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Gomorra
  • Текст добавлен: 24 сентября 2016, 03:28

Текст книги "Gomorra"


Автор книги: Roberto Saviano



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Quei pochi mesi però sono bastati. Sono bastati per associare Gelsomina alla persona di Gennaro. Renderla "tracciata" dalla sua persona, appartenente ai suoi affetti. Anche se la loro relazione era terminata, forse mai realmente nata. Non importa. Sono solo congetture e immaginazioni. Ciò che resta è che una ragazza è stata torturata e uccisa perché l'hanno vista mentre dava una carezza e un bacio a qualcuno, qualche mese prima, in qualche parte di Napoli. Mi sembra impossibile crederci. Gelsomina sgobbava molto, come tutti da queste parti. Spesso le ragazze, le mogli devono da sole mantenere le famiglie perché moltissimi uomini cadono in depressione per anni. Anche chi vive a Secondigliano, anche chi vive nel "Terzo Mondo", riesce a avere una psiche. Non lavorare per anni ti trasforma, essere trattati come mezze merde dai propri superiori, niente contratto, niente rispetto, niente danaro, ti uccide. O divieni un animale o sei sull'orlo della fine. Gelsomina quindi faticava come tutti quelli che devono fare almeno tre lavori per riuscire ad accaparrarsi uno stipendio che passava per metà alla famiglia. Faceva anche del volontariato con gli anziani di queste parti, cosa su cui si sono sprecate le lodi dei giornali che parevano fare a gara nel riabilitarla. A fianco ai servizi su Mina Verde capitò anche un'intervista alla moglie di Raffaele Cutolo. Donna Immacolata vi sostiene che la camorra, quella vera, quella di suo marito, non uccideva mai le donne. Aveva una forte etica, fatta da uomini d'onore. Bisognava forse ricordarle che negli anni '8 °Cutolo fece sparare in faccia a una bambina di pochi anni, figlia del magistrato Lamberti, davanti al padre. Ma i quotidiani l'ascoltano, le concedono fiducia, le danno credito e autorevolezza sperando che il potere della camorra possa ritornare come un tempo. La camorra del passato è sempre migliore rispetto a quella che è o che sarà.

In guerra non è possibile più avere rapporti d'amore, legami, relazioni, tutto può divenire elemento di debolezza. H terremoto emozionale che avviene negli affiliati ragazzini è registrato nelle intercettazioni fatte dai carabinieri, come quella tra Francesco Venosa e Anna, la sua ragazza, trascritta nel decreto di fermo emesso dalla Procura Antimafia di Napoli nel febbraio 2006. È l'ultima telefonata prima di cambiare numero, Francesco fugge nel Lazio, avverte suo fratello Giovanni con un SMS di non osare scendere per strada, è sotto tiro:

"Ciao fratello tv.tb. ti race non scendere per nessun motivo. Ok?"

Francesco deve spiegare alla sua ragazza che deve andare via, e che la vita di uomo di Sistema è complicata:

"Io ormai ho diciotto anni… non si scherza… questi ti buttano… ti ammazzano, Anna!"

Anna però è ostinata, vorrebbe fare il concorso per diventare maresciallo dei carabinieri, cambiare la sua vita e farla cambiare a Francesco. Al ragazzo non dispiace affatto che Anna voglia entrare nei carabinieri, ma si sente ormai troppo vecchio per mutare vita:

Francesco: "Te l'ho detto, mi fa piacere per te… Però la mia vita è un'altra… E io non la cambio la mia vita".

Anna: "Ah, bravo, mi fa piacere… Continua sempre così, hai capito?".

Francesco: "Anna, Anna… non fare così…".

Anna: "Ma tu tieni diciotto anni, puoi cambiare benissimo… Ma perché stai già rassegnato? Non lo so…".

Francesco: "Non la cambio la mia vita, per nessun motivo al mondo".

Anna: "Ah, perché tu stai bene così".

Francesco: "No, Anna, io non sto bene così, ma per il momento abbiamo subito… e dobbiamo recuperare il rispetto perso… La gente quando camminiamo nel rione non aveva il coraggio di guardarci in faccia… adesso alzano tutti la testa".

Per Francesco, che è uno Spagnolo, l'oltraggio più grave è che nessuno più si sente in soggezione dinanzi al loro potere. Hanno subito troppi morti e così nel suo rione tutti lo vedono come afferente a un gruppo di killer cialtroni, camorristi falliti. Questo è intollerabile, bisogna reagire anche a costo della vita. La fidanzata cerca di frenarlo, di non farlo sentire già un condannato:

Anna: "Non ti devi mettere nel bordello, cioè tu puoi benissimo vivere…".

Francesco: "No, non la voglio cambiare la vita mia…".

Il giovanissimo scissionista è terrorizzato dal fatto che i Di Lauro possano prendersela con lei, ma la rassicura dicendo che lui aveva molte ragazze, quindi nessuno può associare Anna con lui. Poi le confessa, da adolescente romantico, che lei ora è l'unica…

"… A finale io tenevo trenta donne nel rione… ora però dentro là mi sento solo con te…"

Anna sembra tralasciare ogni paura di ritorsione, come una ragazzina qual è, pensa solo all'ultima frase che Francesco ha pronunciato:

Anna: "Ci vorrei credere".

La guerra continua. Il 24 novembre 2004 ammazzano Salvatore Abbinante. Gli sparano in faccia. Nipote di uno dei dirigenti degli Spagnoli, Raffaele Abbinante, uomo di Marano. Il territorio dei Nuvoletta. I maranesi per avere una partecipazione attiva al mercato di Secondigliano fecero trasferire al rione Monterosa molti uomini con le loro famiglie e Raffaele Abbinante è, secondo le accuse, il dirigente di questa quota mafiosa in seno a Secondigliano. Era uno dei personaggi con maggiore carisma in Spagna dove comandava nel territorio della Costa del Sol. In una maxi inchiesta del 1997 furono sequestrati duemilacinquecento chili di hashish, milleventi pasticche di ecstasy, millecinquecento chili di cocaina. I magistrati dimostrarono che i cartelli napoletani degli Abbinante e dei Nuvoletta gestivano la quasi totalità dei traffici di droga sintetica in Spagna e in Italia. Dopo l'omicidio di Salvatore Abbinante si temeva che i Nuvoletta intervenissero, che Cosa Nostra decidesse di dire la sua nella faida secondiglianese. Non avvenne nulla, almeno militarmente. I Nuvoletta aprirono i confini dei loro territori agli scissionisti in fuga, questo fu il segnale di critica degli uomini di Cosa Nostra in Campania alla guerra di Cosimo. Il 25 novembre i Di Lauro ammazzano Antonio Esposito nel suo negozio di alimentari. Quando arrivai sul posto il suo corpo si trovava tra bottiglie d'acqua e buste di latte. Lo raccolsero, erano in due, sollevandolo per la giacca e per i piedi lo misero in una bara di metallo. Quando la macchina mortuaria andò via, comparve nel negozio una signora che iniziò a mettere in ordine le buste sul pavimento, pulì gli schizzi di sangue finiti sulla vetrina dei salumi. I carabinieri lasciarono fare. Le tracce balistiche, le orme, gli indizi erano stati già raccolti. L'inutile almanacco delle tracce era stato già riempito. Per tutta la notte quella donna mise a posto il negozio, come se riordinare potesse cancellare ciò che era accaduto, come se il ritorno dell'ordine delle buste di latte e la messa in riga delle merendine potesse relegare solo ai pochi minuti in cui è avvenuto l'agguato, solo a quei minuti, il peso della morte.

Intanto a Scampia si era sparsa la voce che Cosimo Di Lauro avrebbe dato centocinquantamila euro a chiunque fosse riuscito a dare notizie fondamentali per rintracciare Gennaro Marino McKay. Una taglia alta, ma non altissima, per un impero economico come quello del Sistema di Secondigliano. Anche nel decidere la somma della taglia si è avuto l'accorgimento di non volere sovrastimare il nemico. Ma la taglia non porta frutti, arriva prima la polizia. In via Fratelli Cervi, al tredicesimo piano del palazzo, si erano riuniti tutti i dirigenti degli scissionisti rimasti ancora in zona. Come precauzione avevano blindato il pianerottolo. Al termine della rampa di scale una gabbia con tanto di cancelletto chiudeva il pianerottolo. Le porte blindate poi rendevano sicuro il luogo dell'incontro. La polizia circondò l'edificio. Ciò che li aveva blindati contro eventuali attacchi dei nemici, ora li condannava ad attendere senza poter far nulla, aspettare che i flex tagliassero le inferriate e la porta blindata venisse sfondata. Mentre attendevano l'arresto, gettarono dalla finestra uno zaino con mitra, pistole e bombe a mano. Cadendo il mitra sparò una raffica. Un colpo sfiorò un poliziotto che presidiava il palazzo, gli carezzò quasi la nuca. Per nervosismo iniziò a saltare, poi a sudare e infine ad avere una crisi d'ansia respirando convulsamente.

Crepare per un proiettile di rimbalzo sputato da un mitra lanciato dal tredicesimo piano è un'ipotesi che non si prende in considerazione. Quasi in un delirio iniziò a parlare da solo, a insultare tutti, farfugliava nomi e agitava le mani come se volesse liberarsi di zanzare dinanzi al viso e continuava:

"Se li sono cantati. Visto che loro non riuscivano ad arrivarci, se li sono cantati e ci hanno mandato noi… Noi facciamo il gioco di uno e dell'altro, gli salviamo la vita, a questi. Lasciamoli qua, si scannassero tra loro, si scannassero rutti, a noi che ce ne fotte?"

I suoi colleghi mi fecero segno di allontanarmi. Quella notte nella casa di via Fratelli Cervi arrestarono Arcangelo Abete e la sorella Anna, Massimiliano Cafasso, Ciro Mauriel-lo, Gennaro Notturno, l'ex fidanzato di Mina Verde, e Raffaele Notturno. Ma il vero colpo dell'arresto fu Gennaro McKay. Il leader scissionista. I Marino erano stati obiettivi primi della faida. Avevano bruciato le sue proprietà: il ristorante "Orchidea" in via Diacono a Secondigliano, una panetteria in corso Secondigliano e una pizzetteria in via Pietro Nenni ad Arzano. E anche la casa di Gennaro McKay, una villa in legno stile dacia russa situata in via Limitone d'Arza-no, era stata incendiata. Tra cubi di cemento armato, strade lacerate, tombini occlusi e illuminazione sporadica il boss delle Case Celesti era riuscito a strappare una parte di territorio e organizzarlo come un angolo di montagna. Aveva fatto costruire una villa di legno prezioso con nel giardino le palme libiche, le più costose. Qualcuno dice che era stato per affari in Russia ed era stato ospitato in una dacia, innamorandosene. E allora niente e nessuno poteva impedire a Gennaro Marino di far costruire nel cuore di Secondigliano una dacia, simbolo della forza dei suoi affari e ancor più promessa di successo per i suoi guaglioni che se sapevano come comportarsi prima o poi avrebbero potuto raggiungere quel lusso, anche alla periferia di Napoli, anche nel margine più cupo del Mediterraneo. Ora della dacia rimane solo lo scheletro di cemento e i legni carbonizzati. Il fratello di Gennaro,

Gaetano, fu scovato dai carabinieri in una camera del lussuoso albergo La Certosa a Massa Lubrense. Per non rischiare la pelle si era rinchiuso in una camera sul mare, un modo inaspettato per sottrarsi al conflitto. Il maggiordomo, l'uomo che sostituiva le sue mani, appena arrivarono i carabinieri li fissò in viso dicendo "mi avete rovinato la vacanza".

Ma l'arresto del gruppo degli Spagnoli non riuscì a tamponare l'emorragia della faida. Giuseppe Bencivenga viene ucciso il 27 novembre. Il 28 sparano a Massimo de Felice e poi il 5 dicembre è il turno di Enrico Mazzarella.

La tensione diviene una sorta di schermo che si frappone tra le persone. In guerra gli occhi smettono di essere distratti. Ogni faccia, ogni singola faccia deve dirti qualcosa. La devi decifrare. La devi fissare. Tutto muta. Devi sapere in quale negozio entrare, essere certo di ogni parola che pronunci. Per scegliere di passeggiare con qualcuno, devi sapere chi è. Devi raggiungere qualcosa sul suo conto che possa essere di più di una certezza, eliminare ogni possibilità che sia pedina sulla scacchiera del conflitto. Camminare vicini, rivolgersi la parola significa condividere il campo. In guerra tutti i sensi moltiplicano la propria soglia di attenzione, è come se si percepisse più acutamente, si guardasse più a fondo, si sentissero gli odori in maniera più forte. Anche se ogni accortezza non serve a nulla dinanzi alla decisione di un massacro. Quando si colpisce non si bada a chi salvare e chi condannare. In un'intercettazione telefonica, Rosario Fusco, accusato di essere un capozona dei Di Lauro, ha la voce molto tesa e cerca di essere convincente rivolgendosi al figlio:

"… Tu non devi stare con nessuno, questo è poco ma certo, io te l'ho scritto pure: vuoi scendere, a babbo, vuoi andare a fare una camminata con una ragazza, soltanto non devi stare con nessun ragazzo, perché non sappiamo con chi stanno o a chi appartengono. Allora se devono fare qualcosa a quello, tu ti trovi vicino, ti fanno pure a te. Hai capito qual è il problema oggi, questo, a babbo…"

Il problema è che non ci si può sentire esclusi. Non basta presumere che la propria condotta di vita potrà mettere al riparo da ogni pericolo. Non vale più dirsi: "si ammazzano tra loro". Durante un conflitto di camorra tutto quello che è stato costantemente costruito viene messo in pericolo, una recinzione di sabbia abbattuta da un'onda di risacca. Le persone cercano di passare silenziose, di ridurre al rrtinimo la loro presenza nel mondo. Poco trucco, colori anonimi, ma non solo. Chi ha l'asma e non riesce a correre si chiude in casa a chiave, ma trovando una scusa, inventandosi una motivazione, perché svelare di stare chiuso in casa potrebbe risultare una dichiarazione di colpevolezza: di non si sa quale colpa, ma pur sempre una confessione di paura. Le donne non indossano più tacchi alti, inadatti a correre. A una guerra non dichiarata ufficialmente, non riconosciuta dai governi e non raccontata dai reporter, corrisponde una paura non dichiarata, una paura che si ficca sotto pelle.

lì senti gonfio come dopo una mangiata o una bevuta di pessimo vino. Una paura che non esplode nei manifesti per strada o sui quotidiani. Non ci sono invasioni o cieli coperti di aerei, è una guerra che ti senti dentro. Quasi come una fobia. Non sai se mostrare la paura o invece nasconderla. Non riesci a comprendere se stai esagerando o sottovalutando. Non ci sono sirene d'allarme, ma arrivano le informazioni più discordanti. Dicono che la guerra di camorra sia tra bande, che si ammazzano tra loro. Ma nessuno sa dove si trovano i confini tra ciò che è loro e ciò che non lo è. Le camionette dei carabinieri, i posti di blocco di polizia, gli elicotteri che iniziano a sorvolare a ogni ora, non rasserenano, sembrano quasi restringere il campo. Sottraggono spazio. Non rassicurano. Circoscrivono e rendono lo spazio mortale della lotta ancora più angusto. E ci si sente intrappolati, spalla a spalla, trovando insopportabile il calore dell'altro.

Attraversavo con la mia Vespa questa coltre di tensione. Ogni volta che andavo a Secondigliano durante il conflitto, venivo perquisito almeno una decina di volte al giorno. Se avessi avuto soltanto uno di quei coltellini svizzeri da campeggio me l'avrebbero fatto ingoiare. Mi fermavano i poliziotti, poi i carabinieri, a volte la Finanza, e poi le vedette dei Di Lauro, poi quelle degli Spagnoli. Tutti con la stessa spicciola autorità, gesti meccanici, parole identiche. Le forze dell'ordine prendevano i documenti e poi perquisivano, le sentinelle invece perquisivano e facevano più domande, intuivano un accento, radiografavano le menzogne. Le vedette durante i giorni di massimo conflitto perquisivano tutti. Gettavano gli occhi in ogni auto. Per catalogare i volti, comprendere se fossero armati. Vedevi avvicinarti prima dei motorini che ti sbirciavano anche l'anima, poi delle moto, e infine delle auto che ti seguivano.

Gli infermieri denunciarono che prima di entrare per andare a soccorrere qualcuno, chiunque, non soltanto feriti d'arma da fuoco, ma anche una vecchietta con una frattura al femore o un infartuato, dovevano scendere, farsi perquisire, far entrare nell'autoambulanza una sentinella che controllava se fosse davvero un trasporto sanitario o invece nascondeva armi, killer o persone da far fuggire. Nelle guerre di camorra la Croce Rossa non è riconosciuta, nessun clan ha firmato il trattato di Ginevra. Anche le macchine civetta dei carabinieri rischiano. Una volta una sventagliata di colpi venne scaricata addosso a un'auto con a bordo un gruppo di carabinieri in borghese scambiati per rivali, colpi che non produssero che ferite. Qualche giorno dopo si presenta in caserma un ragazzino con la sua valigetta di biancheria sapendo benissimo come ci si comporta durante un arresto. Confessa tutto e subito, forse perché la punizione che avrebbe avuto per aver sparato ai carabinieri sarebbe stata ben peggiore del carcere. O molto più probabilmente il clan, per non innescare particolari odi privati tra divise e camorristi, l'avrà incoraggiato a consegnarsi promettendogli il dovuto, e il pagamento delle spese di difesa. Il ragazzino entrato in caserma senza esitazione ha dichiarato: "Credevo fossero gli Spagnoli, e ho sparato".

Anche il 7 dicembre mi svegliò una telefonata in piena notte. Un amico fotografo mi avvertiva del blitz. Non di un blitz. Ma del blitz. Quello che politici locali e nazionali chiedevano come gesto di reazione alla faida.

H rione Terzo Mondo è circondato da mille uomini tra poliziotti e carabinieri. Un rione enorme, il cui soprannome rende chiara l'immagine della sua situazione, così come la scritta su un muro all'imbocco della sua strada principale: "Rione Terzo Mondo, non entrate". È una grossa operazione mediatica. Dopo questo blitz, Scampia, Miano, Piscinola, San Pietro a Paterno, Secondigliano, saranno territori invasi da giornalisti e presidi televisivi. La camorra torna a esistere dopo anni di silenzio. D'improvviso. Ma i calibri d'analisi sono vecchi, vecchissimi, non c'è stata alcuna attenzione costante. Come se si fosse ibernato un cervello vent'anni fa e scongelato ora. Come se ci si trovasse di fronte alla camorra di Raffaele Cutolo e alle logiche mafiose che portarono a far saltare le autostrade e uccidere i magistrati. Oggi tutto è mutato tranne gli occhi degli osservatori, esperti e meno esperti. Tra gli arrestati c'è anche Ciro Di Lauro, uno dei figli del boss. Il commercialista del clan, dice qualcuno. I carabinieri sfondano le porte, perquisiscono le persone, e puntano i fucili in faccia a ragazzini. L'unica scena che riesco a vedere è un carabiniere che urla a un ragazzino che gli punta contro un coltello:

"Butta a terra! Butta a terra! Subito! Subito! Buttalo a terra!"

Il ragazzino lascia cadere. Il carabiniere allontana il coltello con un calcio e questo rimbalzando contro un battiscopa fa rientrare la sua lama nel manico. È di plastica, un coltello delle tartarughe ninja. I militari intanto presidiano, fotografano, si muovono ovunque. Decine di fortini vengono abbattuti. Sventrati muri di cemento armato edificati nei sottoscala dei palazzi per creare depositi di droga, sfondati i cancelli che andavano a chiudere intere porzioni di strade per organizzare i magazzini di droga.

Centinaia di donne scendono per strada, bruciano cassonetti, lanciano oggetti contro le volanti. Stanno arrestando i loro figli, nipoti, vicini di casa. I loro datori di lavoro. Eppure non riuscivo a vedere su quei visi, in quelle parole di rabbia, in quelle cosce fasciate da tute così attillate che sembrano sul punto di esplodere, non riuscivo a vedere solo una solidarietà criminale. Il mercato della droga è fonte di sostentamento, un sostentamento minimo che per la parte maggiore della gente di Secondigliano non ha alcun valore d'arricchimento. Gli imprenditori dei clan sono gli unici ad averne un vantaggio esponenziale. Tutti quelli che lavorano nell'indotto di smercio, deposito, nascondiglio, presidio, non ricevono che stipendi ordinari a fronte di arresti, mesi e anni in carcere. Quei visi avevano maschere di rabbia. Una rabbia che sa di succo gastrico. Una rabbia che è sia difesa del proprio territorio, sia un'accusa contro chi quel luogo l'ha sempre considerato inesistente, perduto, da dimenticare.

Questo gigantesco dispiegamento di forze dell'ordine che arriva all'improvviso solo dopo decine di morti, solo dopo il corpo bruciato e torturato di una ragazza del quartiere, sembra una messa in scena. Le donne di qui sentono puzza di presa in giro. Gli arresti, le ruspe, sembrano qualcosa che non va a modificare lo stato di cose, ma solo un'operazione a favore di chi ora ha necessità di arrestare e buttare giù pareti. Come se d'improvviso qualcuno cambiasse le categorie d'interpretazione e dicesse che la loro vita è sbagliata. Lo sapevano benissimo che lì era tutto sbagliato, non dovevano arrivare elicotteri e blindati a ricordarlo, ma sino ad allora quell'errore era la loro forma prima di vita, la loro forza di sopravvivenza. In più nessuno, dopo quell'irruzione che la complicava e basta, avrebbe davvero cercato di cambiarla in meglio. E allora quelle donne volevano gelosamente custodire l'oblio di quell'isolamento, di quell'errore di vita e cacciare chi d'improvviso s'è accorto del buio.

I giornalisti erano appostati nelle loro macchine. Ma soltanto dopo aver lasciato fare e non aver intralciato gli stivali dei carabinieri iniziarono a riprendere il blitz. Alla fine dell'operazione ammanettarono cinquantatré persone, il più giovane era dell'85. Erano tutti cresciuti nella Napoli del Rinascimento, nel percorso nuovo che avrebbe dovuto mutare il destino degli individui. Mentre entrano nei cellulari della polizia, mentre vengono ammanettati dai carabinieri, tutti sanno cosa fare: chiamare questo o quell'avvocato, aspettare che il 28 del mese a casa arrivi lo stipendio del clan, i pacchi di pasta per mogli o madri. I più preoccupati sono gli uomini che hanno a casa figli adolescenti, non sanno il ruolo che gli verrà assegnato dopo il loro arresto. Ma su questo non possono mettere bocca.

Dopo il blitz la guerra non conosce sosta. Il 18 dicembre Pasquale Galasso, omonimo di uno dei boss più potenti degli anni '90, viene fatto fuori dietro al bancone di un bar. E poi Vincenzo Iorio ucciso il 20 dicembre in pizzeria. Il 24 ammazzano Giuseppe Pezzella, trentaquattro anni. Cerca di rifugiarsi in un bar, ma gli scaricano un caricatore contro. Per Natale la pausa. Le batterie di fuoco si fermano. Ci si riorganizza. Si cerca di dare regola e strategia al più sregolato dei conflitti. Il 27 dicembre Emanuele Leone viene ammazzato con un colpo alla testa. Aveva ventun'anni. Il 30 dicembre ammazzano gli Spagnoli: uccidono Antonio Scafuro, ventisei anni e colpiscono alla gamba suo figlio. Era parente del ca-pozona dei Di Lauro a Casavatore.

La cosa più complessa era comprendere. Comprendere come era stato possibile per i Di Lauro riuscire a condurre un conflitto da vincenti. Colpire e scomparire. Schermarsi tra le persone, sperdersi nei quartieri. Lotto T, le Vele, Parco Postale, le Case Celesti, le Case dei Puffi, il Terzo Mondo divengono come una sorta di giungla, una foresta pluviale di cemento armato dove confondersi, dove sparire più facilmente che altrove, dove è più facile risultare dei fantasmi. I Di Lauro avevano perso tutti i dirigenti e i capizona, ma erano riusciti a innescare una guerra spietata senza perdite gravissime. Era come se uno Stato avesse subito un golpe, e il Presidente destituito – per conservare il proprio potere e tutelare i propri interessi – avesse armato i ragazzini delle scuole e fatto divenire i postini, i funzionari, i capiufficio, le nuove leve militari. Concedendo loro di entrare nel nuovo centro del potere e non relegandoli più al rango di ingranaggi secondari.

Ugo De Lucia, fedelissimo dei Di Lauro accusato dalla DDA di Napoli di essere responsabile dell'omicidio di Gelso-mina Verde, viene intercettato, come riportato nell'ordinanza del dicembre 2004, da una cimice nascosta in auto:

"Io senza ordine non mi muovo, come sono fatto io!"

Il perfetto soldato mostra la totale obbedienza a Cosimo. Poi commenta l'episodio di un ferimento.

"Io l'ammazzavo, mica gli sparavo in una gamba se ero io gli spappolavo le membrane lo sai!… Appoggiamoci nel rione mio, è tranquillo possiamo lavorare là…"

Ugariello come lo chiamano nel suo quartiere, avrebbe ucciso, mai soltanto ferito.

"Adesso dico io, siamo solo noi, mettiamoci… tutti quanti in un posto… teniamoci nei dintorni cinque in una casa… cinque in un'altra… e cinque in un'altra e ci mandate a chiamare solo quando dobbiamo scendere per sfondargli il cervello!" ^

Organizzare gruppi di fuoco di cinque persone, farli rinta-nare in case sicure, uscire dai nascondigli solo per uccidere. Non fare altro. I gruppi di fuochi li chiamano paranze. Ma Petrone, il suo interlocutore, non è tranquillo:

"Sì, ma se un cornuto di questi va a finire che trova qualche paranza nascosta da qualche parte, ci vedono ci seguono ci schiattano il cervello… almeno un paio di morti facciamoli prima di morire, capito che dico io! Almeno fammeli eliminare quattro, cinque di loro!"

L'ideale per Petrone è ammazzare chi non sa di essere stato scoperto:

"La cosa più semplice è quando sono compagni, te li carichi in macchina e te li porti…"

Vincono perché sono più imprevedibili nel colpire, ma anche perché prevedono già il loro destino. Prima della fine devono, però, infliggere quante più perdite è possibile al nemico.

Una logica kamikaze senza esplosioni. L'unica che in una situazione di minoranza può far sperare in una vittoria. Prima di organizzarsi in paranze iniziano subito a colpire.

Il 2 gennaio 2005 ammazzano Crescenzo Marino, il padre dei McKay. La faccia appesa all'indietro in un'auto insolita per un uomo di settant'anni, una Smart. La più costosa della serie. Forse credeva fosse sufficiente per distrarre le vedette, sembra che un unico colpo l'abbia centrato nella fronte. Niente sangue se non un rivolo che gli attraversa il viso. Forse credeva che uscire di casa per un attimo, un frammento di minuti, non sarebbe stata cosa pericolosa. È però bastato. Lo stesso giorno gli Spagnoli fanno fuori Salvatore Barra in un bar a Casavatore. A Napoli quel giorno arriva il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a chiedere alla città di reagire, a lanciare parole di coraggio istituzionale, di vicinanza dello Stato. Avvengono tre agguati solo nelle ore del suo intervento.

Il 15 gennaio sparano in pieno viso a Carmela Attrice, madre dello scissionista Francesco Barone, "'o russo", indicato nelle indagini come uomo stretto dei McKay. Da tempo la donna non usciva di casa, così per eliminarla usano un ragazzino come esca. Citofona. La signora lo conosce, sa bene chi è, non pensa a nessun pericolo. Scende ancora in pigiama, apre il portone, e qualcuno le punta la canna della pistola in faccia e spara. Sangue e liquido cerebrale escono dalla sua testa come da un uovo rotto.

Quando arrivai sul luogo dell'agguato, alle Case Celesti, non avevano ancora messo il lenzuolo sul corpo. Le persone camminavano nel suo sangue, lasciando le orme ovunque. Deglutii forte, un modo per calmare lo stomaco. Carmela Attrice non era scappata. L'avevano avvertita, sapeva che suo figlio stava con gli Spagnoli, ma l'incertezza della guerra di camorra è questa. Nulla è definito e chiaro. Tutto diviene vero solo quando si compie. Non esiste nelle dinamiche del potere, del potere totale, qualcosa che vada oltre il concreto. E così fuggire, rimanere, scappare, denunciare, divengono scelte troppo sospese, incerte, ogni consiglio trova sempre un con-

trailo gemello, e solo qualche accadimento concreto può far prendere una decisione. Ma quando avviene, la decisione non si può che subirla.

Quando si muore per strada si finisce con un chiasso orrendo intorno. Non è vero che si muore da soli. Si finisce con facce che non si conoscono davanti al naso, persone che toccano gambe e braccia per capire se il corpo è già cadavere o vale la pena chiamare l'autoambulanza. Il viso dei feriti gravi, il volto delle persone che stanno per morire sembrano tutti accomunati dalla stessa paura. E dalla stessa vergogna. Sembra strano, ma un attimo prima di finire c'è come una specie di vergogna. Lo scuorno, dicono qui. Un po' come stare nudi tra la gente. La stessa sensazione avviene quando si è colpiti a morte per strada. Non mi sono mai abituato a vedere i morti ammazzati. Infermieri, poliziotti, tutti sono calmi, impassibili, fanno i loro gesti imparati a memoria chiunque abbiano avanti. "Abbiamo il callo sul cuore e il cuoio che fodera lo stomaco" mi ha detto un giovanissimo autista di auto mortuarie. Quando si arriva prima dell'autoambulanza è difficile staccare gli occhi dal ferito, anche se si vorrebbe non aver mai visto. Mai compreso che quello è il modo in cui si muore. La prima volta che ho visto un morto ammazzato avrò avuto tredici anni. Mi ricordo quella giornata benissimo. Mi svegliai con un imbarazzo tremendo poiché dal pigiama, indossato senza mutande, penzolava una chiara erezione non voluta. Quella classica della mattina, impossibile da dissimulare. Mi ricordo quest'episodio perché mentre stavo andando a scuola m'imbattei in un cadavere nella mia stessa situazione. Eravamo in cinque, con gli zainoni carichi di libri. Avevano crivellato una Alfetta e sulla strada per la scuola ce la trovammo davanti. I miei compagni si catapultarono curiosissimi a guardare. Si vedevano i piedi in aria su sediolino. H più temerario tra noi chiese a un carabiniere come mai dove si poggia la testa ci fossero i piedi. Il carabiniere non esitò a rispondere, come se non si fosse accorto di quanti anni aveva il suo interlocutore.

"I colpi di pioggia l'hanno fatto capotare…"

Ero ragazzino, ma sapevo che colpi di pioggia significava colpi di mitra. Quel camorrista ne aveva presi talmente tanti che il corpo si era capovolto. Testa in giù e piedi all'aria. Poi i carabinieri aprirono lo sportello, il cadavere cadde a terra come un ghiacciolo squagliato. Noi guardavamo indisturbati, senza che nessuno ci dicesse che non era spettacolo per bambini. Senza nessuna mano morale che ci venisse a coprire gli occhi. Il morto aveva un'erezione. Dal jeans attillato si vedeva chiaramente. E la cosa mi sconvolse. Fissai la scena per moltissimo tempo. Per giorni pensai a come potesse essere accaduto. A cosa stesse pensando, cosa stesse facendo prima di morire. Riempii i miei pomeriggi cercando di ipotizzare cosa avesse in mente prima di crepare; fui tormentato sino a quando ebbi il coraggio di chiedere spiegazione e mi fu detto che l'erezione era una reazione comune nei cadaveri dei morti ammazzati. Quella mattina Linda, una ragazzina del nostro gruppo, appena vide il cadavere scivolare dalla portiera dell'auto, iniziò a piangere e si tirò dietro altri due ragazzi. Un pianto strozzato. Un giovane in borghese prese per i capelli il cadavere, gli sputò in faccia. E rivolgendosi a noi disse:


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