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Gomorra
  • Текст добавлен: 24 сентября 2016, 03:28

Текст книги "Gomorra"


Автор книги: Roberto Saviano



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Ma a Secondigliano l'enorme azienda dei Di Lauro scricchiolava. Era cresciuta in fretta e in grande autonomia in ogni sua parte, nelle piazze dello spaccio l'aria iniziava ad appesantirsi. A Scampia invece c'era la speranza che tutto si sarebbe risolto come l'ultima volta. Quando, con una bevuta, ogni crisi trovò soluzione. Una bevuta particolare, che avvenne mentre Domenico, uno dei figli di Di Lauro, dopo un gravissimo incidente stradale, agonizzava in ospedale. Domenico era un ragazzo inquieto. Spesso i figli dei boss cadono in una sorta di delirio d'onnipotenza e ritengono di poter disporre di intere città e delle persone che le abitano. Secondo le indagini della polizia, nell'ottobre 2003, Domenico assieme alla sua scorta e un gruppo di amici, assaltò di notte un'intera cittadina, Casoria, sfasciando finestre, garage, auto, bruciando cassonetti, inzaccherando portoni con lo spray e squagliando con gli accendini i pulsanti di plastica dei citofoni. Danni che il padre seppe rimborsare in silenzio, con la diplomazia delle famiglie che devono rimediare ai disastri dei rampolli senza pregiudicare la propria autorevolezza. Domenico stava correndo in moto quando a una curva perse il controllo, cadde e per le gravi ferite morì dopo alcuni giorni trascorsi in coma all'ospedale. Quest'episodio tragico generò un incontro di vertice, una punizione e al contempo un'amnistia. A Scampia tutti conoscono questa storia, una storia leggendaria, forse inventata, ma importante per comprendere come i conflitti trovano mediazione all'interno delle dinamiche di camorra.

Si racconta che Gennaro Marino, detto McKay, delfino di Paolo Di Lauro, andò in ospedale dove si trovava il ragazzo morente, per confortare il boss. Il suo conforto venne accolto. Di Lauro poi lo tirò in disparte e gli offrì da bere. Pisciò in un bicchiere e glielo porse. Al boss erano giunte all'orecchio notizie circa alcuni comportamenti del suo prediletto che non poteva avallare in nessun modo. McKay aveva fatto alcune scelte economiche senza discuterne, alcune somme di danaro erano state sottratte senza renderne conto. Il boss si era accorto della volontà del suo delfino di rendersi autonomo ma lo volle perdonare, come un eccesso di esuberanza di chi è troppo bravo nel proprio mestiere. Si racconta che McKay bevve tutto, sino alla posa. Un lungo sorso di piscio risolse il primo sisma avvenuto all'interno delle dirigenze del cartello del clan Di Lauro. Una tregua labile, che nessun rene successivamente avrebbe potuto drenare.

La guerra di Secondigliano

McKay e Angioletto avevano deciso. Volevano ufficializzare la formazione di un proprio gruppo, erano d'accordo tutti i dirigenti più anziani, avevano chiaramente detto di non voler entrare in conflitto con l'organizzazione ma di volerne diventare concorrenti. Leali concorrenti sul vasto mercato. Fianco a fianco, ma in autonomia. E così – secondo le dichiarazioni del pentito Pietro Esposito – mandarono il messaggio a Cosimo Di Lauro, il reggente del cartello. Volevano incontrare Paolo, il padre, il dirigente massimo, il vertice, il referente primo del sodalizio. Parlargli di persona, dirgli che non condividevano le scelte di ristrutturazione, che avevano fatto i figli, volevano fissarlo negli occhi smettendola di far passare parola su parola da gola a gola, facendo impastare i messaggi dalla saliva di molte lingue, visto che i cellulari non erano utilizzabili per non far risalire al percorso della sua latitanza. Genny McKay voleva incontrare Paolo Di Lauro, il boss che aveva permesso la sua ascesa imprenditoriale.

Cosimo accetta formalmente la richiesta dell'incontro, si tratta del resto di riunire tutti i vertici dell'organizzazione, capi, dirigenti, capizona. Non si può rifiutare. Ma Cosimo ha già tutto in mente, o così sembra. Pare davvero che sappia verso cosa sta orientando la sua gestione degli affari, e come deve organizzarne la difesa. E così, ascoltando quanto dicono indagini e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, Cosimo all'appuntamento non manda sottoposti. Non manda il "cavallaro", Giovanni Cortese il portavoce ufficiale, colui che ha sempre curato i rapporti della famiglia Di Lauro con l'esterno. Cosimo manda i suoi fratelli, Marco e Ciro, a perlustrare il luogo dell'incontro. Loro vanno a vedere, controllano che aria tira, non avvertono nessuno del loro passaggio. Passano senza scorta, forse in auto. Veloci, ma non troppo. Osservano le vie di fuga preparate, le sentinelle appostate, senza dare nell'occhio. Riferiscono a Cosimo, gli raccontano i dettagli. Cosimo comprende. Avevano preparato tutto per un agguato. Per ammazzare Paolo e chiunque l'avesse accompagnato. L'incontro era un tranello, era un modo per uccidere e sancire una nuova era nella gestione del cartello. Del resto un impero non si scinde allentando una stretta di mano, ma tagliandola con una lama. Questo si racconta, questo raccontano indagini e pentiti.

Cosimo, il figlio a cui Paolo ha dato in gestione il controllo del narcotraffico con ruolo di massima responsabilità, deve decidere. Sarà guerra, ma non la dichiara, conserva tutto in mente, aspetta di comprendere le mosse, non vuole allarmare i rivali. Sa che a breve gli salteranno addosso, che deve aspettarsi gli artigli sulla carne, ma deve temporeggiare, decidere una strategia precisa, infallibile, vincente. Capire su chi può contare, quali forze può gestire. Chi è con lui e chi è contro di lui. Non c'è altro spazio sulla scacchiera.

I Di Lauro giustificano l'assenza del padre con la difficoltà di muoversi a causa delle ricerche della polizia. Latitante, ricercato da oltre dieci anni. Saltare un incontro non è grave per uno inserito fra i trenta latitanti più pericolosi d'Italia. La più grande holding imprenditoriale del narcotraffico, una delle più forti sul piano nazionale e internazionale, sta per attraversare la più letale delle crisi, dopo decenni di perfetto funzionamento.

II clan Di Lauro è stato sempre un'impresa perfettamente organizzata. Il boss lo ha strutturato con un disegno d'azienda multilevel. L'organizzazione è composta da un primo livello di promotori e finanziatori, costituito dai dirigenti del clan che provvedono a controllare l'attività di traffico e spaccio tramite i loro affiliati diretti, e formato, secondo la Procura Antimafia di Napoli, da Rosario Pariante, Raffaele Abbinante, Enrico D'Avanzo e Arcangelo Valentino. Il secondo livello comprende chi materialmente tratta la droga, l'acquista e la confeziona e gestisce i rapporti con gli spacciatori, ai quali garantisce difesa legale in caso di arresto. Gli elementi di maggiore spicco sono Gennaro Marino, Lucio De Lucia, Pasquale Gargiulo. Il terzo livello è rappresentato dai capi-piazza, ossia membri del clan che sono a diretto contatto con gli spacciatori, che coordinano i pali e le vie di fuga e curano anche l'incolumità dei magazzini dove viene stoccata la merce e i luoghi dove viene tagliata. Il quarto livello, il più esposto, è costituito dagli spacciatori. Ogni livello ha in sé dei sottolivelli che si relazionano esclusivamente con il proprio dirigente di riferimento e non con l'intera struttura. Quest'organizzazione permette di avere un profitto pari al 500 per cento dell'investimento iniziale.

Dinanzi al modello dell'impresa dei Di Lauro mi è sempre venuto in mente il concetto matematico di frattale, come lo spiegano nei manuali, ovvero un casco di banane cui ogni banana è a sua volta un casco di banane le cui banane sono caschi di banane e così all'infinito. Il clan Di Lauro solo col narcotraffico fattura cinquecentomila euro al giorno. Spacciatori, gestori dei magazzini, staffette, spesso non sono parte dell'organizzazione ma semplici stipendiati. L'indotto dello spaccio è enorme, migliaia di persone ci lavorano ma non sanno da chi sono dirette. Intuiscono genericamente per quale famiglia camorristica lavorano, ma nulla di più. Qualora qualche arrestato decidesse di pentirsi, la conoscenza della struttura sarà limitata a un perimetro specifico, minimo, senza riuscire a comprendere e conoscere l'intero organigramma, l'enorme periplo del potere economico e militare dell'organizzazione.

Tutto l'assetto economico finanziario ha il suo team militare: un feroce gruppo di fuoco e una capillare rete di fiancheggiatori. Nel manipolo di killer figuravano Emanuele D'Ambra, Ugo De Lucia, detto "Ugariello", Nando Emolo, detto "'o schizzato", Antonio Ferrara, detto "'o tavano", Salvatore Tamburino, Salvatore Petriccione, Umberto La Monica, Antonio Mennetta. Al di sotto, i fiancheggiatori, cioè i capizona: Gennaro Aruta, Ciro Saggese, Fulvio Montanino, Antonio Galeota, Giuseppe Prezioso, guardaspalle personale di Cosimo, e Costantino Sorrentino. Un'organizzazione che complessivamente contava su almeno trecento persone, tutte tenute a stipendio. Una struttura complessa, dove tutto era inserito in un ordine preciso. C'era il parco macchine e moto, enorme, sempre disponibile, come una struttura d'emergenza. C'era l'armeria, nascosta e collegata a una rete di fabbri pronti a distruggere le armi appena usate per gli omicidi. C'era una rete logistica che consentiva ai killer di andare, subito dopo l'agguato, ad allenarsi in un regolare poligono di tiro dove venivano registrati gli ingressi, in modo da confondere le tracce di polvere da sparo e costruirsi un alibi per eventuali prove da stub. Lo stub è ciò che ogni killer teme di più; la polvere da sparo che non viene mai via e che è la prova più schiacciante. C'era addirittura una rete che forniva l'abbigliamento ai gruppi di fuoco: tute da ginnastica anonime e casco integrale da motociclista, da distruggere subito dopo. Un'azienda inattaccabile, dai congegni perfetti o quasi. Non si tenta di occultare un'azione, un omicidio, un investimento ma semplicemente di non renderlo dimostrabile in tribunale.

Frequentavo Secondigliano da tempo. Da quando aveva smesso di fare il sarto, Pasquale mi aggiornava sull'aria che tirava nella zona, un'aria che andava mutandosi velocemente, alla stessa velocità con cui si trasformano i capitali e le direzioni finanziarie.

Giravo nell'area nord di Napoli in Vespa. È la luce quello che più mi piace quando giro per Secondigliano e Scampia.

Le strade enormi, larghe, ossigenate rispetto ai grovigli del centro storico di Napoli, come se sotto il catrame, a fianco dei palazzoni, ci fosse ancora viva la campagna aperta. D'altronde Scampia possiede nel nome il suo spazio. Scampia, parola di un dialetto napoletano scomparso, definiva la terra aperta, zona d'erbacce, su cui poi a metà degli anni '60 hanno tirato su il quartiere e le famose Vele. Il simbolo marcio del delirio architettonico o forse più semplicemente un'utopia di cemento che nulla ha potuto opporre alla costruzione della macchina del narcotraffico che si è innervata sul tessuto sociale di questa parte di terra. Una disoccupazione cronica e un'assenza totale di progetti di crescita sociale hanno fatto sì che divenisse luogo capace di stoccare quintali di droga, e laboratorio per la trasformazione del danaro fatturato con lo spaccio in economia viva e legale. Secondigliano è lo scalino in discesa che dal gradino del mercato illegale porta forze ossigenate all'imprenditoria legittima. Nel 1989 l'Osservatorio sulla Camorra scriveva in una sua pubblicazione che nell'area nord di Napoli si registrava uno dei rapporti spacciatori-numero abitanti più alto d'Italia. Quindici anni dopo questo rapporto è divenuto il più alto d'Europa e tra i primi cinque al mondo.

La mia faccia era diventata conosciuta col tempo, una conoscenza che per le sentinelle del clan, i pali, significava valore neutro. In un territorio controllato a vista ogni secondo v'è un valore negativo – poliziotti, carabinieri, infiltrati di famiglie rivali – e un valore positivo: gli acquirenti. Tutto ciò che non è sgradito, che non è intralcio è neutro, inutile. Entrare in questa categoria significa non esistere. Le piazze dello spaccio mi hanno sempre affascinato per la perfetta organizzazione che contraddice una lettura di puro degrado. Il meccanismo di spaccio è quello di un orologio. È come se gli individui si muovessero identici agli ingranaggi che mettono in moto il tempo. Non c'è movimento di qualcuno che non faccia scattare qualcun altro. Ogni volta che lo osservavo ne rimanevo incantato. Gli stipendi sono distribuiti settimanalmente, cento euro per le vedette, cinquecento al coordinatore e cassiere degli spacciatori di una piazza, ottocento ai singoli pusher e mille a chi si occupa dei magazzini e nasconde la droga in casa. I turni vanno dalle tre del pomeriggio a mezzanotte e da mezzanotte alle quattro del mattino, la mattina difficilmente si spaccia perché c'è in giro troppa polizia. Tutti hanno un giorno di riposo e se si presentano in ritardo sulla piazza di spaccio per ogni ora gli vengono sottratti cinquanta euro dalla paga settimanale.

Via Baku è un ininterrotto via vai di commerci. I clienti arrivano, pagano, prelevano e vanno via. A volte ci sono persino file di auto in coda dietro la schiena degli spacciatori. H sabato sera soprattutto. E allora da altre piazze vengono dislocati nuovi pusher in questa zona. In via Baku si fattura mezzo milione di euro al mese, la Narcotici segnala che mediamente si smerciano quattrocento dosi di marijuana e quattrocento di cocaina, ogni giorno. Quando arrivano i poliziotti gli spacciatori sanno in quali case andare e in che posti nascondere la merce. Dinanzi alle auto della polizia, quando stanno per entrare in una piazza di spaccio si posiziona quasi sempre una macchina o un motorino per rallentare la corsa e permettere ai pali di caricarsi gli spacciatori in moto e portarli via. Spesso i pali sono incensurati e disarmati, così anche se fermati corrono un bassissimo rischio di incriminazione. Quando scattano gli arresti dei pusher vengono chiamate le riserve, ossia persone spesso tossicodipendenti o consumatori abituali della zona che danno la loro disponibilità a lavorare come spacciatori in casi di emergenza. Per un pusher arrestato un altro viene avvertito e si farà trovare sul posto. Il commercio deve continuare. Anche nei momenti critici.

Via Dante è un'altra zona di fatturazione di grossi capitali. Qui i pusher sono tutti ragazzi giovanissimi, è una piazza florida di distribuzione, una delle più recenti piazze messe su dai Di Lauro e poi viale della Resistenza, vecchia piazza di eroina ma anche di kobret e cocaina. I responsabili della piazza hanno vere e proprie sedi operative in cui organizzano il presidio del territorio. I pali comunicano con i cellulari quello che sta accadendo. Il coordinatore della piazza, ascoltandoli tutti in viva voce con dinanzi la cartina, riesce ad avere sotto i suoi occhi in tempo reale gli spostamenti della polizia e i movimenti dei clienti.

Una delle novità che il clan Di Lauro ha introdotto a Se-condigliano è la tutela dell'acquirente. Prima della loro gestione come organizzatori di piazze, i pali proteggevano solo i pusher da arresti e identificazioni. Negli anni passati, gli acquirenti potevano essere fermati, identificati, portati in commissariato. Di Lauro invece ha messo i pali per proteggere anche gli acquirenti, così chiunque avrebbe potuto accedere con sicurezza alle piazze gestite dai suoi uomini. Il massimo grado di comodità per i piccoli consumatori che sono una delle anime prime del commercio di droga secondiglia-nese. Nella zona del rione Berlingieri, se telefoni, ti fanno trovare direttamente la merce pronta. E poi via Ghisleri, Parco Ises, tutto il rione don Guanella, il comparto H di via Labriola, i Sette Palazzi. Territori trasformati in mercati redditizi, in strade presidiate, in luoghi dove le persone che ci abitano hanno imparato ad avere uno sguardo selettivo, come se gli occhi, quando capitano su qualcosa d'orrendo, oscurassero l'oggetto o la situazione. Un'abitudine a prescegliere cosa vedere, un modo per continuare a vivere. Il supermarket immenso della droga. Tutta, ogni tipo. Non c'è stupefacente che venga introdotto in Europa che non passi prima dalla piazza di Secondigliano. Se la droga fosse solo per i napoletani e i campani, le statistiche darebbero risultati deliranti. Praticamente in ogni famiglia napoletana almeno due membri dovrebbero essere cocainomani e uno eroinomane. Senza contare l'hashish e la marijuana. Eroina, kobret, le droghe leggere e poi le pasticche, quelle che qualcuno chiama ancora ecstasy quando in realtà dell'ecstasy esistono centosettantanove varianti. Qui a Secondigliano sono stra-vendute, le chiamano X file, o il gettone o la caramella. Sulle pasticche c'è un guadagno enorme. Un euro per produrle, tre-cinque euro il costo all'ingrosso, poi rivendute a Milano, Roma o altre zone di Napoli a cinquanta-sessanta euro. A Scampia a quindici euro.

Il mercato secondiglianese ha superato le vecchie rigidità dello smercio di droga; riconoscendo nella cocaina la nuova frontiera. In passato droga d'elite, oggi grazie alle nuove politiche economiche dei clan è divenuta assolutamente accessibile al consumo di massa, con diversi gradi di qualità ma capace di soddisfare ogni esigenza. Il 90 per cento dei consumatori di cocaina secondo le analisi del gruppo Abele sono lavoratori o studenti. La coca si è emancipata dalla categoria di sballo, diviene sostanza usata durante ogni fase del quotidiano, dopo le ore di straordinario, viene presa per rilassarsi, per avere ancora la forza di fare qualcosa che somigli a un gesto umano e vivo e non solo un surrogato di fatica. La coca viene presa dai camionisti per guidare di notte, per resistere ore davanti al computer, per andare avanti senza sosta a lavorare per settimane senza nessun tipo di pausa. Un solvente della fatica, un anestetico del dolore, una protesi alla felicità. Per soddisfare un mercato che ha necessità di droga come risorsa e non soltanto come stordimento bisognava trasformare lo spaccio, renderlo flessibile, slegato dalle rigidità criminali. È questo il salto di qualità compiuto dal clan Di Lauro. La liberalizzazione dello spaccio e dell'approvvigionamento di droga. Per i cartelli criminali italiani la vendita di grosse partite viene tradizionalmente preferita alla vendita di partite medie, e piccole. Per Di Lauro invece la vendita di partite medie è stata scelta per far diffondere una piccola imprenditoria dello spaccio capace di creare nuovi clienti. Una piccola imprenditoria libera, autonoma, in grado di far ciò che vuole con la merce, metterci il prezzo che vuole, diffonderla come e dove vuole. Chiunque può accedere al mercato, per ogni tipo di quantità. Senza necessità di trovare mediatori del clan. Cosa Nostra e la 'ndrangheta irradiano ovunque i loro traffici di droga ma la filiera la devono conoscere, per comprare droga da spacciare attraverso la loro mediazione è necessario essere presentati da affiliati e alleati al clan. Per loro è fondamentale sapere in che zona si andrà a spacciare, con che organizzazione verrà articolata la distribuzione. Non così il Sistema di Secondigliano. L'ordine è laissez faire, laissez passer. Liberismo totale e assoluto. La teoria è che il mercato si autoregola. E così in pochissimo tempo vengono attirati a Secondigliano tutti coloro che vogliono mettere su un piccolo smercio tra amici, che vogliono comprare a quindici e vendere a cento e così pagarsi una vacanza, un master, aiutare il pagamento di un mutuo. La liberalizzazione assoluta del mercato della droga ha portato a un inabissamento dei prezzi.

Lo smercio al dettaglio al di fuori di certe piazze può scomparire. Ora esistono i cosiddetti giri. Il giro dei medici, il giro dei piloti, dei giornalisti, degli impiegati statali. La piccola borghesia sembra il guanto adatto per questa distribuzione informale e iperliberista della merce droga. Uno scambio che sembra amicale, la vendita completamente lontana da strutture criminali, simile a quella delle casalinghe che propongono creme e aspirapolvere alle amiche. Ottimo anche per emancipare da responsabilità morali eccessive. Nessun pu-sher in tuta acetata schiattato agli angoli delle piazze per intere giornate difeso dai pali. Nulla se non prodotto e danaro. Spazio bastante per la dialettica del commercio. Dai dati, forniti dalle più importanti questure d'Italia, un arrestato su tre per traffico di droga è incensurato e completamente estraneo ai percorsi criminali. Il consumo di cocaina, secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità, è schizzato ai massimi storici: +80 per cento (1999–2002). Il numero delle persone dipendenti che si rivolgono al SERT raddoppia ogni anno. L'espansione del mercato è immensa, le coltivazioni transgeniche consentono ormai quattro raccolti l'anno, dunque non ci sono problemi di approvvigionamento di materia prima, e l'assenza di un'organizzazione egemone favorisce la libera iniziativa. Robbie Williams, un famoso cantante cocainomane, per anni disse che "la cocaina è il modo che Dio ha inventato per dirti che hai troppi soldi". Questa frase, che ho letto su qualche giornale, mi tornò in mente quando alle Case Celesti avevo incontrato dei ragazzi che osannavano il prodotto e il luogo: "Se esiste la coca delle Case Celesti significa che Dio non ha dato nessun valore ai soldi".

Le Case Celesti, chiamate così per il colore azzurrino pallido che in origine avevano, costeggiano via Limitone d'Arcano e sono divenute una delle migliori piazze della cocaina in Europa. Un tempo non era così. A rendere questa piazza così conveniente è stato, secondo le indagini, Gennaro Marino McKay. È lui il referente del clan in questo territorio. Non solo referente; il boss Paolo Di Lauro, che stima la sua gestione, gli ha dato la piazza in franchising. Può fare tutto in autonomia, deve solo versare una quota mensile alla cassa del clan. Gennaro e suo fratello Gaetano sono detti i McKay. Tutto è dovuto alla somiglianza che il padre aveva con lo sceriffo Zeb McKay del telefilm Alla conquista del West. Tutta la famiglia così è divenuta non più Marino ma McKay. Gaetano non ha le mani. Ha due protesi di legno. Di quelle rigide. Laccate di nero. Le ha perse combattendo nel 1991. La guerra contro i Puca, una vecchia famiglia cutoliana. Stava maneggiando una bomba a mano, e gli esplose tra le mani facendo saltare in aria le dita. Gaetano McKay ha sempre un accompagnatore, una sorta di maggiordomo, che prende il posto delle sue mani, ma quando deve firmare, riesce a farlo bloccando la penna con le protesi, rendendola un perno, un chiodo fisso sulla pagina, e poi si aggroviglia con il collo e i polsi, riuscendo a tracciare con grafia impercettibilmente sghemba la sua firma.

Genny McKay, secondo le indagini della Procura Antimafia di Napoli, era riuscito a creare una piazza capace di stoccare e smerciare. D'altronde il buon prezzo ricevuto dai fornitori è dovuto proprio alla capacità di accumulare e in questo la giungla di cemento di Secondigliano, con i suoi centomila abitanti, aiuta. Il corpo delle persone, le loro case, la loro vita quotidiana divengono la grande muraglia che circoscrive i depositi di droga. Proprio la piazza delle Case Celesti ha permesso un inabissamento dei costi della coca. Solitamente si parte da cinquanta-settanta euro al grammo e si arriva sui cento-duecento euro. Qui è scesa a venticinque-cinquanta continuando ad avere una qualità molto alta. Leggendo le indagini della DDA, emerge che Genny McKay è uno degli imprenditori italiani più capaci nel ramo della coca, essendo riuscito a imporsi su un mercato in crescita esponenziale pari a nessun altro. L'organizzazione delle piazze di spaccio poteva avvenire anche a Posillipo, ai Parioli, a Brera, ma è avvenuta a Secondigliano. La manodopera in qualsiasi altro luogo avrebbe avuto un costo elevatissimo. Qui la totale assenza di lavoro, l'impossibilità di trovare altra soluzione di vita che non sia l'emigrazione, rende i salari bassi, bassissimi. Non c'è altro arcano, non c'è da fare appello a nessuna sociologia della miseria, a nessuna metafisica del ghetto. Non potrebbe essere ghetto un territorio capace di fatturare trecento milioni di euro l'anno solo con l'indotto di una singola famiglia. Un territorio dove agiscono decine di clan e le cifre di profitto raggiungono quelle paragonabili solo a una manovra finanziaria. Il lavoro è meticoloso, e i passaggi produttivi costano moltissimo. Un chilo di coca al produttore costa mille euro, quando va al grossista già costa trentamila euro. Trenta chili diventano centocinquanta dopo il primo taglio: un valore di mercato di circa quindici milioni di euro. E se il taglio è maggiore a tre chili ne puoi tirare anche duecento di chili. Il taglio è fondamentale, quello da caffeina, glucosio, mannitolo, paracetamo-lo, lidocaina, benzocaina, anfetamina. Ma anche talco e calcio per i cani quando le emergenze lo impongono. Il taglio determina la qualità, e il taglio fatto male attira morte, polizia, arresti. Occlude le arterie del commercio.

Anche qui i clan di Secondigliano sono in anticipo su tutti e il vantaggio è prezioso. Qui ci sono i Visitors: gli eroinomani. Li chiamano come i personaggi del telefilm degli anni '80 che divoravano topi e sotto un'apparente epidermide umana nascondevano squame verdastre e viscide. I Visitors li usano come cavie, cavie umane, per poter sperimentare i tagli. Provare se un taglio è dannoso, che reazioni genera, sin dove possono spingersi ad allungare la polvere. Quando i "tagliatori" hanno bisogno di molte cavie, abbassano i prezzi. Da venti euro a dose, scendono anche a dieci. La voce circola e gli eroinomani vengono persino dalle Marche, dalla Lucania, per poche dosi. L'eroina è un mercato in totale collasso. Gli eroinomani, i tossici, sono in diminuzione. Disperati. Prendono i bus barcollando, scendono e risalgono sui treni, viaggiano di notte, prendono passaggi, camminano a piedi per chilometri. Ma l'eroina meno costosa del continente merita qualsiasi sforzo. I "tagliatori" dei clan raccolgono i Visitors, gli regalano una dose e poi attendono. In una telefonata riportata nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere del marzo 2005, emessa dal Tribunale di Napoli, due parlano tra loro dell'organizzazione di un provino, un test su cavie umane per provare il taglio della sostanza. Prima si chiamano per organizzarlo:

"Le levi cinque magliette… per le prove allergiche?"

Dopo un po' si risentono:

"Hai provato la macchina?"

"Sì…"

Intendendo ovviamente, se aveva testato:

"Sì, mamma mia, troppo bello, compa' siamo number one, devono chiudere tutti."

Esultavano, felici del fatto che le cavie non erano morte, anzi, avevano gradito molto. Un taglio ben riuscito raddoppia la vendita, se di ottima qualità viene subito richiesto sul mercato nazionale e la concorrenza viene sbaragliata.

Solo dopo aver letto questo scambio di commenti telefonici capii la scena a cui avevo assistito qualche tempo prima. Non riuscivo davvero a comprendere cosa in realtà mi si muoveva davanti agli occhi. Dalle parti di Miano, poco distante da Scampia, c'erano una decina di Visitors. Erano stati chiamati a raccolta. Uno spiazzo davanti a dei capannoni. C'ero finito non per caso ma con la presunzione che sentendo l'alito del reale, quello caldo, quello più vero possibile, si possa arrivare a comprendere il fondo delle cose. Non sono certo sia fondamentale osservare ed esserci per conoscere le cose, ma è fondamentale esserci perché le cose ti conoscano. C'era un tizio vestito bene, anzi direi benissimo, con un completo bianco, una camicia bluastra, scarpe sportive nuovissime. Aprì un panno di daino sul cofano dell'auto. Aveva dentro un po' di siringhe. I Visitors si avvicinarono spingendosi, sembrava una di quelle scene – identiche, medesime, sempre uguali da anni – che mostrano i telegiornali quando in Africa giunge un camion con i sacchi di farina. Un Visitors però si mise a urlare:

"No, non la prendo, se la regalate non la prendo… ci volete ammazzare…"

Bastò il sospetto di uno, che gli altri si allontanarono immediatamente. Il tizio sembrava non aver voglia di convincere nessuno e aspettava. Ogni tanto sputava per terra la polvere che i Visitors camminando alzavano e che gli si posava sui denti. Uno si fece avanti lo stesso, anzi si fece avanti una coppia. Tremavano, erano davvero al limite. In rota, come si dice solitamente. Lui aveva le vene delle braccia inutilizzabili, si tolse le scarpe, e anche le piante dei piedi erano rovinate. La ragazza prese la siringa dallo straccio e se la mise in bocca per reggerla, intanto gli aprì la camicia, lentamente, come se avesse avuto cento bottoni, e poi lanciò l'ago sotto il collo. La siringa conteneva coca. Farla scorrere nel sangue permette di vedere in breve tempo se il taglio funziona o se è sbagliato, pesante, scadente. Dopo un po' il ragazzo iniziò a barcollare, schiumò appena all'angolo della bocca e cadde. Per terra iniziò a muoversi a scatti. Poi si stese supino e chiuse gli occhi, rigido. Il tizio vestito di bianco iniziò a telefonare al cellulare:

"A me pare morto… sì, vabbè, mo gli faccio il massaggio…"

Iniziò a pestare con lo stivaletto il petto del ragazzo. Alzava il ginocchio e poi lasciava cadere la gamba con violenza. Il massaggio cardiaco lo faceva con i calci. La ragazza al suo fianco blaterava qualcosa, lasciando le parole ancora attaccate alle labbra: "Lo fai male, lo fai male. Gli stai facendo male…" Cercando con la forza di un grissino di allontanarlo dal corpo del suo ragazzo. Ma il tizio era disgustato, quasi impaurito da lei e dai Visitors in genere:

"Non mi toccare… fai schifo… non ti azzardare a starmi vicino… non mi toccare che ti sparo!"

Continuò a tirare calci in petto al ragazzo; poi con il piede poggiato sullo sterno ritelefonò:

"Questo è schiattato. Ah, il fazzolettino… aspetta che mo vedo…"

Prese un fazzolettino di carta dalla tasca, lo bagnò con una bottiglietta d'acqua e lo stese aperto sulle labbra del ragazzo. Se soltanto avesse avuto un flebile fiato avrebbe forato il kleenex, dimostrando di essere ancora vivo. Precauzione che aveva usato perché non voleva neanche sfiorare quel corpo. Richiamò per l'ultima volta:


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