tornando a sedersi con l’aria esausta. Quel cavolo di pupazzo era alto quasi quanto lui. «Provaci tu, mamma.»
«No, va bene così», rispose la donna, ma sapevo che ne era tentata. L’avevo capito dal suo sguardo, da come calcolava la distanza tra il bancone e i bersagli.
«Dai, per favore.» Mike mi fissò, per poi passare a Lane. «E bravissima. Prima che nascessi, ha vinto il torneo di tiro di Camp Perry, posizione prona, ed è anche arrivata seconda un paio di volte. Camp Perry è in Ohio.»
«Io non credo che…»
Lane le stava già porgendo uno dei calibro ventidue ad aria compressa. «Avanti. Vediamo se riesce a cavarsela meglio della sua omonima: Annie Oakley, l’amica di Buffalo Bill.»
Lei afferrò l’arma, esaminandola come pochi frollocconi sarebbero stati capaci di fare. «Quanti colpi?»
«Dieci per caricatore.»
«Nel caso, posso fare due giri?»
«Quanti ne desidera. Oggi è il suo giorno fortunato.»
«Mamma si allenava anche al tiro al piattello con il nonno», li informò Mike.
Annie alzò il fucile, sparando dieci colpi intervallati da una pausa di due secondi al massimo. Centrò due papere e tre conigli, evitando accuratamente i microscopici pulcini di ceramica.
«Una vera campionessa!» la adulò Fred. «Scelga un premio qualsiasi del ripiano di mezzo!»
La donna sorrise. «Cinque su dieci è un pessimo risultato. Mio padre si sarebbe coperto la faccia dalla vergogna. Vorrei ricaricare, se possibile.»
Fred tirò fuori da sotto il bancone un cono di carta (un richiamino, nella Parlata), infilandone la punta nella bocca del finto schioppo. Con un sonoro tintinnio, altri dieci pallini scivolarono dentro la canna.
«Le tacche di mira sono state alterate?» gli domandò Annie.
«No. A Joyland non esistono giochi taroccati. Ma le mentirei se le assicurassi che Pop Allen, il responsabile di questo sparaspara, ha passato un’eternità a verificarne la precisione.»
Avendo lavorato nella squadra di Pop, sapevo che la risposta nascondeva una certa malafede. Il vecchio Allen non avrebbe sprecato nemmeno un secondoa controllare le tacche. Se i bifolchi si fossero rivelati dei tiratori provetti, lui sarebbe stato costretto a sganciare più premi… che pagava di tasca propria, al pari degli altri gestori dei baracconi. Era merce di scarso valore, ma non gratuita.
«Spara alto e a sinistra», disse la donna tra sé e sé. Poi alzò il fucile, lo appoggiò all’incavo della spalla destra e tirò il grilletto dieci volte di fila. Esaurì subito i colpi, senza pause a intervallarli, non badando a papere e coniglietti. Si dedicò ai pulcini di ceramica, mandandone otto in frantumi.
Quando Annie riappoggiò lo schioppo sul bancone, Lane usò un fazzoletto per strofinarsi via dalla nuca una crosta di sudiciume. «Gesù Cristo santissimo. Nessuno aveva mai beccato otto pio-pio», commentò a voce bassa.
«Ho preso l’ultimo di striscio e comunque a questa distanza avrei dovuto abbatterli tutti.» Non si stava vantando, ma comunicava un semplice dato di fatto.
«Ve l’avevo detto che era brava», affermò Mike quasi scusandosi. Strinse la mano a pugno e ci tossì dentro. «Voleva partecipare alle olimpiadi, ma poi è stata costretta a lasciare il college e ha avuto altri pensieri per la testa.»
«Lei è davveroAnnie Oakley», continuò Lane, riponendo il fazzoletto in una delle tasche posteriori. «Un premio a sua scelta. Uno qualsiasi.»
«Ho già più di quanto possa desiderare. Che giornata stupenda. Non vi sarò mai abbastanza riconoscente.» Si girò verso di me. «E devo ringraziare soprattutto lui.Che ha sudato sette camicie per convincermi a venire. Perché sono un’idiota.» Baciò il figlio in cima alla testa. «Ma adesso è meglio che riporti a casa il mio piccolo. Dove si è cacciato Milo?»
Ci guardammo attorno: era a metà della Passeggiata, accucciato davanti al Castello del Brivido con la coda tra le zampe.
«Qui, bello!» lo chiamò Annie.
Il cane drizzò le orecchie ma non le obbedì. Non si voltò neanche nella sua direzione, continuando a fissare la facciata dell’unica attrazione al buio del parco. Per un attimo credetti che stesse leggendo l’invito sbrodolante, adorno di ragnatele: ENTRATE SE NE AVETE IL CORAGGIO.
Mentre Annie era occupata a osservare Milo, guardai Mike con la coda dell’occhio. All’eccitazione era subentrata una profonda stanchezza, ma la sua espressione era inconfondibile. Era compiacimento. So che è folle pensare che lui e il suo Jack Russell si fossero preparati con largo anticipo, eppure non riuscii a non farlo.
Ne sono ancora convinto dopo tutto il tempo che è passato.
«Spingimi fin laggiù, mamma. A me darà retta.»
«Non ce n’è bisogno», intervenne Lane. «Se avete un guinzaglio, sarò felice di occuparmene io.»
«È nella tasca posteriore della sedia a rotelle», gli rispose la donna.
«Uh, forse no», ribatté il ragazzino. «Date un’occhiata, ma ho paura di averlo dimenticato da qualche parte.»
La madre controllò, mentre io pensai: Dimenticato un par di balle.
«Oh, Mike», lo sgridò Annie. «È il tuocane e sei tua esserne responsabile. Quante volte te l’ho ripetuto?»
«Scusami.» Poi, a Fred e a Lane: «Non usiamo quasi mai il guinzaglio. Milo arriva sempre».
«Tranne quando dobbiamo andarcene.» La donna portò alla bocca le mani a coppa. «Forza, bello! Si torna a casa!» Poi, con un tono più suadente: «Il biscotto! Vieni a prendere il biscotto!»
Con quella voce mi avrebbe fatto scattare di corsa, probabilmente con la lingua a penzoloni, ma Milo restò immobile.
«Forza, Dev», mi spronò Mike, come se avessi un ruolo nella messinscena e mi fossi incantato. Afferrai la sedia a rotelle per le maniglie e la spinsi giù verso il tunnel dell’orrore. Annie mi seguì a ruota. Lane rimase dov’era insieme con Fred, appoggiato al bancone tra i fucili legati alle catenelle.
Quando raggiungemmo il cane, la donna lo incenerì con lo sguardo. «Che c’è, Milo?»
Il Jack Russell scodinzolò non appena sentì la voce di Annie, ma non girò la testa e non si spostò di un millimetro. Stava facendo la guardia e non voleva saperne di muoversi, a costo di essere trascinato via di peso.
«Per favore, Mike, di’ al tuo cane di alzare le chiappe in modo che possiamo tornarcene a casa. Hai bisogno di ripo…»
Prima che finisse la frase, capitarono due cose, anche se non sono certo dell’ordine esatto. Ci sono ritornato sopra con il passare degli anni, specialmente nel corso di lunghe notti insonni, ma ancora non ne sono sicuro. Credoche prima sia arrivato il frastuono del vagoncino lungo la monorotaia. Però potrebbe anche essersi trattato del tonfo del lucchetto cascato improvvisamente a terra. È persino probabile che sia accaduto tutto insieme.
L’enorme lucchetto si staccò dalla doppia porta sotto la facciata del Castello, atterrando sull’assito e luccicando ai raggi del sole di ottobre. Fred Dean dichiarò più tardi che probabilmente l’anello non era stato spinto bene dentro il meccanismo di chiusura e che le vibrazioni della vettura in corsa l’avevano fatto scattare. Una spiegazione assolutamente sensata: in effetti l’anello era aperto quando lo ispezionai.
Però erano tutte stronzate.
Ero stato io stesso a fissarlo e ricordo ancora il suono metallico di quando si era chiuso. Gli avevo persino dato un paio di strattoni per accertarmene, come è sempre bene fare. Comunque, ecco una domanda a cui Fred non tentò nemmeno di rispondere: con gli interruttori dell’energia elettrica disattivati, come diavolo fece il vagoncino a muoversi? Poi, riguardo a ciò che capitò dopo…
Una corsa attraverso il tunnel dell’orrore finiva così: in fondo alla Sala delle Torture, proprio quando immaginavi che il peggio fosse passato e abbassavi la guardia, uno scheletro sghignazzante (soprannominato dai pivelli Hagar l’Orribile) volava dritto verso di te, apparentemente destinato a schiantarsi contro la tua vettura. Quando invece ti schivava per un soffio, ti si parava davanti un muro di pietra. Sopra, in verde fluorescente, spiccava l’immagine di uno zombi putrefatto e di una lapide con la scritta FINE DELLA CORSA.Naturalmente il finto muro si spalancava appena in tempo per lasciarti passare, ma quella doppietta in rapida successione era estremamente efficace. Quando il vagoncino riemergeva per un attimo alla luce del sole, disegnando una rapida parabola all’esterno prima di rientrare attraverso un’altra doppia porta e fermarsi, persino gli adulti strillavano come pazzi. Quelle ultime urla, immancabilmente accompagnate da risate di vergogna e di sollievo, costituivano la migliore pubblicità per l’attrazione.
Quel giorno invece regnava il silenzio. Anche perché la carrozza uscì dal tunnel completamente vuota. Fece il suo mezzo giro sul percorso sopraelevato, urtò debolmente contro l’altra doppia porta, e si bloccò.
«Bene così», mormorò Mike in un sussurro talmente debole che lo sentii a malapena. Annie non se ne accorse, la sua attenzione concentrata sul vagoncino. Il figlio stava sorridendo.
«Com’è possibile?» chiese la donna.
«Non ne ho idea», replicai. «Colpa di un cortocircuito, forse. O di uno sbalzo di tensione.» Ottime spiegazioni, per chi non sapesse che gli interruttori erano abbassati.
Mi alzai sulla punta dei piedi, sbirciando dentro la vettura. Notai subito che la sbarra era sollevata. Anche quando Eddie Parks o uno dei novellini che l’aiutavano si dimenticavano di abbassarla, la sbarra scattava in posizione non appena iniziava un nuovo giro. Era una misura di sicurezza a norma di legge. In fondo quella stranezza aveva una sua bizzarra giustificazione: Fred e Lane avevano azionato la corrente elettrica solo per le attrazioni riservate a Mike.
Vidi qualcosa sotto il sedile a mezzaluna, qualcosa che era vero e reale quanto le rose che Fred aveva regalato ad Annie. Però non era rosso.
Era un cerchietto per capelli azzurro.
♥
Tornammo al furgone. Milo, di nuovo irreprensibile, zampettava a fianco della sedia a rotelle.
«Mi farò rivedere non appena li avrò lasciati a casa, per qualche ora di straordinario», dissi a Fred.
Lui scosse il capo. «Dieci-sette. Fine servizio. Va’ a letto presto e presentati domattina alle sei. Portati dietro un paio di tramezzini in più perché sgobberemo fino a tardi. A quanto pare, la tempesta si sta avvicinando più velocemente di quanto prevedessero gli annunciatori meteo.»
Annie sembrò agitarsi. «Crede che dovrei fare i bagagli e trasferirmi con Mike in città? È molto stanco, ma…»
«Stasera ascolti la radio», le consigliò Fred. «Se dovessero diramare un ordine di evacuazione delle coste, sarà comunque in tempo. Ma non penso che si arriverà a tanto. Probabilmente sarà solo una bufera di vento, punto e basta. Sono un po’ preoccupato per le attrazioni più alte: il Muro del Tuono, il Delirio Cosmico e la Ruota del Sud.»
«Se la caveranno», intervenne Lane. «L’anno scorso hanno resistito ad Agnes, che era un uragano coi fiocchi.»
«Hanno già battezzato questa tempesta?» domandò il ragazzino.
«L’hanno soprannominata Gilda», rispose Lane. «Ma sarà la solita depressione subtropicale.»
«Il vento si farà più forte intorno a mezzanotte», proseguì Fred. «L’acquazzone arriverà un paio d’ore dopo. Probabilmente Lane ha ragione, ma domani sarà comunque una giornata impegnativa. Hai un impermeabile, Dev?»
«Certo.»
«Ricordati di mettertelo.»
♥
Mentre ci allontanavamo dal parco, il bollettino meteo della stazione radio di Wilmington contribuì a calmare Annie. Il vento non avrebbe toccato i cinquanta chilometri orari, con raffiche sparse di maggiore intensità. Erano previste leggere erosioni del litorale, qualche allegamento di scarsa entità nell’entroterra, e poco altro. L’annunciatore disse che era «un tempo perfetto per fare volare gli aquiloni», un’affermazione che scatenò una risata generale, segno che ormai avevamo delle esperienze in comune. Una bella sensazione.
Quando arrivammo alla grande casa vittoriana su Beach Row, Mike si era quasi addormentato. Lo presi in braccio, sistemandolo sulla sedia a rotelle. Non fu una grande fatica; negli ultimi quattro mesi mi ero irrobustito e lui, senza quegli orribili tutori di metallo, non doveva pesare più di trenta chili. Con Milo che ci saltellava intorno, lo spinsi su per la rampa e dentro la villa.
Mike aveva bisogno di andare in bagno. La madre si apprestò ad accompagnarlo, ma lui chiese che ci pensassi io. Lo portai a destinazione, aiutandolo a mettersi in piedi e calandogli i pantaloni della tuta mentre si aggrappava alle barre di sostegno.
«Odio quando deve aiutarmi. Mi sento un poppante.»
Forse, ma pisciava col vigore dei coetanei. Poi, quando si piegò in avanti per azionare lo sciacquone, barcollò, rischiando di finire a testa in giù nella tazza. Fortunatamente lo agguantai al volo.
«Grazie, Dev. Oggi mi sono già lavato i capelli.» La battuta mi strappò una risata e lui sorrise. «Mi piacerebbe se arrivasse un uragano. Sarebbe una figata.»
«Se capitasse veramente, forse non la penseresti così.» Ancora mi ricordavo di Doria, sei anni prima. Aveva colpito il New Hampshire e il Maine con raffiche di vento fino a centocinquanta chilometri orari, abbattendo decine di alberi a Portsmouth, Kittery, Sanford e Berwick. Un grande, vecchio pino aveva mancato la nostra casa per un pelo, la cantina si era allagata e per quattro giorni eravamo rimasti senza energia elettrica.
«Di sicuro non voglio che succeda niente al parco. È il posto più fantastico che conosca al mondo.»
«Bene. Forza, lasciati tirare su i calzoni. Non sarebbe bello se mostrassi le chiappe a tua madre.»
Mike sghignazzò, ma presto cominciò a tossire. Quando uscimmo dal bagno, fu Annie a spingerlo lungo il corridoio fino alla stanza da letto. «Non provare a svignartela, Devin», gridò la donna voltandosi appena.
Con il pomeriggio libero, non avevo nessuna intenzione di filarmela, se lei desiderava che restassi ancora un po’. Vagabondai in salotto, osservando oggetti forse pregevoli ma di scarsissimo interesse, almeno per un ragazzo di ventun anni. Una gigantesca finestra panoramica, che occupava quasi l’intera parete, riscattava quella che sarebbe stata una stanza molto buia, inondandola di luce. La vetrata si affacciava sul portico, la passerella di legno e l’oceano. Le prime nuvole stavano addensandosi verso sudest, ma il cielo sopra di noi era ancora sereno. Ricordo di aver pensato che alla fin fine ero riuscito a entrare nella casa, ma forse non avrei mai avuto occasione di contarne i bagni. Mi ritornò in mente pure il cerchietto per capelli; chissà se Lane l’avrebbe notato mentre rimetteva a posto il vagoncino ribelle. Che altro? Be’, pensai che avevo finalmente visto un fantasma, anche se non quello di una persona.
Ritornò Annie. «Vuole parlarti, ma non trattenerti troppo.»
«D’accordo.»
«Terza porta a destra.»
Percorsi il corridoio, bussai piano ed entrai. A parte le sbarre di sostegno, le bombole di ossigeno in un angolo e i tutori di metallo ritti di fianco al letto, poteva essere la stanza di un ragazzino qualsiasi. Mancavano un guanto da baseball e uno skateboard appoggiato alla parete, ma c’erano i poster di Mark Spitz e di Larry Csonka, il giocatore dei Miami Dolphins. Al posto d’onore sopra il letto, l’immagine dei Beatles che attraversano Abbey Road.
Nella camera aleggiava un vago odore di olio canforato. Mike sembrava minuscolo, perso sotto una trapunta verde. Milo gli era acciambellato accanto, il naso a toccare la coda, e lui lo accarezzava distrattamente. Non sembrava neanche lo stesso ragazzino che aveva alzato le braccia sopra la testa in segno di trionfo in cima alla Ruota del Sud. Però non era triste. Aveva un’aria quasi radiosa.
«L’hai vista, Dev? L’hai vista quando se n’è andata?»
Scossi il capo con un sorriso. Potevo essere geloso di Tom, ma non di Mike. Mai e poi mai.
«Mi sarebbe piaciuto se il nonno fosse stato lì con noi. Lui avrebbe sentito che cosa ha detto prima di sparire.»
«Cioè?»
«Ci ha ringraziati. E ha aggiunto che devi stare attento. Sei sicuro di non averla sentita? Nemmeno un po’?»
Scossi di nuovo la testa. No, nemmeno un po’.
«Però lo sai.»Aveva il volto pallido e stanco e segnato dalla malattia, ma gli occhi erano vivi e sprizzavano energia. «Lo sai,non è vero?»
«Sì.» Pensai al cerchietto per capelli. «Mike, hai idea di che cosa le sia successo?»
«Be’, è stata uccisa.» In un sussurro.
«D’accordo, ma non ti ha detto chi…»
Prima che potessi finire, scosse il capo.
«Ora hai bisogno di dormire», continuai.
«Sì, mi sento sempre alla grande dopo un sonnellino.»
Chiuse gli occhi, per poi riaprirli lentamente. «La ruota è stata il meglio. Il montacarichi. È come volare.»
«Sì», risposi. «Proprio così.»
Riabbassò le palpebre, senza rialzarle. Raggiunsi la porta il più silenziosamente possibile. Non appena strinsi la maniglia, lui mormorò: «Sta’ attento, Dev. Non è bianco».
Mi voltai. Stava dormendo. Ne ero certo. Solo Milo mi fissava. Me ne andai, chiudendomi delicatamente la porta alle spalle.
♥
Annie era in cucina. «Sto preparando il caffè, ma forse preferisci una birra? Una Blue Ribbon?»
«Il caffè va benissimo.»
«Come ti sembra la casa?»
Decisi di confessarle la verità. «L’arredo è un po’ vecchiotto per i miei gusti, ma non sono mai andato a scuola d’arredamento.»
«Neanch’io. Non ho neppure finito l’università.»
«Benvenuta nel club.»
«Ah, ma tu ci riuscirai. Dimenticherai la ragazza che ti ha scaricato, tornerai al college e arriverai alla laurea, destinato a un brillante futuro.»
«Come fai a sapere…»
«Della tua ex? Primo, è così evidente che potresti girare con un cartellino appiccicato in fronte. Secondo, Mike ne è a conoscenza. Me l’ha detto. È lui il miobrillante futuro. Tanto, tanto tempo fa ero certa che mi sarei specializzata in antropologia. Che avrei vinto una medaglia d’oro alle olimpiadi. Che avrei visitato terre lontane e meravigliose, diventando la Margaret Mead della mia generazione. Che avrei scritto molti libri e fatto del mio meglio per riconquistare l’amore di mio padre. Sai chi è?»
«Un predicatore, a sentire la mia padrona di casa.»
«Esatto. Buddy Ross, l’uomo con il completo bianco. E una folta chioma candida. Sembra un Barnaby Jones. Una chiesa gigantesca, un programma radiofonico di successo, e adesso la televisione. Nella vita quotidiana, è uno stronzo con un paio di lati positivi.» Versò due tazze di caffè. «Ma lo stesso vale per tutti noi, immagino.»
«Sbaglio o hai dei rimpianti?» Forse era una domanda indiscreta, ma speravo che ormai fossimo abbastanza in confidenza.
Annie prese la sua tazza, sedendosi davanti a me. «Non sono pochi, come canta Frank Sinatra in My Way.Però Mike è un ragazzino fantastico e, a essere onesta, mio padre ci ha sempre aiutati economicamente in modo che potessi occuparmi a tempo pieno di mio figlio. Da come la vedo, anche staccare assegni è una forma d’amore, ed è comunque meglio di niente. Oggi ho preso una decisione, mentre indossavi il tuo buffo costume e improvvisavi quell’allegro balletto. Mentre Mike rideva fino alle lacrime.»
«Dimmi.»
«Ho deciso di dare a mio padre ciò che più desidera: rientrare a far parte della vita di mio figlio prima che sia troppo tardi. Ha pronunciato parole orribili sul nostro conto, sostenendo che è stato Dio a colpire Mike con la distrofia muscolare perché venissi punita per i miei presunti peccati, ma devo mettermi in testa che il passato è il passato. Tanto, anche volendo aspettare, lui non si scuserà mai… perché, nel profondo del cuore, è convinto di avere detto la verità.»
«Mi dispiace.»
Annie alzò le spalle, come se la faccenda rivestisse scarsa importanza. «Mi sbagliavo quando non volevo che Mike andasse al parco e ho commesso un errore aggrappandomi ai miei vecchi rancori e continuando a esigere una specie di risarcimento del cazzo. Mio figlio non è merce di scambio. Pensi che a trentun anni si sia troppo vecchi per crescere, Dev?»
«Chiedimelo quando ci arriverò.»
«Touchée»,rispose con una risata. «Scusami un secondo.»
In realtà sparì per quasi cinque minuti. Restai seduto al tavolo della cucina, sorseggiando il caffè. Quando tornò, reggeva il maglione con la destra. Aveva il ventre abbronzato. Il reggiseno era azzurro, quasi dello stesso colore dei jeans sbiaditi.
«Mike dorme come un sasso», affermò. «Ti andrebbe di venire su con me, Devin?»
♥
La camera da letto era ampia ma disadorna, come se non avesse finito di disfare i bagagli, anche dopo tutti i mesi passati lì. Si voltò verso di me, cingendomi il collo con le braccia. Gli occhi erano molto grandi e molto calmi. L’ombra di un sorriso le sollevava gli angoli della bocca, disegnando due leggere fossette. «‘Scommetto che potresti combinare di meglio, se ti lasciassi fare.’ Ti ricordi?»
«Sì.»
«E avrei vinto? La scommessa, intendo.»
Mi baciò. Aveva la bocca umida e dolce. Sentivo il sapore del suo respiro.
Si ritrasse all’improvviso. «Che sia chiaro, però: solo per questa volta.»
Non riuscii a frenarmi: «Basta che non sia…»
Lei quasi scoppiò a ridere. Alle fossette, s’era aggiunto lo splendore dei denti. «Una scopata di ringraziamento? No, credimi. L’ultima volta che sono stata con un ragazzino, lo ero anch’io.» Mi afferrò la mano destra, appoggiandosela sulla coppa di seta che le copriva il seno sinistro. Sentivo il battito tenue e regolare del suo cuore. «Deve essermi rimasto qualcosa dell’educazione paterna, perché mi pare di essere tremendamente perversa.»
Ci baciammo di nuovo. Fece scivolare le mani fino alla cintura, slacciandomela. Con un lieve rumore metallico, abbassò la cerniera lampo, sfiorando con il palmo il rigido turgore che si nascondeva sotto i boxer. Mi sfuggì un rantolo di piacere.
«Dev?»
«Sì?»
«L’hai mai fatto? Non azzardarti a mentirmi.»
«No.»
«Ma la tua ragazza era scema?»
«Penso lo fossimo entrambi.»
Sorrise, infilandomi una mano piacevolmente fresca dentro le mutande e circondandomelo con le dita. La sua presa salda, unita al movimento delicato del pollice, mi fecero sembrare i maldestri tentativi di Wendy roba da poppanti. «E così sei vergine.»
«Mi dichiaro colpevole, vostro onore.»
«Ottimo.»
♥
Mi andò di lusso e non fuuna volta sola, perché all’inizio durai circa otto secondi. Forse nove. Riuscii a ficcarlo dentro, ma poi tutto si concluse con un diluvio di schizzi. Restai impietrito come quando mi era scappata una scorreggia mentre facevo la comunione al campeggio.
«Oddio», balbettai, coprendomi gli occhi con la mano.
Annie cominciò a ridere, senza cattiveria. «In un certo senso ne sono lusingata. Cerca di rilassarti. Scendo a dare un’altra occhiata a Mike. Non vorrei che mi beccasse a letto con il Simpatico Howie.»
«Molto divertente.» Se fossi arrossito ancora un po’, le mie guance avrebbero preso fuoco.
«Quando tornerò, sarai di nuovo pronto. È uno dei vantaggi di avere vent’anni, Dev. Se fossi un diciassettenne, saresti già sull’attenti.»
Si ripresentò con una Coca-Cola per ciascuno dentro un secchiello da ghiaccio, ma quando si sfilò la vestaglia restando nuda, la Coca diventò l’ultimo dei miei desideri. La seconda volta andò leggermente meglio e forse arrivai ai quattro minuti. Poi lei cominciò a mugolare e la storia finì. Una gran bella fine, però.
♥
Ci ritrovammo a sonnecchiare. Annie aveva la testa appoggiata all’incavo della mia spalla. «Stai bene?» mi chiese.
«Così bene da non crederci.»
Mi accorsi che sorrideva anche senza vederla in volto. «Dopo secoli, finalmente questa stanza da letto non viene usata solo per dormirci.»
«Tuo padre non si ferma mai qui?»
«Non più, da parecchio. Io ho cominciato a tornarci perché Mike adora questo posto. A volte riesco a venire a patti con l’inevitabilità della sua morte, ma spesso non ci riesco. Fingo di ignorarla. Mi sorprendo a mercanteggiare con me stessa: Se non lo porto a Joyland, lui resterà vivo. Se non mi riappacifico con mio padre in modo che possa venire a trovarlo, lui resterà vivo. Se non ci muoviamo da qui, lui resterà vivo. Un paio di settimane fa, quando ho dovuto fargli indossare il cappotto per scendere in spiaggia, mi sono messa a piangere. Lui mi ha chiesto che cosa avessi e io gli ho risposto che erano quei giorni del mese. Sa che cosa significa.»
Mi tornò in mente una frase che Mike le aveva detto nel parcheggio dell’ospedale: Non sarà l’ultima volta che ci divertiamo insieme.Ma prima o poi quella famosa volta arriva. Per tutti noi, nessuno escluso.
Si alzò a sedere, coprendosi con il lenzuolo. «Ti ricordi quando ti ho spiegato che mio figlio è diventato il mio futuro? La mia brillante carriera?»
«Sì.»
«Non riesco a immaginarne un’altra. Dopo Michael c’è solo… il nulla. Chi diceva che nelle vite degli americani non ci sono seconde opportunità?»
Le afferrai la mano. «Non me ne preoccuperei, non finché ti rimane questa da vivere.»
Si liberò dalla presa, accarezzandomi. «Sei giovane ma non completamente stupido.»
Era gentile a dirlo, anche se mi sentivo tale. Riguardo a Wendy, ma non solo. Non riuscivo a togliermi di testa quelle dannate fotografie nella cartellina di Erin. C’era qualcosa che…
Annie tornò a sdraiarsi. Il lenzuolo le scivolò via dai capezzoli e io ricominciai a eccitarmi. Avere vent’anni non era poi tanto male. «Mi sono divertita al tirassegno. Mi ero dimenticata quanto ci si senta bene, preoccupandosi solo di mirare e tirare il grilletto. Papà mi mise in mano un fucile quando avevo appena sei anni. Un piccolo calibro ventidue a colpo singolo. Mi piaceva un sacco sparare.»
«Sul serio?»
«Sì. Era l’ unicacosa che funzionasse tra noi due.» Si appoggiò su un gomito. «Lui non fa che vendere la sua idea di salvezza fin da quando ero una ragazzina, e non c’entrano unicamente i soldi: si è beccato una tripla razione di sermoni da strapazzo dai suoi genitori, bevendosene ogni parola. Però, pur essendo un pastore evangelico, nel cuore è rimasto un uomo del Sud. Guida un pick-up personalizzato da cinquantamila dollari, ma pur sempre un pick-up. Frequenta le tavole calde e ama il cibo che gronda grasso. La sua idea di umorismo fine sono le pagliacciate di Hee Haw.Ama le canzoni da balera. E adora i suoi fucili. Non mi interessa il suo prodotto esclusivo e non me ne frega nulla di furgoncini, però ho preso da lui la passione per le armi. Dopo un paio di colpi mi sento meglio. Che cazzo di eredità, eh?»
Mi alzai dal letto in silenzio e aprii le due bottigliette di Coca-Cola. Gliene passai una.
«Avrà almeno una cinquantina d’armi nella sua casa di Savannah. Alcune sono pezzi d’antiquariato di un certo valore. Qui ce ne sono altre cinque o sei. A Chicago tengo due fucili, anche se ho passato un paio d’anni senza sparare a un bersaglio. Se Mike…» Premette la bottiglietta contro la fronte, quasi a placare una forte emicrania. « QuandoMike morirà, le sbatterò via tutte quante. Sarebbero una tentazione troppo forte.»
«Mike non vorrebbe mai che…»
«No, certamente no, lo so, ma non c’entra solo lui. Un conto sarebbe se fossi convinta, come quel pazzo invasato di mio padre, di trovare mio figlio davanti ai cancelli del cielo, pronto ad accompagnarmi in paradiso. Però non funziona così. Quando ero una ragazzina, mi sono sforzata con tutta me stessa di credere, ma non è servito. Dio e il suo regno di eterna pace sono durati quattro anni in più della fatina dei denti. Penso che dopo la morte ci sia solo il buio. Zero pensieri, zero ricordi, zero amore. Tenebre e oblio, punto e basta. Anche per questo mi è così difficile accettare quello che gli sta capitando.»
«Mike sa che non c’è solo l’oblio.»
«Come? Perché? Che cosa te lo fa pensare?»
Perché lei era lì. L’ha guardata mentre se ne andava. L’ha sentita ringraziarci. È apparsa anche a Tom e io ho visto il suo cerchietto per capelli. Ne sono certo.
«Chiediglielo, ma non oggi», le risposi.
Lei accantonò la Coca, scrutandomi con quel sorriso che le disegnava due piccole fossette agli angoli della bocca. «Hai avuto il secondo. Per caso ti andrebbe anche il dolce?»
Appoggiai la bottiglia di fianco al letto. «In effetti…»
Annie tese le braccia verso di me.
♥
La prima volta fu imbarazzante, la seconda soddisfacente. La terza… la terza, accidenti, fu il massimo.
♥
Aspettai in salotto che Annie finisse di rivestirsi. Quando scese, aveva di nuovo addosso i jeans e il maglione leggero. Mi tornò in mente il reggiseno azzurro sotto il golf e, dannazione, sentii qualcosa muoversi sotto la cintola.
«Tutto bene?»
«Sì, ma potrebbe andare anche meglio.»
«Sicuro, ma purtroppo non succederà. Se mi vuoi bene quanto te ne voglio io, saprai accettarlo.»
«D’accordo.»
«Perfetto.»
«Quanto ancora rimarrete qui?»
«Se la villa non verrà spazzata via dalla tempesta di stanotte?»
«Non capiterà.»
«Una settimana. A partire dal diciassette, Mike avrà un giro di visite da alcuni specialisti, e voglio sistemarmi a Chicago prima di allora.» Tirò un lungo sospiro. «E parlare a suo nonno della possibilità di un incontro. Dovrò stabilire una serie di regole ferree. Niente discorsi su Gesù, per esempio.»
«Ci vedremo prima della partenza?»
«Sì», rispose, abbracciandomi e schioccandomi un bacio. Poi si allontanò. «Ma non così. Complicherebbe la situazione. Penso che tu lo capisca.»
Annuii. Lo capivo eccome.
«Meglio che tu vada, Dev. E grazie. È stato stupendo. Abbiamo tenuto il giro più bello per la fine.»
Aveva ragione. L’ultima attrazione. Non al buio, però. Era stata splendente, accecante. «Vorrei fare di più. Per te. Per Mike.»
«Anch’io. Ma il mondo non funziona così. Passa domani per cena, se il temporale non è troppo forte. A Mike farebbe molto piacere.»